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Infrastrutture, il 2010 è stato un anno pessimo ma una legge intelligente potrebbe segnare la svolta

di Andrea Gilardoni* – Secondo l’economista della Bocconi e direttore dell’Osservatorio sui Costi del Non Fare, il fabbisogno di infrastrutture sta diventando ciclopico: 300 miliardi di euro in 15 anni. Però una soluzione per colmare i ritardi è possibile: per partire occorrebbe una strategia chiara e condivisa, con una legge-quadro “Sblocca-infrastrutture”.

Infrastrutture, il 2010 è stato un anno pessimo ma una legge intelligente potrebbe segnare la svolta

Comunque si evolva la attuale situazione politica, il tema del rilancio delle infrastrutture si pone ai vertici delle agende del Governo e del Parlamento. Secondo i dati dell’Osservatorio su I Costi del Non Fare, il 2010 è stato il peggiore anno in termini realizzativi dell’ultimo lustro. Tuttavia, forse perché colpito dal morbo dell’ottimismo della volontà (che si contrappone al “pessimismo della ragione” – Antonio Gramsci), credo vi siano i presupposti per dar corpo ad una riforma che permetta il rilancio degli investimenti in infrastrutture nel nostro Paese. I motivi sono di vario ordine è possono riassumersi nei seguenti punti.

A) Crescente evidenza del fabbisogno infrastrutturale.
Come bene posto in luce nella relazione annuale del Governatore Draghi nel capitolo dedicato alle infrastrutture, esigenze ambientali, economiche, competitive e sociali si sommano a rendere evidente un fabbisogno difficilmente procrastinabile. Le infrastrutture a rete realizzate nel secolo scorso, che da tempo si sa dovrebbero essere ammodernate (o sostituite), si sono ulteriormente deteriorate non foss’altro che per l’effetto degli anni e dell’obsolescenza tecnologica. Si pensi, ad esempio, alle reti gas, elettriche, idriche, autostradali, ferroviarie, ed anche alle telecom, la cui costruzione risale al secondo dopo-guerra, se non prima.
Spesso, poi, queste stesse reti necessitano di essere completate anche se, in genere, non si tratta di grandissime opere poiché la copertura del Paese è comunque ampia. Il fabbisogno infrastrutturale riguarda, peraltro, anche l’impiantistica come, ad esempio, quelle la termovalorizzazione dei rifiuti, quella per l’idrico, gli impianti per le rinnovabili, ed altro ancora. Vi sono poi infrastrutture innovative per le quali il costo è relativamente certo mentre più complessi da quantificare sono i benefici. È il caso, ad esempio, della banda ultralarga (100 mbyte) il cui onere stimato per il Paese si aggira sugli 10 miliardi di € ma di cui non sono ben quantificabili i benefici. Insomma, dalle nostre stime nei prossimi 15 anni si dovranno investire circa 300 miliardi di € solo nei settori qui ricordati; la sfida è ciclopica!

B) Messa a fuoco delle cause che bloccano le realizzazioni.
Ma da dove nasce l’ottimismo? In questi anni studiosi e operatori hanno evidenziato le determinanti dei ritardi infrastrutturali e hanno anche spesso indicato le possibili soluzioni. Noi stessi, nell’ambito dell’Osservatorio su I Costi del Non Fare (si vedano i vari rapporti annuali e in particolare quello del 2009), abbiamo distinto varie concause aventi natura anche fortemente differenziata; basti ricordare l’intreccio tra opposizioni sociali (Nimby), blocchi amministrativi, modifiche legislative (spesso in corso d’opera) e incapacità decisionale, intreccio che genera situazioni a “rischio” che rallentano o bloccano le realizzazioni e allontanano i possibili investitori nazionali e non. Vi sono poi elementi strutturali afferenti al sistema-Paese che hanno un ruolo rilevante, come ad esempio l’illegalità di vario tipo piuttosto che un sistema giudiziario farraginoso e intempestivo, non in grado di garantire i diritti. Insomma, il “nemico” da combattere è ben identificato! D’altro canto, in questi anni abbiamo anche vissuto casi ove gli investimenti sono stati fatti e si è assistito alla modernizzazione del sistema.
Si pensi, ad esempio, al rinnovo quasi totale della capacità produttiva elettrica o alla estensione della rete di trasporto. È opinione diffusa che un assetto di regole percepite come trasparente, stabile nel tempo, equo ed effettivamente applicato, sia essenziale a suscitare l’interesse di lungo periodo degli operatori industriali e finanziari. Ma anche norme, come il cosiddetto decreto sblocca-centrali, che consentano di dare ordine e di accelerare i processi decisionali delle pubbliche amministrazioni, sono elementi imprescindibili per ogni ipotesi di rilancio. Infine, appare anche di rilievo la messa a fuoco di una chiara e condivisa strategia di sviluppo infrastrutturale del Paese, ove il sistema politico possa trovare una adeguata convergenza; ma su questo torneremo fra poco. La questione finanziaria non si esaurisce con il riassetto di regole e procedure.
Vi sono opere che hanno una intrinseca capacità di autofinanziamento in tempi non lunghissimi, altre richiedono la ricerca di fonti di finanziamento pubbliche o semipubbliche; tutta la questione del come sopperire alla crisi della finanza pubblica richiede lo sviluppo di logiche innovative che dovrebbero essere supportate da adeguati interventi legislativi. Come sottolinea più volte Draghi, si tratta di sviluppare adeguate Analisi Costi-Benefici, o anche studi su i Costi del Non Fare, al fine di indirizzare le scarse risorse, pubbliche o private che siano, versogli impieghi che generino i maggiori effetti positivi per la collettività.

C) Le iniziative in essere.
Accanto alle citate realizzazioni di questi anni, si collocano progetti e interventi anche normativi che perseguono il rilancio. Segnalo il Progetto Logistica, promosso dal ministero per le Infrastrutture che punta ad affrontare una criticità, i costi logistici, che pongono l’Italia in condizioni oggettivamente svantaggiate rispetto alla concorrenza internazionale. Nella direzione corretta è anche la scelta di dar vita alla Agenzia per l’idrico (prevista dal Decreto Sviluppo la cui conversione in legge dovrà avvenire nei prossimi giorni) anche se l’attuale formulazione della norma non appare soddisfacente poiché lascia troppi spazi al sistema politico, come ad esempio demandando al Consiglio dei Ministri la nomina del direttore, dando luogo a una soluzione non certo scevra da rischi.
Lo stesso Decreto Sviluppo potrebbe ospitare altre norme che affrontano alcuni temi specifici. Tra gli sforzi meritori va annoverato anche l’impegno a trovare nuove forme di finanziamento; l’ipotesi di Eurobond emessi dall’UE per finanziare le infrastrutture costituisce un buon esempio. Anche l’intervento su queste pagine di Franco Bassanini, Presidente della Cassa Depositi e Prestiti, mostra come le idee e i progetti ci siano, in alcuni realizzati ed altri di prossima attuazione.

D) Verso la costruzione di una legge-quadro.
Dunque, quali le linee-guida per la ricerca di una soluzione definitiva della questione? Utili riferimenti sono la legislazione di altri Paesi, come Francia e Inghilterra, su cui tuttavia non vi è qui spazio per approfondimenti. Senza ambizioni di esaustività, dunque, l’obiettivo della messa a fuoco di una normativa per le realizzazioni infrastrutturali dovrebbe prendere in considerazione almeno i seguenti aspetti:

1) Identificazione del perimetro di riferimento estendendo l’applicazione della norma al più ampio spettro possibile di casi, magari anche distinguendo diversi livelli di rilevanza strategica per il Paese sulla base di parametri oggettivi.

2) Revisione globale degli iter autorizzativi al fine di ricercare semplificazione, di evitare duplicazioni, di estendere al massimo la logica della conferenza dei servizi, di garantire tempi certi ma anche di favorire l’ottimizzazione della qualità della decisioni.

3) Revisione dei poteri della amministrazioni locali per le opere con elevato livello di rilevanza strategica per il Paese.

4) Fissazione delle modalità di coinvolgimento degli stakeholder in un’ottica di massimizzazione della raccolta e del recepimento dei punti di vista anche contro l’opera, ma anche nella prospettiva di favorire una più chiara assunzione di responsabilità circa le decisioni assunte (si veda ad esempio il dibattito pubblico alla francese).

5) Fissazione delle modalità di determinazione delle erogazioni compensative, precisando i criteri di quantificazione dei tetti massimi e le modalità concrete, che ad esempio dovrebbero riguardare la sola realizzazione di opere di sviluppo e di riqualificazione territoriale, evitando corresponsioni in denaro.

6) Limitazione dei ricorsi giurisdizionali contro la realizzazione dell’opera, troppo spesso strumentali ed opportunistici, eventualmente prevedendo forme penalizzanti in caso di esito negativo del ricorso.

7) Istituzionalizzazione di un monitoraggio costante delle fasi realizzative attraverso una “Cabina di regia” permanente che regoli ed indirizzi il percorso secondo una logica di partecipazione continua dei principali stakeholders 8) Concentrazione di tutte le autorizzazioni (Conferenza dei Servizi, Decreto VIA, acquisizione di pareri e nullaosta, ecc.) in un unico momento assicurando la rappresentanza di tutte le Amministrazioni interessate.

Il Governo sta operando in questa direzione. Anche il Gruppo Interparlamentare su I Costi del Non Fare, da noi promosso e di recente costituitosi in seno ai due rami del parlamento, rappresenta un ulteriore opportunità per affrontare in un’ottica bipartisan e complessiva una riforma che dia veramente fiato al rilancio della modernizzazione attraverso una legge a tutto tondo che chiameremo, per comodità e anche per scaramanzia (visto la sostanziale efficacia della Sblocca-centrali), la “Sblocca-infrastrutture”.

* docente dell’Università Bocconi e direttore dell’Osservatorio sui Costi del non fare.

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