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Bestseller del passato: Carolina Invernizio, signora dall’incredibile immaginario

Per questo appuntamento con i bestseller del passato presentiamo la prima scrittrice della serie, Carolina Invernizio. Sappiano che la scrittura è uno dei campi in cui si esprime potentemente il talento e la specificità femminile. In tutte le statistiche sulla lettura, sono le donne a primeggiare.

Bestseller del passato: Carolina Invernizio, signora dall’incredibile immaginario

Nelle molteplici professioni dell’editoria sono ancora le donne a primeggiare. Indubbiamente il Novecento è stato il secolo delle donne scrittrici e lettrici. Anche in Italia tra gli autori di successo popolare già dai primi decenni del Novecento non si annoverano solo uomini, ma ci fu anche una nutrita pattuglia di scrittrici che seppero alimentare, arricchire e talvolta infiammare l’immaginario dei lettori e delle lettrici. E in qualche caso con strascichi editoriali che arrivano direttamente ai giorni nostri, o poco ci manca.

Una di queste è stata Carolina Invernizio, una narratrice di fine Ottocento-primi del Novecento, sulla quale ha pesato a lungo, e forse in maniera decisiva, il giudizio che ne diede Gramsci nei suoi Quaderni del carcere: “l’onesta gallina della nostra letteratura popolare”. A ben vedere il giudizio ci poteva anche stare, e la riprova è che ancora oggi viene riportato unanimemente.

Lo stesso Umberto Eco, che ha studiato e apprezzato certe forme della cultura popolare, non è stato tenero con la scrittrice scrivendo:

Era molto popolare, nel XIX secolo, Carolina Invernizio, che ha fatto sognare intere generazioni di proletari con storie che si intitolavano Il bacio di una morta, La vendetta di una pazza o Il cadavere accusatore. Carolina Invernizio scriveva malissimo e qualcuno ha osservato che aveva avuto il coraggio, o la debolezza, di introdurre nella letteratura il linguaggio della piccola burocrazia del giovane Stato Italiano (a cui apparteneva suo marito, direttore di una panetteria militare.)

Sono forse giudizio che calzano a pennello, a patto che si abbia il coraggio di estenderlo ai giorni nostri, sia pur con termini diversi, a molti dei narratori che vanno per la maggiore, sia in libreria che negli schermi, dato che non hanno meriti letterari molto superiori ai suoi. Ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe lontano.

Una straordinaria creatività

Carolina Invernizio è stata una donna di origine borghese, dalla esistenza lineare, scandita dalle tappe tipiche della sua condizione sociale: gli studi da maestra, il fidanzamento, il matrimonio, una figlia amatissima, una famiglia normale con i suoi riti e le sue abitudini. Una vita forse anche piatta, senza mai un acuto o un colpo d’ala.

Ma forse era l’humus ideale, e diremmo quasi indispensabile, perché potesse sbocciare e prender corpo la sua creatività, che si concretizzò in oltre 120 romanzi, tutti baciati, chi più chi meno, da una ottima accoglienza del pubblico.

I suoi libri si susseguivano regolarmente uno dietro l’altro, quasi fossero i grani di un rosario, con le copertine variopinte e i titoli estremamente suggestivi, che spingevano i lettori a correre in libreria. Proprio le copertine e i titoli, scelti con grande attenzione dalla scrittrice e dal suo editore Salani che arrivò a creare una specifica collana per il suoi romanzi, costituiscono un ingrediemte primario del suo successo. Basta scorrere le prime edizioni de Il bacio di una morta, La sepolta viva, La vendetta di una pazza, Il delitto della contessa, La mano della morta, La figlia dell’assassino, L’orfanella di Collegno, I figli del peccato, solo per citarne qualcuno, per capire l’importanza di queste scelte nell’Italietta del primo novecento.

Anche il cinemaattingea lei

I romanzi non furono mai presi in considerazione dalla grande critica letteraria, con qualche eccezione, come appunto quella di Gramsci, ma hanno costituito per decenni le letture privilegiate di tanto pubblico, specie femminile. E questo avveniva nonostante gli anatemi della buona società, che ne sconsigliava vivamente la lettura alle fanciulle, o la messa all’indice della Chiesa, che riteneva peccaminose quelle letture.

Alcuni romanzi sono stati poi trasposti in opere cinematografiche, fin dai tempi del muto, e in seguito, fino ai giorni nostri, hanno costituito materia e sottofondo per film e sceneggiati televisivi, che non hanno mancato di raccogliere consensi e applausi. Ricordiamo a tal proposito il film Il bacio, ricavato dal suo Bacio di una morta, uscito nel 1974 per la sceneggiatura di Pupi Avati; oppure lo sceneggiato televisivo in cinque puntate, Romanzo popolare italiano, realizzato da Ugo Gregoretti, la cui terza puntata, andata in onda nel dicembre del 1975, è stata ispirata a un suo romanzo e interpretata da Luigi Proietti. O, per concludere, la serie della Dama velata, trasmessa da RAI uno nel 2015, a ulteriore riprova che le sue storie non erano proprio da buttare via.

La vita

La Invernizio nasce a Voghera nel 1851, in una tranquilla famiglia medio borghese. Il padre è un funzionario statale e nel 1865, quando Carolina ha 14 anni, si trasferisce a Firenze in seguito allo spostamento della capitale da Torino. Qui la ragazza studia e si diploma come maestra, come le tre sorelle e come molte figlie della sua classe sociale. All’età giusta si fidanza con un ufficiale dell’esercito e nel 1881, forse un po’ in ritardo con i tempi, si sposa. E dopo cinque anni viene l’unica figlia, Marcella. Una vita, come si vede, in cui le tappe si succedono regolarmente, in maniera identica a quelle delle “signore” bene del paese.

Ma nella sua testa non manca l’anima nera, nonostante l’apparenza borghese esibita sempre e impeccabilmente: un’anima trasgressiva e dirompente, tenuta rigidamente a freno. È moglie esemplare, madre tenerissima, molto devota alla Madonna, al cui Santuario della Consolata a Torino si reca con la figlia ogni sabato. Il lunedì riceve amiche e conoscenti nel suo salotto e in qualche caso anche intellettuali di passaggio: i piccoli obblighi sociali e cittadini, comprese le prime a teatro. Mai una trasgressione, mai una chiacchiera su di lei. Unico vezzo, se si può definirlo tale, quello di aver posticipato la data di nascita di 7 anni, scoperto solo in tempi recenti con un’indagine all’anagrafe. Per il resto niente da dire.

L’esordio giovanile

Inizia a scrivere già da ragazzina, quando frequenta la scuola magistrale, tanto che un suo racconto rischia di farla espellere dalla scuola per il contenuto scabroso. Ma il vero esordio si ha nel 1877, quando si presenta di persona dall’editore Salani di Firenze, con stabilimento non lontano da dove abita, e gli propone il suo primo romanzo, Rina o l’angelo delle alpi. Il grande editore popolare fiorentino rimane subito colpito dall’inattesa proposta di pubblicare un libro di autore femminile, evento raro nel mondo delle lettere di allora, e dalla grazia della giovane, dai quaderni in cui è vergato con bella grafia il romanzo.

Lo legge e decide di pubblicarlo subito, chi dice retribuendoglielo 5 napoleoni d’oro, cioè cinque monete da 20 lire l’una, chi senza alcun compenso, chi per un compenso che la ventiseienne Carolina, che però ne dichiara 19, non volle mai accettare. La scommessa si rivela subito vincente, il libro va a ruba, le ristampe si susseguono, la tiratura si impenna, pare raggiunga le 150.000 copie solo nei primi anni. Considerando che Cuore e Pinocchio sono di là da venire, il romanzo è un successo senza pari nel nostro asfittico panorama editoriale, ricco sì di libri, ma scarso di lettori. Allora come oggi.

Una pausa

Sembrerebbe a questo punto il momento di battere il ferro finché è caldo, di proseguire cioè con le opere successive, con la prima a far da battistrada. Ma qui Carolina si ferma, si prende una pausa; forse incombe il matrimonio con i relativi preparativi, la nuova dimora, una vita familiare da impostare e incanalare nei giusti binari fin dagli inizi.

Riprende a scrivere solo una diecina d’anni dopo, a metà anni Ottanta, proprio nel periodo della nascita della figlia, avvenuta nel 1886. Ma da questo momento non ci saranno più soste. Il ritorno ai libri si ha con quello che diventerà il suo maggior successo: Il bacio di una morta, un’opera che verrà ristampata un’infinità di volte e che sarà riproposta, come abbiamo visto, anche in vari rifacimenti cinematografici e televisivi.

Una produzione enorme

Carolina riallaccia così i rapporti col Salani, fra l’altro adesso abita proprio di fronte alla casa editrice, nel Viale dei Mille a Firenze, e inizia una collaborazione, che durerà trent’anni, fino alla morte di lei nel 1916, anche se il vero e proprio contratto ufficiale che la lega in esclusiva all’editore verrà firmato solo nel 1907.

Ma questo è un dettaglio senza importanza, in un rapporto continuo e mai interrotto, con una produzione regolare di tre o quattro libri l’anno, in alcuni casi però ampliata sino ai sette del 1892, agli otto del 1912 e di nuovo ai sette del 1915: romanzi che talvolta erano già apparsi in appendice ai quotidiani “L’opinione nazionale” di Firenze e “La gazzetta di Torino”.

Il successo si ripete d’ora in poi con ogni titolo. E a questo punto viene retribuita regolarmente: 600 lire a volume. Non è tanto, per le vendite che assicura, ma non è nemmeno poco: Emilio Salgari in quel periodo ne prende poco più della metà, 350 lire a titolo. Ma a lei, una signora della buona società, la somma basta: c’è lo stipendio del marito, ufficiale dei bersaglieri, a far quadrare il bilancio familiare. E comunque scrivendone oltre tre l’anno di media non va a guadagnare più del consorte? A Natale poi l’editore le fa dono di un bel gioiello.

A lei insomma va bene così, non cerca di passare ad altri editori, né di farsi pagare a percentuale, cosa che le avrebbe garantito guadagni stratosferici. Si ritiene appagata e non pensa di cambiare alcunché. Figurarsi poi andare a trattare pignolescamente i compensi con l’editore! Diverso e ben più drammatico il caso di Salgari, con una famiglia numerosa e una moglie bisognosa di cure continue, al quale i soldi non bastano mai, cosa che lo porterà poi al suicidio.

I perché del successo

Perché tanto successo? Probabilmente perché la sua prosa semplice ed elementare è facilmente accessibile a tutti, anche ai ceti più umili. Ma piace anche a quelli più alti. È risaputo che lo stesso Giolitti, durante le vacanze estive a Bardonecchia, non manca mai di portarsi dietro un suo libro. E ogni mese una nave salpa dal porto di Livorno per l’America stipata dei suoi volumi, che talvolta rimangono l’unico legame degli emigranti di Buenos Aires o Long Island con la madre patria.

Quegli elementi che hanno fatto la fortuna del romanzo d’appendice e che lei sa giostrare abilmente, delitto, colpa, peccato, tradimento, odio e amore, talvolta venati da atmosfere al limite dell’illecito e dell’erotismo, riescono ad esercitare un fascino irresistibile. Così come l’eterna lotta tra il bene e il male, fra vizio e virtù, fra creature angeliche e diaboliche, fra seduttori depravati e fanciulle ingenue corrisponde alle attese del pubblico, ne stimola l’interesse, la curiosità. E in tal modo il lettore si identifica con la vicenda narrata.

La scrittrice si ispira spesso a fatti di cronaca, agli episodi delittuosi più inestricabili; la sua fantasia li rielabora e li porta a conclusione. Per rendere credibili le sue storie cerca di rappresentare realmente i luoghi, le strade e i vicoli dove si svolgono i crimini. Utilizza guide stradali, quando non può recarvisi di persona, in modo da apparire credibile e ben aderente alla realtà, come Salgari fa con i luoghi esotici aiutandosi con atlanti e enciclopedie.

Muore di polmonite nel 1916, all’età di 65 anni. Nel testamento ha espressamente richiesto che la sua sepoltura venga rimandata di qualche giorno, per evitare quel destino di sepolta viva che aveva così sapientemente descritto nell’omonimo romanzo.

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