Condividi

Argentina, Governo a un passo dal controllo di Ypf (Repsol)

La presidente Cristina Fernández intende convertire a società mista statale la principale compagnia petrolifera del Paese, Ypf – Il Governo starebbe pensando di acquisire almeno il 30% della società, controllata per il 57% dal gruppo spagnolo Repsol e per il 25% dalla famiglia Eskenazi – L’interventismo dell’esecutivo spaventa gli investitori stranieri.

Argentina, Governo a un passo dal controllo di Ypf (Repsol)

Il Sudamerica è diventato negli ultimi anni una delle regioni più attrattive in tema di investimenti esteri, catalizzando capitali provenienti non soltanto dalle grandi multinazionali occidentali ma anche dalle nuove grandi potenze come Cina e India che, spinte dalla grande disponibilità di materie prime e dalla ritrovata stabilità politica, hanno contribuito alla impetuosa crescita economica che ha avuto luogo da dieci anni a questa parte. C’è tuttavia l’eccezione di un Paese che, nonostante l’enorme ricchezza di materie prime e una naturale vocazione all’internazionalizzazione, sembra andare in controtendenza creando un clima che, se non ostile, è quantomeno complicato per gli investitori stranieri.

Si tratta dell’Argentina di Cristina Fernández de Kirchner, la “Presidenta” che, forte della rielezione a furor di popolo ottenuta nello scorso ottobre, sembra voler continuare con decisione sulla strada di un ritorno al modello peronista, basato sul forte interventismo dello Stato nella gestione dell’economia. Le prime limitazioni alle libertà economiche si erano già potute notare negli anni del primo mandato della Kirchner, con la nazionalizzazione dei fondi pensione, le ingenti tasse sulle esportazioni agricole (vero e pressoché unico motore dell’impetuosa ripresa dopo la crisi del 2001-2002) e la legge sulle telecomunicazioni che aveva limitato l’offerta nel settore delle trasmissioni radiotelevisive. È sufficiente citare un dato: l’Argentina si trova al 113esimo posto mondiale nella classifica della Banca Mondiale per quanto la facilità di intraprendere attività economiche.

È di queste ultime settimane una vicenda legata al settore energetico e che vede nel mirino la compagnia petrolifera YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), principale azienda estrattiva e distributiva di petrolio e suoi derivati nel Paese sudamericano. YPF, controllata per il 57% dalla multinazionale spagnola Repsol e per il 25% dalla famiglia argentina Eskenazi, è stata oggetto di un attacco congiunto da parte del Governo di Buenos Aires e delle Province dove sono presenti le maggiori risorse petrolifere (Chubut, Santa Cruz, Neuquén, Mendoza, Salta e Rio Negro): le autorità sostengono infatti che l’azienda non stia effettuando sufficienti investimenti nei territori in cui opera e che negli ultimi mesi abbia volontariamente limitato le attività estrattive per mantenere più alti i prezzi. Per questo motivo le Province in questione hanno deciso di ritirare alcune concessioni fornite a YPF e proprio in queste ultime ore il Governo argentino ha lasciato trapelare il progetto di voler acquisire almeno un terzo delle azioni di YPF, rilevando la quota della famiglia Eskenazi e approfittando del basso valore dell’azienda: complici anche i forti ribassi subiti nel mercato azionario argentino negli ultimi giorni, YPF vale ormai 8,74 miliardi di dollari, meno della metà di quanto valeva l’anno scorso.

Repsol, dall’altra parte, non ha esitato a difendersi dimostrando come, dati alla mano, non sarebbe vera la carenza di investimenti effettuati in Argentina attraverso YPF. Al contrario, gli investimenti previsti per il 2012 ammontano a 3,4 miliardi di dollari (il livello più alto di sempre), con un aumento di 500 milioni di dollari rispetto al 2011. Il Presidente di Repsol-YPF, Antonio Brufau, si è recato nei giorni scorsi in Argentina per cercare un accordo con le autorità, ma il percorso verso l’istituzione di una società a partecipazione mista pubblico-privata sembra ormai segnato.

Kirchner come Chávez in Venezuela e Morales in Bolivia? Se ancora non siamo alle minacce di nazionalizzare gli idrocarburi, certo è che un simile evento difficilmente potrà incoraggiare l’afflusso di nuovi investimenti nel settore energetico in Argentina. Il Paese sudamericano, al di là della vertiginosa crescita dell’economia degli ultimi anni, si trova a dover fronteggiare un deficit energetico crescente, problema che in questo periodo non è stato affrontato anche per la mancanza di progetti infrastrutturali da parte del Governo: gli alti costi dell’energia sono dunque una delle ragioni per le quali l’Argentina è tormentata da un’inflazione che, nonostante le mendaci statistiche ufficiali, veleggia intorno al 30%.

  In questo scenario non propriamente limpido per gli investimenti esteri, anche le aziende italiane potrebbero esserne danneggiate. Leader nel settore energetico argentino, in particolare nella produzione della distribuzione di energia elettrica, è Endesa, società controllata dal 2009 da Enel che rappresenta il primo operatore privato nel continente latinoamericano. Anche Endesa/Enel da diversi mesi sta affrontando un braccio di ferro con le autorità locali che impediscono all’azienda di aumentare ulteriormente le tariffe. Tale aumento è richiesto dall’azienda in virtù degli investimenti realizzati e dell’aumento dei costi di gestione provocato dall’inflazione. Il margine Ebitda di Endesa in Argentina è negativo e testimonia le difficoltà che sta affrontando l’azienda, sebbene l’esposizione sul mercato argentino sia relativamente limitata rappresentando solo il 3% dell’Ebitda nel continente latinoamericano.

L’Argentina ha bisogno degli investimenti stranieri per fornire ulteriore impulso alla propria crescita e le nazionalizzazioni non sembrano la risposta più adeguata a fornire una soluzione all’inflazione galoppante: ulteriori aumenti della spesa pubblica sarebbero deleteri per un Paese che ha impostato sull’assistenzialismo e i sussidi a pioggia buona parte delle proprie politiche sociali. Dall’altra, gli investimenti italiani nel settore energetico potrebbero essere scoraggiati e le nostre aziende potrebbero trovare conveniente puntare tutto su Paesi vicini come il Cile, dove c’è un clima ben diverso nei confronti dei capitali esteri.

 

Segui lo sviluppo della notizia sui siti argentini: ElCronista

Commenta