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Cesare Grandi: la nuova via, la cucina del benessere

Appartiene alla nuova generazione di alta cucina lo Chef de La Limonia a Torino che ha ereditato dalla famiglia di medici una cultura della salute del cibo e dei suoi effetti sulla natura umana. A partire dal rispetto per tutto quello che è naturale.

Cesare Grandi: la nuova via, la cucina del benessere

Da giovane voleva fare il medico, non certo per comodità perché la medicina gli era familiare – suo padre esercitava la professione di medico e lui gli dava una mano in studio – tutt’altro. Lui vedeva nella medicina più che una professione, una vera e propria missione, una filosofia di vita di affermazione del ben vivere, del vivere salutare, dei principi naturali,

Inconsapevolmente, la sua era una concezione taoista applicata alla natura e all’uomo, l’affermazione del  principio che la vita deve tendere a conformarsi alle leggi naturali, affinché scaturisca quell’equilibrio armonico  che coinvolge tutti gli organi e  che è in grado di garantire lo stato di salute della persona umana  aiutandola ad  affrontare meglio il quotidiano attraverso la dietetica, la respirazione e le ginnastiche mediche.

E questo imprinting naturalistico non gli si è mai scollato di dosso anche quando poi, crescendo, si appassionò a cose di cucina a tal punto da debordare dalla via maestra, che sembrava fortemente segnata in gioventù.

D’altronde, da uno che a dodici anni, senza aver nel DNA familiare nessun cuoco o cuciniere, si diletta a preparare un sufflè di spaghetti (“per l’epoca mi sembrava di buona riuscita”) che cosa ci si poteva aspettare? Certo l’esser nato a Cuneo  dove c’è una radicata tradizione gastronomica di territorio, (un detto popolare  come “veul pieme ‘l casul” ovvero vuole prendermi il mestolo, vale un trattato di sociologia sull’importanza del buon mangiare da queste parti) non è stato indifferente per il giovane che di suo ci ha messo la curiosità per antichi sapori.

Addio al camice bianco della famiglia per l’avventura culinaria

Ed è così che Cesare Grandi, dopo il liceo classico decise di abbandonare il camice bianco per l’ Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, e di laurearsi, poi, in Agraria all’Università di Torino. E a 24 anni di avventurarsi nell’apertura de “La Limonaia” che, nonostante  la sua posizione un po’ defilata, sulla strada verso Grugliasco e Collegno, lo ha laureato Chef di rango e oggi attira appetiti gourmet da ogni dove,

Un abbandono solo apparente perché quei principi, Cesare Grandi, oggi 32enne, ce li ha nel sangue, e riesce in maniera sorprendente ad applicarli in una cucina di alto livello e qualità che gli ha attirato consensi non solo di pubblico ma di critica gastronomica per cui è facile preconizzare per il giovane dottore-chef un futuro dal firmamento illuminato. Non a caso Gennaro Esposito lo ha invitato a Festa a Vico per partecipare all’esclusivo pranzo “Una scommessa è una scommessa”  riservato ai giovani emergenti, un pranzo beneaugurante da cui sono usciti nel tempo diversi chef stellati.

Ciò che sorprende in lui è che tutto nasce dalla esigenza interiore di esaltare ciò che cielo e natura danno spontaneamente. Non ha seguito grandi scuole, se non un breve passaggio per i fornelli di Walter Eynard, l’intramontabile chef che negli anni Ottanta diede vita al Flipot di Torre Pellice emblema gastronomico delle valli di tradizione valdese arroccate nel Piemonte Occidentale, paladino della rielaborazione di cibi poveri che per anni fu gratificato da due stelle Michelin e autore di un libro – che ti fa capire il concetto della sua filosofia culinaria – i “Cahier de Cuisine” di Mme Mouston manoscritto datato 1809 un viaggio alla scoperta   di ricette insolite scritte nel francese ottocentesco parlato nelle Valli Valdesi. 

La lezione di Feuerbach, l’uomo è ciò che mangia

Se da Eynard ha ereditato la cultura di recupero e valorizzazione della tradizione del territorio, il suo Chef di riferimento è però il grande Fulvio Pierangelini, Food Director del prestigioso ristorante Hotel de Russie a Roma, e di altri grandi alberghi della catena Rocco Forte in Italia e all’estero. Parlare di Pierangelini è parlare del suo mitico ristorante “Il Gambero Rosso” (due stelle Michelin) affacciato sul mare di San Vincenzo (Livorno) di talento eclettico di ricette provocatorie ed intuitive, che con l’abilità di un prestigiatore sa far emergere la componente “magica” dagli ingredienti più semplici. In una intervista tempo addietro descrisse così la sua cucina: “Preferisco fare arrivare il cibo in tavola attraverso una serie di operazioni facilmente identificabili, che si esprimono in tutta la loro trasparenza. Questo non significa fare una cucina senza ricerca, ma avere fatto della semplicità lo scopo primario della ricerca stessa”.

Parole d’oro per il giovane Cesare Grandi che con questo credo si buttò a capofitto nell’avventura della Limonaia e che a questo credo si è sempre mantenuto fedele nel tempo.

Rispetto della natura e dei sapori naturali, ma Cesare Grandi col suo ristorante va oltre. L’eredità morale di medici in famiglia, di immunologi, di esperti di fitoterapia e nutrizione, lo spingono a studiare le relazioni fra cibo e benessere.

Lo aveva già sostenuto il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach in un celeberrimo libro del 1862 “Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia” nel quale Feuerbach, alfiere di un materialismo radicale e anti-idealistico sosteneva che noi coincidiamo precisamente con ciò che ingeriamo: “La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliorare il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia”.


Ed ecco che la cucina di Grandi diventa un laboratorio permanente di una nuova concezione della cucina, appagamento dei sensi, di tutti i sensi, ma anche cura della persona e  prevenzione degli effetti nocivi che un cibo non naturale, adulterato o sottoposto a lavorazioni sofisticanti può determinare sull’organismo umano.

Il passo obbligato è la piccola dimensione, che sola può garantire un controllo effettivo di tutta la filiera gastronomica della sua cucina. E Grandi, nonostante il successo e la notorietà cionquistata, a questo principio si è attenuto. “Ho scelto di essere “piccolo”, autonomo, ha dichiarato recentemente, per poter garantire cibo artigianale distanziandomi dalla ristorazione dei grandi numeri, dei grandi spazi, dei marchi famosi e degli alimenti più industriali. Scelgo i miei fornitori, produttori, allevatori per poter differenziare l’offerta culinaria e promuovere chi protegge il territorio, chi usa metodi naturali”.

E’ l’esaltazione della biodiversità ai più rigorosi livelli. E questa filosofia prende forma nel suo ristorante in piatti che propongono un sapore originale, ragionato, gustoso e salutistico  come il ‘Gambero viola, yuzu, (agrume giapponese dalle grandi proprietà) furikake (condimento inventato da un farmacista giapponese)’ o le ‘Alici fritte con maionese all’arancia’ (“amo le acciughe perché in fondo fanno sempre festa”) o la ‘Sarda, cuore, bernese, garum’, tanto per cominciare, per proseguire poi con ‘Ravioli d’oca in porchetta, melograno e tartufo nero’ o ‘Linguine, pane, cipolla, ventresca, Campari’. E, passando ai secondi: ‘Pecora, cavoli, rafano’, ‘Bue, tomino di Melle, aiolì’, o ancora “Rana pescatrice, lapsang souchong (un te nero affumicato cinese dalle proprietà benefiche per il colesterolo e il rafforzamento delle ossa) e aglio nero”, per chiudere con il suo celebre ‘L’uovo rotto, la crema gelata e i colori dei fiori’. Un menù dove si respira l’aria antica e pulita del territorio, della terra e del mare, e sapori connaturati alla più antica natura dell’uomo.

Ma vale la pena di accennare anche ad un’originale esperienza che si può fare ne La Limonaia: un’esperienza che nasce  da una cucina  che lo stesso Chef ama definire“Artistica e folle al tempo stesso, proprio perché viva nella sua dimensione più artigianale. Perché non c’è arte senza follia in una tradizione che dà senso alla vita, mantenendo la dimensione del reale”.

I tredici principi attivi delle preparazioni fitorerapiche

 Ed ecco, frutto di una sana follia, i  tredici i principi attivi (mutuati dalle preparazioni fitoterapiche di Etnopharma, l’azienda di integratori alimentari della sua famiglia) che Grandi  importa nella cucina de  La Limonaia in un progetto che si manifesta come una lente che condensa e riformula un sapere antico, l’arte del curare attraverso la cucina. Cibo colto, mai banale nell’emozionale ricerca della purezza delle materie prime, il primo atto di riconoscimento di sé, della propria identità.

“Tredici – spiega lo Chef – è un’esperienza sensoriale che vuole condurre un po’ più in là rispetto al limite percettivo del gusto, dell’olfatto e della vista: è la costruzione di uno spazio dentro di sé dove aiuteremo i sensi a fondersi per raggiungere un plateau inesplorato.
Si manifesta quando i sensi accesi e accordati sublimano per diventare una sola grande esperienza. Annusando, gustando, ammirando si ricrea in ciascuno il mosaico della propria Storia: questo è il senso di Tredici, di ricondurre da dove siamo partiti”.

Nel giardino d’inverno del Cabanon, il vecchio laboratorio, un grande tavolo sociale appositamente creato accoglie gli ospiti che si troveranno a condividere la tavola ed il viaggio. Il completamento della sinergia tra laboratorio e cucina si realizza quindi nell’espansione dei profumi che seducono l’immaginario e l’inconscio.
“Per ogni portata – spiega ancora lo Chef – abbiamo studiato un particolare profumo che viene diffuso con speciali lampade o racchiuso nella consistenza di un concrète massaggiato sui polsi ad accompagnare ogni boccone.

Insomma chi si siede alla sua tavola ha la sensazione di trovarsi al centro di un viaggio iniziatico che partendo dal cibo, dalle sensazioni del gusto arriva fino al suo intimo per scoprire nuove sensazioni coinvolgenti e sentire realizzare un benessere esteriore ed interiore.

Ci piace chiudere con una sua affermazione che potrebbe apparire sull’insegna del suo bel locale, decentrato in un quartiere anonimo ma ricco al suo interno di calore umano: ”Noi non vogliamo apparire, cerchiamo di essere sempre noi stessi a dispetto di tutto, anche contro i nostri più immediati interessi, per un bisogno vitale”. Ci vuole coraggio e un pizzico di follia. Per l’appunto.

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