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Nell’Eurozona non è passata ‘a nuttata

Gli indicatori economici segnalano avanti adagio-quasi ferma. Gli ordini restano in calo e dal manifatturiero ci sono indizi di contagio ai servizi. Tengono consumi e costruzioni. La Brexit è appesa alle elezioni inglesi, mentre è sparita la minaccia di dazi USA sull’auto. Inflazione al lumicino. Dollaro ed euro stabili, lo yuan risale. I tassi a lunga aumentano.

Nell’Eurozona non è passata ‘a nuttata

L’Eurozona continua a essere in affanno, anche se c’è qualche debole segnale di stabilizzazione a bassi regimi, grazie a prospettive migliori per una Brexit ordinata e all’allontanarsi della minaccia di dazi trumpiani sulle auto europee. La politica monetaria è sempre iperespansiva e la politica di bilancio, che dà un minimo supporto (il saldo primario strutturale peggiora), è chiamata a fare molto di più per sostenere la domanda interna, unica via per la ripresa.

Stati Uniti e Cina tengono. Le politiche economiche sono permissive nelle due più grandi economie del mondo e questo permette la tenuta di fronte alla guerra dei dazi in corso. La fiducia è stata confortata dall’avvicinamento di un accordo commerciale, anche se sarà solo una tappa sulla via di un «grande accordo» che continua a latitare. Tenuta (di là dall’Atlantico) e stabilizzazione (di qua…) sono tuttavia fragili, perché sorprese negative sono possibili, sia per le elezioni inglesi sia per i negoziati Cina-Usa. Mentre i mercati finanziari saranno in fibrillazione per la contesa in vista delle presidenziali americane 2020.

In Italia domina la stagnazione. Il terzo trimestre ha visto un aumento della domanda interna, probabilmente legato ai consumi privati (spese da reddito di cittadinanza), mentre il contributo della domanda estera (netta) è stato negativo. Il (modesto) supporto della manovra di bilancio e i tassi bassi aiutano, ma il sostegno delle politiche rischia di essere vanificato da nuove ondate di sfiducia da instabilità politica, di seguito alle elezioni in Umbria (e in gennaio tocca all’Emilia-Romagna) e all’infelicissima vicenda dell’Ilva.

L’inflazione non risorge. Resta fredda la dinamica dei prezzi al consumo, ben sotto l’1% nell’Eurozona e in Italia (rispettivamente 0,7 e 0,2% sui 12 mesi in ottobre) e sotto il 2% in America (1,7%), il che convalida la politica espansiva delle banche centrali. Nonostante l’accelerazione del costo del lavoro. Non ci sono segnali di aumenti dei prezzi delle materie prime e le quotazioni del petrolio (WTI) si mantengono sotto i 60$ al barile. Da notare il fatto che, per la prima volta dal dopoguerra, il saldo commerciale degli Usa per gli scambi di petrolio è divenuto positivo, segno che la capacità produttiva dell’America è tale da mantenere il prezzo del greggio a livelli ragionevoli.

Tassi-guida bassi a lungo fermi ma quelli a lunga salgono. I tassi  a lunga sono in fondo una previsione dei tassi a breve di qui alla scadenza più lontana. Ed è bastato che una leggera brezza di fiducia geopolitica (Brexit e negoziati Cina-Usa) ventolasse i mercati (rendendo meno probabile i tassi bassi per sempre) perché i rendimenti di Bund, BTp e T-Bond, con raro sincronismo, aumentassero di una trentina di punti base rispetto al mese scorso. Naturalmente, la brezza potrebbe cambiare corso e diventare un vento contrario se le speranze fossero (ancora una volta) deluse. Ma per adesso registriamo il fatto che i tassi di mercato si muovono controcorrente rispetto ai tassi-guida delle banche centrali, che sono comunque destinati a stare fermi per molto tempo. In campo valutario, è solo da registrare il ritorno dello yuan, che si è rafforzato fino a quota 7, ciò che facilita i negoziati sulla guerra dei dazi.



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