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Pensioni, niente riforma e Quota 41: non ci sono i fondi. L’alternativa prorogare Quota 103

Il primo Documento di economia e finanza del governo Meloni ha tracciato la strada sugli interventi che si vogliono portare avanti. E tra questi non ci sono le pensioni. Ecco perché

Pensioni, niente riforma e Quota 41: non ci sono i fondi. L’alternativa prorogare Quota 103

Le casse dello Stato sono vuote e restano solo le tante promesse fatte durante la campagna elettorale. Parliamo della Legge Fornero, la legge che tutti vogliono cancellare ma che finora nessuno è riuscito a modificare. E nemmeno il Documento di Economia e Finanza che il governo ha appena approvato parla mai di riforma delle pensioni, tantomeno dell’abolizione della Fornero o di Quota 41, misura cavallo di battaglia della Lega. E anche se l’uscita anticipata dal lavoro con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica, resta (almeno a parole) obiettivo del governo da attuare nell’arco della legislatura, al momento, non ci sono le coperture finanziarie e difficilmente ci saranno in futuro (secondo le stime dell’Inps costerebbe più di 4 miliardi il primo anno di attivazione, per toccare poi i 75 miliardi in 10 anni).

La conferma l’ha data anche Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera: “Con pochi miliardi (a disposizione) Quota 41 non si fa”. Anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha detto che “le priorità ora sono il sostegno delle famiglie e delle imprese”. In poche parole: non la riforma delle pensioni o Quota 41. Va ricordato però che a fine anno Quota 103, la misura introdotta dal governo Draghi che prevede l’uscita dal lavoro a 62 anni d’eta e 41 anni di contributi, giungerà alla fine. Quindi, quale sarà la strategia del governo Meloni?

Riforma pensioni e Quota 41: cosa farà il governo Meloni?

Come detto, il governo Meloni ha messo in soffitta Quota 41. L’esecutivo dovrà dunque trovare una “misura-ponte” entro il prossimo autunno, in occasione della legge di Bilancio 2024 che sarà di appena quattro miliardi: è questo il margine di deficit che l’esecutivo si è ritagliato nel Def, vincolandolo però al taglio del cuneo fiscale.

Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha istituito con un decreto dello scorso marso un Osservatorio per monitorare la spesa previdenziale, analizzare le politiche di revisione del sistema e verificare la sostenibilità di forme di pensioni anticipata e ricambio generazionale che non gravino unicamente sulla spesa pubblica. Il ministero del Lavoro guarda con attenzione anche alla possibilità di rafforzare il meccanismo della staffetta generazionale, con un maggiore utilizzo del part time per i lavoratori in prossimità della pensione.

Ma l’autunno è dietro l’angolo, e le coperture finanziarie non ci sono. Per questo motivo, molti ipotizzano la proroga di un anno di Quota 103, come è già accaduto in passato per Quota 100, Quota 102 e la stessa 103 (che non cancella la riforma Fornero ma si limita ad aggirarla permettendo un anticipo pensionistico a una ristretta categoria di persone). Questa soluzione ovviamente non piace al Carroccio, che però non ha al momento un’alternativa alla sua Quota 41. Ma anche in questo caso nulla è certo: perché il costo di Quota 103 sfora i 2 miliardi nel triennio, tanto quanto stanziato dall’esecutivo di Giorgia Meloni nella sua prima legge di Bilancio. E rischia di essere un fiasco, dato che il bacino di potenziali beneficiari è stato asciugato da Quota 100.

Come si va in prepensionamento nel 2023? I canali di uscita anticipata

Quota 103 permette di andare in pensione – per tutto il 2023 – con 41 anni di contributi versati e 62 anni di età anagrafica. L’assegno non è cumulabile con altri redditi da lavoro e ha un tetto (non superiore a cinque volte il minimo, pari a circa 2.818,65 euro). Poi, una volta giunti all’età pensionabile, ovvero 67 anni, l’importo diventa pieno. Chi non approfitta dell’anticipo pensionistico, invece, può beneficiare del “bonus Maroni”, l’incentivo per i dipendenti a rimanere in servizio con un maxi aumento retributivo senza però concorrere al computo della pensione finale.

Tra i canali di uscita anticipata, c’è anche quello che consente di andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età anagrafica e senza adeguamenti all’aspettativa di vita fino al 2026. Potranno poi continuare a uscire con 41 anni di versamenti, indipendentemente dall’età, i lavoratori in possesso di 12 mesi di contribuzione effettiva prima del 19esimo anno d’età (requisiti simili a quelli per l’Ape sociale).

Opzione donna è stata prorogata per tutto il 2023 e consente alle donne lavoratrici che abbiano maturato entro la fine del 2022, un’età anagrafica di almeno anni 60 e un’anzianità contributiva di almeno 35, insieme ad un ulteriore requisito. A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2023, la facoltà di opzione è riservata esclusivamente alle lavoratrici caregivers, alle lavoratrici con una riduzione della capacità lavorativa del 74%, alle lavoratrici dipendenti o licenziate da aziende in crisi economica con tavolo di confronto attivo presso il Mise.

Anche l’Ape sociale è stata prorogata per tutto il 2023. Riguarda disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi dal 74% e addetti ai lavori gravosi. La domanda può essere presentata anche da chi ha raggiunto i requisiti negli anni passati, ossia aver compiuto almeno 63 anni di età e non essere già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero.

Pensioni alle prese con spazi stretti in Manovra e la trappola dell’inflazione

Ma perché non ci sono le risorse per finanziare una riforma delle pensioni o almeno quota 41? La spesa per pensioni è lievitata parecchio in questi anni, soprattutto per effetto dei costi per l’indicizzazione degli assegni alla corsa dell’inflazione ma anche a causa della sperimentazione triennale in passato di Quota 100. A incidere anche il calo demografico: meno bambini, quindi meno occupati rispetto ai pensionati, e meno migranti a bilanciare il forte squilibrio.

Dai 281 miliardi di euro del 2020 (16,9% del Pil, che è stato molto basso nel primo anno di pandemia) si è passati ai 296 miliardi nel 2022, pari al 15,6% del Pil. Nei prossimi anni, stando alle previsioni aggiornate del Def, il costo aumenterà ancora: +7,1% nel 2023 e 2024, +3,1% nel 2025 e 2026. In termini assoluti si parla di 317 miliardi di euro quest’anno e di 361 miliardi nel 2026. In termini di rapporto con il Pil, dato che è prevista una crescita economica più o meno costante: anche nel biennio successivo il rapporto spesa-Pil resterà ancorato al 16,1%, mentre il picco, stimato al 17,4%, è previsto per il 2036.

L’aumento sarà in gran parte causato all’onda inflattiva. Le pensioni sono adeguate automaticamente all’inflazione, che ha toccato l’apice a fine 2022 e resterà sopra il 2% per almeno i prossimi due anni. Solo tra 2023 e 2025 la spesa si sarebbe alzata di 50 miliardi. Il governo Meloni ne ha tagliati 10, passando nel calcolo da un sistema a scaglioni progressivo a un altro a fasce ben più penalizzante.

E così i numeri costringono anche questo governo a lasciare le regole Fornero e ad avere poco spazio di manovra sul sistema previdenziale, mentre il Paese è percosso dalle piaghe dell’inflazione, dei tassi in rialzo, del debito pubblico, dalla siccità e dalla guerra.

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