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Governo: Di Maio rinuncia ma c’è l’incognita Rousseau

Il capo politico dei Cinque Stelle, duramente rimbrottato da Beppe Grillo, non sarà vicepremier, carica alla quale anche il Pd aveva già rinunciato – Il toto-ministri imperversa, ma tutto dipende dai (pochi) iscritti alla piattaforma online di Casaleggio

Governo: Di Maio rinuncia ma c’è l’incognita Rousseau

La forzata rinuncia di Luigi Di Maio a restare vicepremier segna un passo avanti forse decisivo per la nascita del Governo Conte 2, sulla cui sorte pende però la roulette del voto online degli iscritti al Movimento Cinque Stelle in programma sulla piattaforma Rousseau dell’Associazione privata di Davide Casaleggio.

Dalle ore 9 alle 18 di oggi chi è iscritto da almeno 6 mesi ai Cinque Stelle sarà chiamato a votare Sì o No al Governo con il Pd presieduto da Giuseppe Conte. Se vince il Sì, il via libera al nuovo Governo diventa sicuro, ma se vince il No non ci sarà una seconda chance: si va dritti dritti alle elezioni anticipate con un Governo di garanzia elettorale di breve durata.

E’ per questo che il Presidente incaricato Conte ha rivolto ieri un accorato appello agli iscritti Cinque Stelle perché votino Sì e permettano la nascita del suo secondo Governo.

Un passo avanti, dopo ore molto sofferte, è stato comunque compiuto con la definitiva rinuncia di Di Maio a restare vicepremier. Ma per convincerlo a fare, sia pure malvolentieri, il passo indietro, c’è voluta una durissima telefonata di Beppe Grillo che lo ha chiamato per chiedergli a brutto muso: “Luigi, che fai? Vuoi boicottare il Governo col il Pd?”.

Di Maio farà il ministro – probabilmente alla Difesa – ma non resterà vicepresidente del Consiglio, anche per effetto della mossa spiazzante dell’ex ministro Pd Dario Franmceschini che, da candidato in pectore, aveva rinunciato per tempo a fare il vicepremier in modo da semplificare l’opera di Conte e scoprire le carte di Di Maio. Se nascerà, il nuovo Governo non avrà perciò vicepremier ma solo due capidelegazione per ognuno dei due maggiori partiti.

Ora la battaglia, più che sui contenuti e sul programma che sono quasi del tutto definiti, si sposta sulla selezione dei ministri. Di Maio andrà alla Difesa, il vicegretario del Pd Andrea Orlando dovrebbe andare agli Esteri, anche se appare digiuno della materia. All’Interno andrà un tecnico (o Pansa o la Lamorgese), all’Economia potrebbe andare un uomo della Banca d’Italia (o l’ex Direttore Generale Salvatore Rossi o l’ex Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco) o, in subordine, in vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco. Il capogruppo grillino Patuanelli sostituirà il disastroso Toninelli alle Infrastrutture. Alla Giustizia sarà confermato il ministro Alfonso Bonafede, mentre Franceschini potrebbe tornare ai Beni culturali. Al Lavoro e allo Sviluppo economico – ministeri che Di Maio lascerà a malincuore – dovrebbero arrivare Delrio e la De Micheli dal Pd. Alla Pubblica Istruzione potrebbe andare la renziana Anna Ascani. La grillina Giulia Grillo dovrebbe esse confermata al ministero della Salute e Barbara Lezzi al Sud. Ancora aperta la corsa ai ministeri minori, mentre il nuovo Commissario europeo (forse agli Affari economici più che alla Concorrenza) dovrebbe essere l’ex premier del Pd Paolo Gentiloni.

Ma, incredilmente, ora la parola è alla controversa piattaforma Rousseau, il convitato di pietra delle trattative di Governo che oggi pronuncerà il suo stravagante ma inappellabile verdetto.

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