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DAL BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Il Qe arriverà ma dipenderà dalla crisi ucraina

DAL BLOG “IL ROSSO E IL NERO” DI ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – La Merkel ha già dato dato il via libera a caute aperture al Quantitative easing e Weidmann ha il compito di coprirla ma intende scambiare la carta a caro prezzo legandola agli sviluppi della crisi in Ucraina, da cui dipenderanno tempi e modi del Qe – Mercati felici fino a gennaio

DAL BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Il Qe arriverà ma dipenderà dalla crisi ucraina

Nella storia geopolitica e culturale tedesca la testa ha sempre guardato a sud e a ovest, ma il cuore ha battuto verso est. Le grandi tribù confederate dei Sassoni, dei Turingi, degli Alamanni, dei Bavari (che ancora oggi parlano in casa forme diverse di tedesco) sono arrivate nell’età del ferro da nordest, hanno assorbito nel tempo elementi slavi provenienti da est e hanno iniziato lentamente ad assumere un’identità comune solo alla fine del primo millennio. La loro testa, la componente razionale, ha guardato a Roma per costruire il Sacro Romano Impero e all’Illuminismo francese per fondare la Germania unita e moderna. Dopo il 1945 ha guardato all’America per ricostruire l’economia distrutta e contenere l’Unione Sovietica.

Il cuore, dal canto suo, ha mantenuto un legame profondo con le terre che vanno dal Baltico alla Crimea (dove ancora nel XVI secolo si parlava in alcune zone la lingua dei Goti delle origini). Il legame passionale, che ha talvolta messo in moto la componente violenta e fangosa dell’anima tedesca, si è tradotto nei secoli in campagne militari, in migrazioni, in ampie conquiste e altrettanto ampie e drammatiche ritirate.

Si confronti la rigidità del limes renano (dove nei secoli le uniche frizioni hanno riguardato i piccoli spazi della Saar, dell’Alsazia e della Lorena) con l’elasticità del limes orientale, vago, indefinito e continuamente oscillante negli spazi immensi tra la Prussia e gli Urali. Perfino Hitler ebbe palesemente due pesi e due misure e trattò diversamente la Francia occupata rispetto al mondo slavo. Si vergognò di sterminare gli ebrei francesi in Francia e li mandò a morire nel buco nero orientale.

Separare l’Ucraina dalla Russia e germanizzarla è stato per Berlino un progetto politico ricorrente. Ci provò nel 1919, ci riprovò nel 1941 e un nuovo tentativo è incorso in questo 2014. È interessante notare come la sinistra tedesca, fin dai tempi della Seconda Internazionale (inclusa la componente radicale degli Spartachisti e di Rosa Luxemburg), non si sia mai opposta seriamente a questi disegni e non si sia mai battuta per un’Ucraina libera da ogni influenza esterna.

È in questo contesto storico che va lettolo scontro tra Berlino e Mosca sull’Ucraina iniziato in gennaio. Sia nel caso della Merkel sia in quello di Putin ci troviamo di fronte a figure fredde e razionali, ma il fatto che lo scontro abbia le forme di una partita a scacchi e che il piano militare sia mantenuto a bassa intensità non deve trarre in inganno sulla sua durezza. I due avversari non vogliono farsi troppo male ed esitano ad alzare troppo il tiro. Putin ha a che fare con un’economia indebolita dalle fughe di capitali e dal petrolio in caduta. La Merkel deve limitare i danni che le sanzioni infliggono a un’Eurozona che non può permettersi una nuova recessione, pena la dissoluzione. Gli spazi di manovra per i due contendenti sono angusti, la volontà di conquistarli è forte.

Investitori e trader leggono come parallele e quindi non comunicanti le vicende geopolitiche e la saga del Quantitative easing europeo. Danno troppo peso al teatrino di Weidmann, finto oppositore radicale del Qe, e sottovalutano la questione ucraina, considerandola solo nei momenti in cui raggiunge le prime pagine dei giornali occidentali.

Nella testa della Merkel la sopravvivenza dell’Eurozona (almeno fino alla fine del suo mandato) e il mantenimento di gran parte dell’Ucraina nella sua sfera d’influenza sono due priorità che interferiscono tra loro e che richiedono una gestione unificata.

Merkel, in effetti, si è data un obiettivo estremamente ambizioso. Piegare Putin senza danneggiare troppo l’Eurozona richiede di per sé doti di equilibrio e grande capacità tattica. Farlo senza mettere nemmeno un fucile in Ucraina e nemmeno un euro sia in Ucraina, dove i soldi li mettono gli americani, sia in Europa, dove li mette la Bce (per ora soprattutto a parole), è quasi diabolico.

Putin, uomo intelligente, sa che l’Occidente sull’Ucraina alza la voce perché non vuole fare nulla sul piano militare e poco su quello economico, ma manderà i suoi carri armati a Kiev solo se l’Ucraina verrà ammessa nella Nato. La Merkel, donna intelligente, non vuole l’Ucraina nella Nato e frena con acqua gelata le richieste di Poroshenko in questa direzione.

Non aspettiamoci, quindi, riedizioni clamorose di Budapest 1956 o di Praga 1968. Non pensiamo nemmeno a una Russia che lascia l’Europa al freddo. Aspettiamoci piuttosto frizioni apparentemente più modeste, abbastanza piccole da passare quasi inosservate sotto gli occhi dei mercati ma tali da influenzare l’atteggiamento della Merkel sulle sanzioni e, a cascata, sulla politica fiscale e monetaria dell’Eurozona. 

Le prossime mosse della partita a scacchi si giocheranno sull’eventuale ampliamento territoriale delle due repubblichette di Donetsk e Luhansk, sul taglio delle pensioni pagate da Kiev ai cittadini delle zone ribelli, sull’adozione del rublo nell’est del paese o sul tentativo dei russofoni di ricavarsi un corridoio lungo la costa settentrionale del Mare d’Azov, in modo da congiungere per via di terra la Crimea con la repubblica di Donetsk e la Russia.

La Merkel, ripetiamo, sa perfettamente che nessun soldato europeo (o americano) combatterà mai in Ucraina. Deve dunque giocare al massimo la partita delle sanzioni e quella delle piccole provocazioni.

A ogni inasprimento delle sanzioni ha finora corrisposto perfettamente (e continuerà a corrispondere) un ammorbidimento nelle richieste tedesche a Italia e Francia su disavanzo pubblico e riforme strutturali. La svolta sul primo punto, quella che ha coinciso con l’apparentemente ardita ribellione di Parigi e Roma alle richieste di austerità da parte di Bruxelles, è avvenuta inseguito alla sconfitta militare ucraina e al cessate il fuoco concordato a Minsk ai primi di settembre.

Sul Qe l’intenzione tedesca era quella di tenere duro fino all’ultimo e di concederlo solo in cambio dell’avvio serio di riforme in Francia e in Italia. È possibile che Schaeuble abbia qualche avversione autentica al Qe. La Merkel, politica pragmatica, non ha invece pregiudizi e considera il Qe una carta da giocare bene e da scambiare a caro prezzo, non gratis. Quanto a Weidmann, da sempre creatura della Merkel, il suo compito è di offrire una copertura per il mercato politico interno tedesco senza ostacolare sul serio Draghi, che procede in accordo con la Merkel. 

Come sappiamo, da Parigi non è arrivato nulla. Dall’Italia sono arrivate mille promesse e poca sostanza, almeno fino a questo momento. Nonostante questo la Merkel ha dato via libera a caute e graduali aperture al Qe che hanno di nuovo coinciso con un deterioramento sempre più evidente del cessate il fuoco di Minsk.

Il Qe vero, quello fatto con i soldi, verrà tenuto nel cassetto il più a lungo possibile e sarà gestito nella stessa testa, quella della Merkel, che dovrà valutare la tenuta del consenso interno da una parte e le mosse di Putin in Ucraina dall’altra. Nel frattempo avremo strizzate d’occhio, preannunci via via più precisi, aperitivi, stuzzichini anche sostanziosi a base di Abs e Tltro e tutto quello che servirà a tenere su l’Ifo, le borse e il morale di investitori e operatori economici. 

Meno attenzione a Weidmann, dunque, o alle varie corti di giustizia e più attenzione alle infiltrazioni russe a Mariupol.

Al netto di queste questioni, mercati appagati e felici fino a metà gennaio. Poi, come minimo, qualche dubbio.

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