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Brexit e Uk: il Pil sale (+1,7%), ma i salari scendono e le insolvenze aumentano del 6%

Secondo Atradius, il forte deprezzamento della sterlina, se ha contribuito da un lato a supportare la crescita, dall’altro sta ora iniziando a pesare sui consumi: i salari non hanno seguito dell’inflazione, a causa della bassa crescita della produttività.

Brexit e Uk:  il Pil sale (+1,7%), ma i salari scendono e le insolvenze aumentano del 6%
Un anno dopo il voto che ha sancito l’uscita del Regno Unito dalla UE, la ricerca pubblicata da Atradius sottolinea come l’economia britannica si sia rivelata sorprendentemente elastica. Dopo lo shock iniziale, la fiducia ha visto una rapida ripresa e i consumi hanno continuato a sostenere una solida crescita economica. Anche il forte deprezzamento della sterlina ha contribuito a supportare la crescita, favorendo soprattutto le esportazioni. Tuttavia, il rovescio della medaglia arriva proprio dal fatto che la debolezza della sterlina sta iniziando a pesare sulla spesa al consumo: la moneta inglese ha perso circa il 14% nei confronti dell’Euro e del dollaro statunitense rispetto a giugno 2016. E ciò ha fatto aumentare i costi delle merci importate che, insieme alla risalita del prezzo del petrolio a partire dall’inizio dello scorso anno, stanno facendo salire il livello generale dei prezzi. Lo scorso mese di aprile l’inflazione annuale dei prezzi al consumo si è attestata al 2,7%, il livello più alto dall’agosto del 2013. Nonostante il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi 40 anni (4,6%) e la solida crescita dei posti di lavoro, i salari non hanno seguito il passo dell’inflazione, in parte a causa della crescita relativamente bassa della produttività. In base allo scorso marzo, i salari sono cresciuti soltanto del 2,1% rispetto all’anno precedente, il che suggerisce una contrazione dei salari reali o un calo del potere d’acquisto delle famiglie.

I consumi privati hanno contribuito per l’1,8% alla crescita del PIL, che nel corso del primo trimestre di quest’anno ha registrato un rallentamento dello 0,2%: si tratta del dato più negativo registrato negli ultimi quattro anni. Il rallentamento ha interessato soprattutto le industrie maggiormente dipendenti dai consumi, come alberghiero e retail, benché ciò potrebbe essere parzialmente compensato dall’aumento dei visitatori stranieri attratti dalla debolezza della sterlina. E se il tasso di risparmio delle famiglie si è attestato a livelli bassi (soltanto il 3,3% nel quarto trimestre 2016), nel 2017 le condizioni del credito al consumo dovrebbero farsi più restrittive per la prima volta in sei anni.

Per il momento la crescita economica dovrebbe poter contare ancora sull’aumento dei consumi pubblici e sul contributo positivo fornito dal saldo con l’estero, grazie alla maggiore competitività delle esportazioni, per una crescita stabile del PIL prevista intorno all’1,7%. Gli investimenti delle imprese hanno registrato un risultato migliore del previsto e dovrebbero mantenersi stabili quest’anno, in parte grazie alla natura a lungo termine della maggior parte degli investimenti e alla fiducia nei confronti dell’economia britannica. Tuttavia, con l’entrata nel vivo dei negoziati con l’UE, gli analisti si attendono un aumento del clima di incertezza che potrebbe avere un impatto più negativo su consumi e investimenti nel 2018.

Secondo i dati dello UK Insolvency Service, nel primo trimestre di quest’anno 3.967 imprese sono entrate in stato di insolvenza e ciò indica un aumento del 4,5% rispetto allo stesso trimestre del 2016 e del 5,3% su base annuale: si tratta del terzo trimestre consecutivo di crescita del numero di insolvenze. L’analisi per settore di attività mostra come, lo scorso anno, i casi di insolvenza si siano concentrati nei settori edile, retail e alberghiero. Il settore edile è, in generale, responsabile della quota maggiore di insolvenze a causa del numero elevato di imprese e della forte concorrenza, senza dimenticare che, con il deprezzamento della sterlina, queste imprese sono anche esposte all’aumento dei costi per l’importazione di materie prime. Anche i settori di retail e alberghiero dovrebbero far registrare un aumento dei casi di insolvenza nel 2017 e 2018 a causa del calo dei consumi. Questi settori dovranno anche confrontarsi quest’anno con l’entrata in vigore del National Living Wage (il salario minimo obbligatorio) e con l’estensione alle piccole imprese del meccanismo di iscrizione automatica ai fondi pensione. Inoltre, le coperture sui cambi, che avevano messo molte imprese al riparo dalle oscillazioni della sterlina all’indomani del referendum, stanno iniziando a scadere e ciò potrebbe esporre un numero maggiore di imprese all’aumento dei costi di importazione di merci e servizi. Nonostante ciò, l’andamento delle insolvenze ha visto un miglioramento in alcuni settori: lo scorso anno la debolezza della sterlina ha sostenuto il settore agricolo, favorendo un calo delle insolvenze dell’8% in questo comparto. La valuta debole ha anche sostenuto il comparto manifatturiero, in quanto ha reso le merci di produzione britannica più competitive nei mercati esteri (i casi di insolvenza sono scesi del 5% nel 2016). Le esportazioni britanniche sono inoltre favorite dalla crescita più sostenuta nell’Eurozona.

Tuttavia, le previsioni di insolvenza per il Regno Unito nel 2017/2018 si confermano negative. I settori dipendenti dai consumi rappresentano una quota elevata dell’economia dal momento che i servizi contribuiscono a circa l’80% dei PIL, mentre il comparto industriale contribuisce soltanto al restante 20%. Gli analisti prevedono che la tendenza attuale sarà confermata anche per il resto dell’anno: il numero totale di casi di insolvenza nel Regno Unito dovrebbe crescere del 6% quest’anno e dell’8% nel 2018.

In termini di legami economici e finanziari con il Regno Unito, i paesi maggiormente vulnerabili sono Irlanda, Olanda e Belgio, seguiti da Francia, Germania e Spagna. In aggiunta agli impatti diretti, l’incertezza crescente potrebbe pesare sul livello di fiducia e sulle condizioni finanziarie nel Regno Unito e nell’UE, con ripercussioni che l’OCSE ha stimato nella perdita di 1 punto percentuale sulla crescita del PIL in Europa nel biennio 2016/2018 rispetto allo scenario di riferimento senza la Brexit. E, dal momento che le insolvenze sono strettamente allineate con il ciclo economico, le variazioni nella crescita del PIL hanno un effetto sull’andamento delle insolvenze, con un aumento analogo dei casi di insolvenza, in particolare nei mercati maggiormente esposti verso il Regno Unito.

Nel complesso, il Regno Unito importa dall’Europa una quota significativa di valore aggiunto nel settore chimico, trasporti e tessile. Dal punto di vista interno, le industrie che non dipendono dalle esportazioni, quali l’edilizia e i servizi finanziari, sono al riparo da eventuali ripercussioni. Se invece si offre uno sguardo ai diversi Paesi, l’impatto più negativo della debolezza della sterlina e del rallentamento della crescita del Regno Unito si riflette sull’Irlanda, considerati i forti legami economici, geografici e storici, dove si prevede un aumento dei casi di insolvenza superiore del 2,5%. A seguire Paesi Bassi e Belgio, per cui è previsto un aumento delle insolvenze pari a 1,3% e 1,2%, rispettivamente, con i restanti Paesi europei che dovrebbero subire un impatto molto limitato.

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