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Pensione di garanzia: progetto M5S-Pd per i giovani

L’obiettivo è tutelare i Millennials e le generazioni successive, che, a causa di rapporti di lavoro irregolari, fra qualche decennio si ritroveranno senza pensione o con assegni troppo bassi per vivere dignitosamente

Pensione di garanzia: progetto M5S-Pd per i giovani

Nella trattativa fra Pd e M5S sul programma del governo Conte 2 rispunta un grande classico della politica previdenziale italiana: la pensione di garanzia per i giovani. Se ne parla da anni, ma finora nessuno è riuscito a portare un progetto serio in Parlamento. Questa potrebbe essere la volta buona, visto che – secondo indiscrezioni – negli ultimi giorni dem e grillini ne avrebbero discusso in termini molto concreti.

L’obiettivo è quello di sempre: tutelare i Millennials e le generazioni successive, cioè tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 e che hanno avuto una vita lavorativa irregolare e caratterizzata da molto precariato. Infatti in base alla riforma Dini (legge n° 335/95), le pensioni di chi ha cominciato a guadagnare da quell’anno in poi saranno calcolate interamente con il metodo contributivo (basato cioè sui contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa), assai meno vantaggioso del retributivo (legato agli stipendi degli ultimi anni di carriera).

La legge Dini puntava a mettere in sicurezza i conti dell’Inps, ma non aveva previsto l’esplosione del precariato, che oggi rende discontinua la storia contributiva di quasi tutti i lavoratori.

Di conseguenza, quando i giovani di oggi avranno diritto alla pensione, si ritroveranno con un montante contributivo molto più basso di quello accumulato dai loro genitori e per di più saranno penalizzati da un metodo di calcolo più sfavorevole. Risultato: le loro pensioni rischiano di essere insufficienti a garantire una vecchiaia dignitosa.

Per affrontare questo problema è nata l’idea di una pensione di garanzia, cioè un assegno previdenziale d’importo fisso, non inferiore all’assegno sociale (oggi poco meno di 450 euro al mese) e interamente a carico dello Stato che andrà a integrare il trattamento maturato dal lavoratore con i contributi versati. Sarebbe una novità importante, anche perché con le regole attuali chi ha la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo (cioè chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995) non può nemmeno beneficiare dell’integrazione al minimo.

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