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Per Russia ed export anche nel 2016 si fa dura

La caduta del prezzo del petrolio, il deterioramento della posizione fiscale, i consistenti deflussi di capitale e il drenaggio di riserve valutarie continuano a pesare sulle prospettive di crescita, in calo dell’1% dopo il -3,7% del 2015.

Per Russia ed export anche nel 2016 si fa dura
Nei primi nove mesi del 2015 il PIL della Russia è diminuito del 3,7% in termini reali, dopo essere cresciuto di un modesto 0,6% nel 2014. Gli indicatori congiunturali più recenti segnalano una persistente debolezza della congiuntura nei mesi finali dell’anno e, secondo le stime preliminari riportate dal Centro Studi Intesa Sanpaolo, il PIL è diminuito del 3,7% nell’intero anno. Il perdurare delle attuali tensioni e un prezzo del petrolio ai livelli attuali (sotto i 40 dollari al barile) porteranno probabilmente a una nuova diminuzione del PIL nel 2016 (-1%). Il tasso tendenziale d’inflazione ha chiuso il 2015 al 12,9% ed è previsto frenare ulteriormente nel corso del 2016. Il rallentamento dell’inflazione dovrebbe permettere alla Banca Centrale di operare nuove azioni distensive. Il Bilancio 2016, compilato ipotizzando un prezzo del petrolio Ural pari a 50 dollari, indica come obiettivo un deficit pari al 3% del PIL. La discesa del prezzo del petrolio a 30 dollari, se confermata per tutto il 2016, in assenza di misure di aggiustamento comporterebbe un aumento del deficit 7%-7,5% del PIL. Nel corso del 2015, inoltre, il rublo si è deprezzato di un ulteriore 30% nei confronti del dollaro (a 73 RUB : 1 USD a fine dicembre 2015). Tuttavia, nove pressioni ribassiste si sono manifestate all’inizio di quest’anno. Nel breve periodo il cambio USD/RUB dipenderà principalmente dall’andamento del prezzo del petrolio e dalla propensione all’investimento nei Paesi emergenti da parte degli investitori esteri. Nell’ipotesi di un progressivo recupero del prezzo del petrolio (a 50 dollari al barile) il cambio RUB/USD potrebbe riportarsi sotto quota 70.

Nel periodo gennaio-settembre 2015, il surplus corrente della Bilancia dei Pagamenti si è allargato a 52,7 miliardi, dai 44,1 nello stesso periodo dell’anno precedente. I dati preliminari della Banca Centrale evidenziano come da gennaio a novembre il deflusso netto di fondi del settore privato è stato pari a meno della metà di quello visto l’anno precedente (53,6 mld contro 118,7 mld). Nel corso del 2015, il processo di drenaggio delle riserve valutarie, pur continuando, ha rallentato sensibilmente rispetto a quanto visto nel 2014. A dicembre 2015 le stesse ammontavano a 309 mld contro 328 mld del dicembre precedente. La caduta del prezzo del petrolio, il deterioramento della posizione fiscale, i consistenti deflussi di capitale e il drenaggio di riserve valutarie hanno indotto tutte e tre le principali agenzie a tagliare il rating del debito sovrano della Russia. S&P (a gennaio) e Moody’s (in due mosse a gennaio e febbraio) hanno tolto al Paese l’investment grade, assegnando allo stesso la valutazione BB+ da BBB- e, rispettivamente, Ba1 da Baa3, in entrambi i casi con outlook negativo. Anche Fitch ha modificato il rating da BBB a BBB-/N, mantenendolo tuttavia ancora in investment grade.

In questo scenario, gli scambi commerciali della Russia nel 2014 si sono attestati a circa 785 miliardi di dollari (-6,9% rispetto all’annata precedente). In calo sia le importazioni (-9%), che si attestano a 287 mld, che le esportazioni (-5,6%) a 498 mld, penalizzate dall’andamento delle quotazioni energetiche. Dati relativi ai primi dieci mesi del 2015 vedono un ulteriore peggioramento del commercio russo: l’interscambio presenta una riduzione di circa il 34%, in particolare dal lato delle importazioni, indebolitesi del 38% e attestatesi a 150 mld, mentre nello stesso periodo l’export ha registrato una flessione del 32% portandosi a 289 mld. Le esportazioni russe, storicamente costituite in prevalenza da minerali, in particolare energetici, hanno visto nel corso dei primi dieci mesi del 2015 ridurre la loro quota sul totale, penalizzate proprio dall’andamento delle quotazioni. Mentre nel 2014 i minerali rappresentavano circa il 70% del totale esportato, questa percentuale è scesa a circa il 53% nei primi dieci mesi dell’anno. I metalli invece, sono passati dall’8% al 10%. Quote minori sono coperte dai prodotti chimici, dall’agro-alimentare e dalle pietre, vetro e ceramica. Tra le importazioni, si confermano al 33% i macchinari, seguiti da mezzi di trasporto (dal 15% al 9%), prodotti agroalimentari (14%), prodotti chimici (13%) e metalli (7%). Il principale partner commerciale anche nel 2014 è stata l’Unione Europea, con una quota sul totale dell’interscambio russo del 44%, seguita dai mercati asiatici con il 28%. Rilevante anche l’area dei Paesi CSI con una quota di circa l’11% (con l’Ucraina al 2,8%). La Cina è il Paese più importante per gli scambi russi, con una quota superiore all’11%, seguita da Olanda (9%), Germania (7%) e Italia con oltre il 5%. Tra i maggiori fornitori si annoverano oltre a Cina, Germania e USA, anche l’Italia, la Bielorussia, il Giappone e l’Ucraina, che forniscono macchinari, mezzi di trasporto, metalli e prodotti agro-alimentari. Tra i principali mercati di destinazione, oltre a quelli già citati, vi sono Giappone, Corea del Sud, Bielorussia, Polonia e Turchia.

Lo stock di IDE in Russia nel 2014 era valutato in 378 miliardi di dollari (dati UNCTAD), in calo di oltre il 33% rispetto all’anno precedente. La quota della Russia è pari al 20,3% del PIL e all’1,5% sul totale mondiale. I principali settori di investimento dei capitali esteri sono quelli della manifattura (41%), seguiti da servizi (40%) e primario (19%). Lo stock di IDE in uscita era di 432 mld (1,8% del totale mondiale). L’Italia ha investito nel periodo 1992-2014 circa 7,3 miliardi di euro, con circa 590 imprese operative sul territorio. Gli scambi commerciali dell’Italia con la Russia hanno raggiunto il massimo nel 2013 con circa 31 mld. Nel 2014, la crisi con l’Ucraina, le sanzioni imposte dalla UE, insieme con l’avanzare della crisi economica russa, hanno limitato l’interscambio a 26,8 mld, con una diminuzione annuale del 13,5%. I dati relativi ai primi dieci mesi del 2015 evidenziano un’ulteriore contrazione dei flussi per un ammontare di 4,7 mld (-20,4%): le importazioni, pari a 12,4 mld, sono calate di 2,5 mld (-16,6%) e l’export, pari a 5,9 mld, di 2,2 mld (-27,5%). Nel periodo considerato si sono registrate contrazioni significative nelle importazioni di minerali (-17%), prodotti petroliferi raffinati (-40%) e chimica (-25%), mentre sono cresciute quelle dei metalli (+34%) e del comparto legno, carta e stampa (+17%). Tra le principali categorie esportate si segnala la variazione nei macchinari meccanici (-20%), tessile e abbigliamento (-33%) metalli (-39%) e apparecchi elettrici (-33%). Le esportazioni del settore agroalimentare nei primi dieci mesi del 2015 sono state pari a 306,8 milioni di euro, in calo di circa 213,7 mln rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-41,1%). Mentre le classi merceologiche colpite dalle sanzioni, pari all’1% del totale nel 2014, sono scese di oltre l’87% portandosi a 9,8 mln a fine 2015 (0,2% del totale).

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