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Hamas: chi è, chi lo finanzia, perchè ha attaccato proprio ora? Obiettivo: distruggere Israele

Vale la pena ripercorrere la storia e la strategia di Hamas, considerata dall’Occidente un’organizzazione terroristica, per capire il nuovo attacco. Che, guarda caso, arriva proprio quando, di nuovo, si intravvedeva un accordo di pace. Ma l’obbiettivo di fondo di Hamas, che controlla Gaza dopo le lezioni del 2006, è la distruzione di Istraele. Vediamo allora la sua storia, chi lo finanzia, quali sono i suoi progetti

Hamas: chi è, chi lo finanzia, perchè ha attaccato proprio ora? Obiettivo: distruggere Israele

Nulla avviene mai “per caso”. E non è un caso che il massiccio attacco lanciato dai fondamentalisti islamici di Hamas nella striscia di Gaza fino all’interno dello Stato ebraico avvenga proprio mentre sono in corso i negoziati per un accordo fra Israele e Arabia Saudita, a cui partecipa l’Autorità Nazionale Palestinese, l’entità che dal 1993 governa i territori autonomi palestinesi in Cisgiordania. E nella storia si è visto che ogni volta che si intravvede la possibilità di una pace nel conflitto israeliano-palestinese qualcuno riaccende la miccia. Ma che cos’è esattamene Hamas, chi sono i terroristi che vi fanno parte, chi li finanzia, quali sono i suoi obiettivi e perché ha attaccato Israele proprio ora?

Il potere politico e militare di Hamas

Acronimo di Harakat al-Muqawama al-Islamiyya (Movimento Islamico di Resistenza), Hamas è un’organizzazione politica e paramilitare palestinese, islamista, sunnita e fondamentalista nata nel 1987. Politicamente Hamas governa Gaza da quando nel 2006 ha vinto le elezioni legislative (le ultime che sono state fatte), diventando il primo partito nella striscia di terra delimitata tra Egitto, Israele e il Mediterraneo in cui vivono circa 2 milioni di palestinesi.

A Gaza, Hamas gestisce scuole e ospedali e ha messo in atto molti principi della legge islamica. Ha istituito una “polizia morale”, ha vietato di consumare alcolici e ha imposto parecchie limitazioni alle donne, per esempio relative all’abbigliamento o come il divieto a girare accompagnate da uomini diversi dai propri parenti più stretti o dal proprio marito.
Hamas al suo interno è divisa in varie correnti, con forti influenze da paesi esteri e finanziatori. Una delle correnti principali, meno radicale nella contrapposizione a Israele, è quella che fa riferimento al Qatar, mentre la fazione dei cosiddetti “iraniani” è più fedele allo statuto fondativo, che comprendeva la “distruzione di Israele” fra gli obiettivi.

Hamas ha anche un’anima più strettamente militare: controlla le Brigate Ezzedin al-Qassamal, che da anni combattono Israele e il suo esercito, soprattutto con il lancio di razzi. Il suo principale rivale è Fatah, il partito arrivato secondo alle elezioni del 2006 e che aveva espresso fino a quel momento il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, che ha ufficialmente rinunciato all’uso della violenza e della lotta armata.

Sia l’ala politica che l’ala militare sono considerate un’organizzazione terroristica da numerosi Paesi occidentali o alleati dell’Occidente, fra cui Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Giappone e Israele; mentre Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda considerano un’organizzazione terroristica soltanto l’ala militare.

Nello statuto fondativo di Hamas c’è la distruzione di Israele

Hamas nasce nel 1987 per iniziativa dello sceicco Ahmad Yassin, poi ucciso nel 2004 da un attacco aereo israeliano. Ma le prime attività di quello che sotto la guida di Yassin sarebbe diventato Hamas risalgono agli anni Settanta. Yassin diventa il leader religioso, coadiuvato da Abd al-Aziz al Rantisi e Mahmud al-Zahar, capi politico-militari, sullo sfondo della prima Intifada, la “rivolta delle pietre” innescata da giovani palestinesi contro le forze israeliane nei Territori Occupati.

In sostanza Hamas è il braccio palestinese dei Fratelli Musulmani, un’organizzazione fondamentalista araba presente in vari Paesi, che si propone di combattere Israele con attentati terroristici.
Il statuto fondativo di Hamas stabiliva una serie di principi molto precisi tra cui l’affermazione che “non esiste soluzione alla questione palestinese se non nella guerra santa” ponendosi come obiettivo il ritorno dell’intera Palestina ai suoi confini del 1948, comprendenti lo stato di Israele odierno. Nel 2017 quello statuto è stato sostituito da una nuova versione, che non cambia però radicalmente gli obiettivi.
Nel 2009 Khaled Meshal, capo dell’ala politica di Hamas, si dichiarò favorevole a una soluzione che includesse uno stato palestinese con Gerusalemme est come capitale “sui confini del 1967”, cioè in pratica soltanto in Cisgiordania e a Gaza, i territori che Israele conquistò quell’anno nella guerra dei Sei Giorni e che occupa da allora.

Nel 2017, pur senza riconoscere Israele, la leadership di Hamas ha ribadito l’accettazione di uno stato palestinese nei confini del ’67. Alcuni commentatori non escludono che Hamas potrebbe essere coinvolta in un negoziato di pace, come del resto fece un altro gruppo considerato per lungo tempo un’organizzazione terroristica, l’Olp di Yasser Arafat, poi premiato con il Nobel per la pace insieme al premier israeliano Yitzhak Rabin e al ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres. Nel maggio 2021 si registrò l’ultima grande ondata di scontri ad alta intensità fra Hamas e lo stato di Israele: durarono undici giorni, prima di un cessate il fuoco temporaneo. Da allora però i lanci di razzi da parte di Hamas sono stati ricorrenti, così come le risposte con operazioni militari da parte dello stato di Israele.

I fondi ad Hamas: quelli diretti e quelli “indiretti”

Inizialmente i fondi che arrivano ad Hamas provengono da Arabia Saudita e Siria. In seguito, il principale finanziatore di Hamas diventa l’Iran, che invia una media di 100 milioni di dollari l’anno in denaro, aiuti umanitari e armi alla striscia di Gaza: pur essendo un Paese islamico scita, dunque non sunnita come i palestinesi, Teheran vede in Hamas uno dei gruppi fondamentalisti alleati con cui combattere la sua guerra per procura contro Israele.

Le Guardie della Rivoluzione iraniane fanno pervenire fondi anche alla Jihad islamica, l’altra organizzazione terroristica palestinese che opera sia nella striscia di Gaza che in Cisgiordania. Ma Hamas riceve finanziamenti pure dal Qatar e da altri Paesi arabi, secondo una ricostruzione di Repubblica. Inoltre, ad Hamas arrivano indirettamente le donazioni umanitarie inviate a Gaza dall’Onu, dall’Unione Europea, dalla Norvegia, dal Giappone, dall’Australia e da altre nazioni. Da ultimo va ricordato che una fonte cruciale di finanziamento per la striscia è Israele, che trasferisce a Gaza i salari delle migliaia di palestinesi ammessi a lavorare come pendolari nello Stato ebraico: una cooperazione economica che viene tuttavia sospesa per lunghi periodi quando il conflitto si riaccende, come in questi giorni.

Che cosa ha convinto il popolo a preferire Hamas nelle elezioni del 2006

La vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 2006 colse di sorpresa Mahmud Abbas, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Fino ad allora, come il suo predecessore Arafat, Abbas aveva esteso la propria autorità sia sulla Cisgiordania sia su Gaza. Ma Hamas ha gradualmente aumentato il consenso in tutti i territori palestinesi, particolarmente in quelli più poveri della striscia. Ci è riuscita per tre ragioni: uno stile più ascetico rispetto a quello dell’Anp di Abbas, percepito come corrotto dalla maggioranza della popolazione (i dirigenti dell’Anp vivono in case di lusso e si spostano in Mercedes, lo sceicco Yassin abitava in una catapecchia con il pavimento di terra e girava a piedi); la predicazione fondamentalista islamica rispetto al laicismo dell’Anp; e il radicalismo militare, contrario a ogni concessione a Israele.

Il risultato è che da quasi due decenni la leadership palestinese, unitaria sotto Arafat, si è ritrovata divisa in due fazioni che si combattono politicamente e talvolta anche militarmente: l’Anp, che governa le città della Cisgiordania, sebbene con crescente difficoltà perché anche lì crescono i favori per Hamas e per la Jihad islamica (per questo Abbas rinvia di anno in anno nuove elezioni, temendo di perderle anche in “casa”); e Hamas, che governa la striscia di Gaza e aumenta i consensi in Cisgiordania. Un dualismo con posizioni differenti sul conflitto con Israele, che ha perciò contribuito a paralizzare il negoziato di pace.

Le azioni di Hamas: dai kamikaze ai razzi

In una prima fase delle sue operazioni, Hamas ha attaccato Israele soltanto con attentati terroristici. I primi erano azioni di kamikaze che si facevano saltare in aria alla fermata del bus o nelle discoteche piene di civili israeliani. Tra questo spiccano gli attentati a Gerusalemme nel 1997 e a Rishon LeZion nel 2002 (16 vittime civili israeliane ciascuno) e quello su un bus ad Haifa nel 2003 (17 vittime, nella maggior parte bambini e adolescenti). Gli attacchi suicidi si sono moltiplicati durante la Seconda Intifada che hanno fatto in tutto centinaia di vittime israeliane.

Dal 2001, Hamas ha cominciato ad attaccare Israele anche con razzi, importati clandestinamente attraverso i tunnel al confine fra Egitto e Gaza o fatti con mezzi rudimentali ma egualmente efficaci. Per la frequenza con cui scoppiano conflitti fra Hamas e Israele si parla ora di “guerre di Gaza”.

Eccone alcuni: con un raid in territorio dello Stato ebraico, nel 2006 Hamas cattura Gilad Shalit, un soldato israeliano, provocando settimane di raid aerei e incursioni per cercare di liberarlo (fu rilasciato cinque anni dopo in uno scambio di prigionieri); nel 2008 Hamas lancia razzi sulla città israeliana di Sderot, Israele risponde con un’offensiva militare che dura 22 giorni in cui muoiono 13 israeliani e 1400 palestinesi; nel 2014 il rapimento di tre adolescenti israeliani da parte di Hamas provoca sette settimane di guerra con la morte di 73 israeliani e 2100 palestinesi; nel 2021 Hamas lancia razzi su Gerusalemme, Tel Aviv e altre città israeliane in risposta a scontri sulla spianata delle Moschee di Gerusalemme fra palestinesi e forze israeliane durante il Ramadan, Israele risponde con bombardamenti aerei, muoiono in tutto 13 israeliani e 260 palestinesi. Altre fiammate analoghe scoppiano nel 2022. Ma non c’era mai stata un’incursione di militanti armati di Hamas delle dimensioni di quella odierna, accompagnata da lancio di razzi: un’azione da cui aspettarsi una delle risposte israeliane più dure di sempre.

La differenza, nelle guerre di Gaza, è che Hamas attacca popolazioni civili colpendo a casaccio, che si tratti di attentati suicidi o lancio di razzi su città, mentre i raid israeliani dall’aria e da terra cercano di colpire obiettivi mirati, ovvero installazioni o leader militari e politici di Hamas, anche se queste azioni fanno anche “danni collaterali”, come li chiama Israele, causando ingenti vittime fra i civili palestinesi.

Le ragioni del nuovo attacco

Ci sono almeno tre possibili motivazioni dietro la clamorosa incursione a sorpresa di queste ore, secondo la ricostruzione di Repubblica. La prima è il negoziato per uno storico accordo di pace fra Israele e Arabia Saudita, che sarebbe il tassello definitivo e più importante degli accordi di Abramo firmati da Israele con tre Paesi arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco) durante la presidente Trump. Alla trattativa, mediata dagli Stati Uniti, partecipa l’Autorità Nazionale Palestinese, rappresentata dai più stretti consiglieri del presidente Abbas. Fra le condizioni dell’accordo richieste dai sauditi ci sono concessioni di Israele all’Anp, concordate da Riad con i palestinesi, per rimettere in moto il processo di pace, bloccato da anni.

Se il negoziato avesse successo, Abbas incasserebbe una significativa vittoria politica, in grado di rilanciarlo dopo un lungo periodo di stasi in cui ha perso sempre più favori tra i palestinesi. Attaccare Israele in modo così clamoroso, provocando una prevedibile letale risposta israeliana, metterà verosimilmente Abbas in difficoltà a raggiungere un’intesa con i sauditi e, indirettamente, con il governo israeliano di Benjamin Netanyahu. È una tattica che si è vista spesso nel conflitto israeliano-palestinese: i radicali di entrambe le parti soffiano sul fuoco per impedire che i moderati trovino un accordo di compromesso.

Una seconda ragione è il precedente storico della guerra dello Yom Kippur, quando nel 1973 Egitto, Siria e altri Paesi arabi attaccarono Israele nella data più sacra del calendario ebraico, prendendo di sorpresa le forze israeliane e avendo la meglio per qualche giorno, prima che Israele riuscisse a rispondere. Alla fine, fu lo Stato ebraico a vincere, ma quella guerra rimane il momento più alto di orgoglio per il mondo arabo in settant’anni di conflitti fra ebrei e arabi in Medio Oriente. Ricreare un momento simile può mirare a suscitare un analogo orgoglio, dimostrando che i palestinesi, guidati da Hamas, possono cogliere Israele impreparata, almeno per qualche giorno o qualche ora: un’impreparazione che, detto per inciso, qualcuno proverà a collegare alle proteste anche da parte di ambienti militari israeliani contro la riforma della giustizia portata avanti da Netanyahu, dividendo il proprio Paese e suscitando allarme per la sicurezza nazionale.

Un terzo possibile motivo dell’attacco di Hamas è la rivalità con altri gruppi fondamentalisti, in primo luogo la Jihad islamica, che negli ultimi mesi ha rubato la scena e portato via consensi ad Hamas, specie in Cisgiordania, come si è visto negli attentati e negli scontri che ne sono risultati nella città di Jenin. Infine, non bisogna dimenticare le divisioni all’interno della stessa Hamas tra ala politica e ala militare, e all’interno delle due ali fra radicali e moderati: anche questo può avere influito sulla decisione di attaccare Israele in modo così spettacolare.

Sebbene un attacco per l’appunto così in grande stile richieda una pianificazione che sarebbe difficile organizzare senza un ampio consenso nella leadership del gruppo, e non solo in Hamas: un’azione che scatena la guerra può essere stata presa soltanto con il beneplacito dei finanziatori di Hamas, principalmente dell’Iran, allo scopo di rimescolare le carte su tutta la linea, dal negoziato Israele-Sauditi a quello sul nucleare iraniano. Il Grande Gioco mediorientale passa ancora una volta dal conflitto israeliano-palestinese.

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