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Infrastrutture: 260 miliardi per energia, autostrade, ferrovie, tlc, acqua, rifiuti ma chi li trova?

di Andrea Gilardoni* – Il fabbisogno di investimenti previsto dai piani pubblici nei settori cruciali dell’economia ammonta a 260 mld in 15 anni, ma non tutti offrono lo stesso beneficio alla collettività: le rinnovabili assorbono molte risorse ma non danno lo stesso ritorno della banda ultralarga o della logistica. Servono forme innovative di finanziamento.

Infrastrutture: 260 miliardi per energia, autostrade, ferrovie, tlc, acqua, rifiuti ma chi li trova?

Nelle sue ultime Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, il Governatore Draghi ha dedicato ampio spazio al tema della infrastrutturazione del Paese evidenziando come, in ca-renza di un rilancio, ci si allontanerà sempre di più dai principali Paesi europei, e non solo. Il Governatore ha anche sottolineato come ci si debba porre un problema delle priorità soprattutto in un regime di risorse finanziarie scarse; a tal fine ha suggerito il ricorso alla Cost-Benefit Analysis come sistema per indirizzare le scelte.

L’Osservatorio su “I Costi del Non Fare”, che condivide integralmente tali notazioni, stima in oltre 260 miliardi di Euro gli investimenti nei prossimi 15 anni per attuare i piani tendenziali nei settori dell’energia, delle autostrade, delle ferrovie, dei rifiuti, dell’idrico e delle telecomunicazioni. ++ I dati sono riportati nella tabella 1. Da essa emerge come gli investimenti in rinnovabili assorbano larga parte dei fabbisogni (circa 110 miliardi di Euro). Le ferrovie, nel complesso, richiedono circa 50 miliardi di Euro, seguite dalle autostrade per 45 miliardi e poi banda larga, rifiuti e idrico per 10/15 miliardi ciascuno.

Sulla base della Cost-Benefit Analysis, abbiamo stimato i benefici degli investimenti in valore assoluto (penultima colonna) e in percentuale sull’investimento (ultima colonna). Tale incidenza misura in sostanza l’utilità sociale attesa (o il ritorno sulle risorse impiegate) dall’investimento nella filiera.

Dall’analisi sembrerebbe emergere come i benefici per la collettività degli investimenti nelle rinnovabili siano assai modesti, mentre importanti sono quelli negli altri settori. In testa si colloca la banda ultra larga, con un ritorno del 640%; nella logistica (ferrovie e autostrade) l’utilità è intorno al 300%, valori analoghi a quelli dell’idrico. Un po’ più contenuti i rifiuti (200%). In tutti questi casi si genera un beneficio netto molto ampio mentre così non sembrerebbe per gli investimenti nella produzione elettrica, soprattutto nelle rinnovabili, dove risultano marginali.

Mi preme sottolineare come questi dati vadano presi con prudenza: il metodo della Cost-Benefit Analysis, anche se ha molti pregi, si fonda su ipotesi e assunzioni talvolta soggettive e aleatorie. Non va inteso come oro colato, ma serve sicuramente per dar vita ad un dibattito consapevole ed equilibrato. In ogni caso, i valori qui esposti sono conservativi e parziali e appaiono utili per una serie di riflessioni.

1) L’applicazione della Cost-Benefit Analysis, proposta dal Governo e ribadita con forza dal Governatore Draghi, evidenzia attrattività fortemente differenziate nei diversi settori considerati: il beneficio sociale sembrerebbe di gran lunga maggiore in quei comparti che, paradossalmente, hanno sostegni diretti o indiretti assai modesti.

2) Emerge anche che l’analisi verticale, cioè per comparto, appare oggi inadeguata. Ad esempio, lo sviluppo della banda ultralarga impatta sulle infrastrutture logistiche (potendo ridur-re l’esigenza di mobilità), così come la generazione elettrica distribuita o le Smart Cities. La e-mobility (l’auto elettrica) si riflette su logistica e produzione elettrica e anche sull’efficienza energetica. Serve oggi una prospettiva orizzontale, cioè intersettoriale, che misuri l’efficacia nel perseguimento di obiettivi socio-politici.

3) Pur con i limiti e la soggettività del metodo, le marcate differenze che emergono impongono una riflessione complessiva su dove effettivamente indirizzare gli investimenti nel nostro Paese. Il tema appare poi di assoluto rilievo in un quadro di risorse pubbliche scarse.

4) A proposito di finanziamento delle infrastrutture, si deve distinguere tre quelle in grado e quelle non in grado di raccogliere risorse. Tra le prime si annoverano i settori ove il sistema tariffario permette di scaricare sul consumatore l’intero costo delle infrastrutture. Si pensi, ad esempio, al settore elettrico (sia produzione che trasporto) o alle autostrade, ove i meccanismi regolatori garantiscono la remunerazione degli investimenti. Qui, e non è un caso, vi sono disponibilità finanziarie pressoché illimitate.

5) Diverso è se il meccanismo tariffario non funziona, come ad esempio nell’idrico: qui le disponibilità ad investire sono assai limitate e potranno aumentare solo con regole più chiare e ritenute affidabili dagli investitori.

6) Infine, vi sono le situazioni ove la tariffa storicamente non copre gli investimenti. Tipica è la costruzione di infrastrutture nel settore ferroviario o nella banda ultralarga. Qui sembrerebbero necessari contributi pubblici a fondo perduto in assenza dei quali le opere non decolleranno; contributi che, nelle condizioni attuali e prospettiche della finanza pubblica, sono destinati a ridursi significativamente.

7) In sostanza, la finanziabilità delle opere oggi non dipende dal merito delle stesse, ma dagli assetti regolatori, che in un modo o nell’altro, si sono sviluppati nel tempo. Le rinnovabili costituiscono un esempio lampante: da un lato, le politiche europee hanno indotto il nostro Paese, come altri, ad incentivazioni consistenti per raggiungere gli obiettivi 20-20-20; dall’altro, i sostegni si innestano in una seria situazione di sovraccapacità produttiva (stimata in circa 20.000 MW) che sta portando al grave sottoutilizzo di molti impianti a ciclo combinato (vedi Stefano Agnoli su CorriereEconomia del 30 maggio scorso).

8) Ciò impone di pensare a forme innovative di finanziamento. Ad esempio, la Svizzera investe in infrastrutture ferroviarie attraverso il fondo FTP, alimentato dalle tasse sui mezzi pesanti e sugli oli minerali (il cd. finanziamento cross modal). In parte la galleria del San Gottardo è stata finanziata attraverso questo fondo. Nel nostro caso, avrebbe senso sviluppare l’alta velocità del Corridoio 5 da Lione a Lubiana aumentando le tariffe delle relative autostrade? In fondo si deve guardare all’obiettivo ultimo del Corridoio. E ancora, avrebbe senso finanziare la banda ultralarga, se veramente incide su consumi ed efficienza energetica, attraverso la bolletta elettrica riducendo corrispondentemente gli oneri per le rinnovabili? Vi sono molti modi per perseguire gli obiettivi 20-20-20; il Ministro Romani ha dichiarato all’assemblea recente di Assoelettrica che un buon programma di efficienza energetica può sostituire 4 o 5 centrali nucleari; ed allora perché si fa così poco a tal fine? Insomma, il sostegno a rinnovabili troppo onerose non è certamente il migliore modo.

Vi è poi tutta la questione della realizzazione delle opere su cui abbiamo già scritto in queste pagine. (vedi su FIRSTonline “Infrastrutture, il 2010 è stato un anno pessimo ma una legge intelligente potrebbe segnare la svolta”). E’ nostro convincimento che siano maturi i tempi per una nuova legislazione-quadro che sblocchi i principali ostacoli per costruire le infrastrutture. Tale legislazione potrebbe prevedere l’obbligatorietà della Cost-Benefit Analysis e formule innovative per il finanziamento delle stesse. 

*Presidente Osservatorio su “I costi del non fare”

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