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Non c’è pace per il tessile italiano: si moltiplicano i casi di fallimenti di aziende storiche

Ecco tutti i casi di aziende simbolo del made in Italy colpite duramente dalla crisi degli ultimi anni: dai cotonifici della bergamasca alle vicende di Gruppo Sixty e Romano Jeans.

Non c’è pace per il tessile italiano: si moltiplicano i casi di fallimenti di aziende storiche

Non c’è pace per il tessile italiano. La “gelata” era in qualche modo attesa. Il prolungarsi delle difficoltà economiche e creditizie lasciava prevedere l’arrivo di una stagione che avrebbe colpito duro aziende già messe alla prova dai nuovi equilibri della globalizzazione. E l’autunno ha reso concrete le più grigie premesse.

In questi giorni, uno dei settori di eccellenza del made in Italy sta perdendo alcune realtà che ne hanno per anni alimentato l’ossatura. I casi si moltiplicano e sono probabilmente solo quelli capaci di “bucare” le cronache. Peraltro, sono diffusi in tutte le aree produttive. 

Nel bergamasco, la crisi sta stritolando il cotonificio Honegger di Albino, una delle più antiche aziende tessili della Val Seriana. Il titolare, Pietro Zambaiti, giovedì scorso ha opposto un secco rifiuto alla proposta di rifinanziamento insieme a Ubi Banca e Banca Popolare di Bergamo per il rilancio dell’azienda, la cui produzione è ferma e i 110 dipendenti in cassa integrazione. Gli istituti di credito sono quindi rimasti gli unici interlocutori cui Provincia e sindacati possono appellarsi per tentare di far ripartire lo storico cotonificio.

A Grosseto, sempre la scorsa settimana, è stata annunciata a tutti i circa 250 dipendenti della Mabro la messa in cassa integrazione fino al 5 novembre, con la motivazione ufficiale del “riassetto del layout produttivo”. L’azienda tessile toscana, da tempo in gravi difficoltà, era stata rilevata dalla Abbigliamento Grosseto dell’imprenditore pratese Andrea Barontini, ma la situazione è rimasta critica. E ieri è per la seconda volta saltato l’incontro tra i vertici della società, le istituzioni e i sindacati, in allarme per la mancanza di garanzie sugli stipendi arretrati e sui posti di lavoro.

Incerto anche il destino della Newcocot (nuova compagnia del cotone), la società al cui interno sono confluiti nel 2006 marchi tra cui Novara Filati e I Cotoni di Sondrio, ma soprattutto aziende storiche come Manifatture di Legnano e Olcese. La Newcocot spa (ora Newcocot srl) e la controllata Industriale Newcocot srl, entrambe in liquidazione, hanno visto bocciata la seconda richiesta di un concordato preventivo, unitario a causa del progetto di fusione che le interessa, dopo il fallimento della prima istanza presentata un anno fa. Al buon esito della richiesta era subordinato l’acquisto del ramo d’azienda dello stabilimento di Cogno (ex Olcese), con 85 addetti, da parte del Cotonificio Olcese, cui attualmente è in affitto. L’operazione resta in stand-by, così come la situazione delle aziende e dei loro dipendenti.

Ci sono poi i casi del Gruppo Sixty, della Romano Jeans (Meltin’ Pot) e del Linificio e Canapificio Nazionale di Villa d’Almè, nell’orbita del Gruppo Marzotto. Il famoso gruppo moda di Chieti, a cui fanno capo i brand Miss Sixty, Energie, Killah, Murphy&Nye e RefrigiWear, è in concordato preventivo e gli oltre 400 dipendenti in cassa integrazione. Ieri, al ministero dello Sviluppo economico, si sono riuniti i vertici dell’azienda, sindacati, istituzioni e la nuova proprietà, il fondo panasiatico Crescent Hyde Park, il quale intende richiedere l’affitto di un ramo d’azienda attraverso la creazione di una newco, idea non gradita ai sindacati che hanno chiesto chiarezza sul piano industriale. Scenderanno in piazza domani, a Taranto, i lavoratori della Romano Jeans, proprietaria del marchio Meltin’ Pot.

I 200 dipendenti, con gli ammortizzatori sociali in scadenza, metteranno pressione sull’incontro tra sindacati e provincia per valutare il futuro dell’azienda. Si è invece conclusa dopo due anni la vicenda del Linificio di Villa d’Almè, anch’esso colpito dalla crisi del tessile. Terminata la cassa integrazione straordinaria, 40 dipendenti sono finiti in mobilità. Infine, non sembra immune dalla recessione neanche il comparto calzature e pelletteria. È ufficiale la messa in liquidazione del Gruppo Filanto di Lecce, cui il Tribunale ha dato tempo fino al 18 dicembre per la stesura di un piano finanziario di rientro dall’esposizione debitoria. Previsto un anno di cassa integrazione straordinaria e poi la mobilità per altri tre anni per i 730 dipendenti di cinque aziende del gruppo (Filanto Spa, Zodiaco srl, Tecnosuole srl, Labor srl, Prosalca srl), mentre è esclusa dalla liquidazione la sola Italiana Pellami srl, con 20 dipendenti, che avvierà le procedure per la mobilità. Si comincia a parlare di mobilità anche per 77 dipendenti del marchio toscano Braccialini, ex gruppo Mariella Burani, sui quali, secondo la stampa locale, la Cisl Toscana ha lanciato l’allarme esubero. L’azienda tuttavia per ora non ha confermato la voce.

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