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Angori: “Pininfarina, dal baratro alla rinascita puntando sul design”

INTERVISTA A SILVIO PIETRO ANGORI, ad di PININFARINA – Oggi Pininfarina non fa più automobili, anche se il suo brand resta legato all’automotive, ma è diventata una società di servizi che ha realizzato in 10 anni una rivoluzione spettacolare che l’ha salvata e rilanciata – Gli indiani di Mahindra sono partner finanziari al 76% ma “Pininfarina è made in Italy”, racconta con orgoglio Angori.

Angori: “Pininfarina, dal baratro alla rinascita puntando sul design”

Ripartire dalla reputazione del marchio e dal design, per tornare ad essere grandi dopo aver vissuto gli anni più bui della propria storia, con un debito che aveva superato i 600 milioni di euro e un business che non riusciva più a sopportare la crisi del mercato auto. Questa è la storia degli ultimi 10 anni di Pininfarina sotto la guida dell’amministratore delegato Silvio Pietro Angori (primo manager esterno della storia, voluto da Andrea Pininfarina prima della sua incredibile morte nel 2008) e – dal 2016 – con una nuova governance, dopo l’acquisizione del 76% del capitale da parte del gruppo indiano Mahindra. “Abbiamo preso quello che nel 2007 era una parte minuscola del fatturato (30 milioni su 1,2 miliardi) e ne abbiamo fatto quello che siamo oggi”, racconta a FIRSTonline l’Ad del brand storicamente legato all’automotive (dal quale ancora oggi deriva il 70% del fatturato) ma che disegna di tutto, dagli aerei agli yacht, dai grattacieli ai treni, fino all’architettura d’interni, le macchinette del caffè, i distributori di bevande, le ovovie (e gli scarponi da sci), bottiglie, orologi e tanti altri oggetti che hanno fatto la storia del made in Italy. “E tengo a precisare che Pininfarina è made in Italy: Mahindra è un investitore finanziario, che ha voluto un Cda composto per 5/9 da consiglieri indipendenti. E la ristrutturazione del debito era partita ben prima dell’acquisizione”. 

Dottor Angori, che cos’è Pininfarina oggi? 

“Oggi è una società di servizi, al 100%. Non produciamo più automobili, come abbiamo fatto fino al 2010: nel 2007 il 90% del fatturato di Pininfarina derivava dalla realizzazione di veicoli per conto terzi. Il restante 10% derivava da attività di design e ingegneria legate per metà a nostre produzioni, e per l’altra metà per conto terzi. Un giorno, abbiamo deciso che quella piccola parte del nostro business, pari dunque al 5% e quantificabile in 30 milioni di ricavi (altri 30 venivano da un’attività in Francia che abbiamo dovuto vendere) sarebbe diventata l’azienda tutta. E oggi quei 30 milioni sono diventati 87 nel bilancio 2017, con il primo semestre 2018 che ha registrato un +27% semestre su semestre. I dipendenti, che nel 2016 avevano toccato il minimo di 500, sono risaliti a 650, di cui 350 nel nostro head quarter di Cambiano”. 

Perché avete fatto questa scelta? 

“Innanzitutto per la reputazione del marchio. il marchio non è altro che ciò che un’azienda fa al meglio, e nei nostri oltre 80 anni di storia ad averci contraddistinto è stato il design. E ovviamente è stata anche una scelta dettata dalle difficili condizioni di mercato di quegli anni. Nei primi anni 2000 c’è stato un cambiamento radicale nell’approccio delle case automobilistiche nei confronti della filiera di fornitura, che ha spostato il rischio verso i fornitori. C’è un dato: nel 2004, le prime 40-50 aziende di componentistica automotive sono fallite o sono state soggette ad amministrazione straordinaria. Tra l’altro con la crisi del 2007-2008 ad andare maggiormente in difficoltà è stato proprio il settore delle auto di nicchia (come per esempio la Spider), che ora si sta solo in parte riprendendo”. 

La Ferrari "Sergio", prodotta in meno di 10 esemplari
La Ferrari “Sergio”, prodotta in meno di 10 esemplari

Un’azienda di dimensioni minori rispetto ad una volta, ma con un modello vincente, che nella transizione ha abbattuto un debito monstre: è così?

“Nel 2007, quando sono diventato direttore generale di Pininfarina (nel 2009 sarei poi diventato amministratore delegato), non eravamo solo ad un miglio dal baratro ma eravamo sull’orlo del baratro. Avevamo un debito da oltre 600 milioni e 5.000 dipendenti, gli azionisti non vollero procedere all’aumento di capitale e le azioni furono prese in pegno dalle banche. In queste condizioni, era difficile anche trovare un’acquirente, che infatti è arrivato solo nel 2016, con l’azienda già in parte risanata. Mahindra ha contribuito con una ricapitalizzazione da 20 milioni ma ha trovato una società con indici finanziari a posto, un Ebitda sempre positivo e in crescita e un flusso di cassa sempre in attivo. Contiamo di azzerare completamente il debito entro il 2025”. 

E a breve potrebbe già essere tempo di investimenti: nel corso della presentazione del piano industriale a Milano, lei ha detto che siete interessati a possibili acquisizioni. Lo conferma? 

“Sì, ma non aggiungo altro”. 

La Nash Healey Spider, usata da Audrey Hepburn e Humphrey Bogart nel film "Sabrina"
La Nash Healey Spider, usata da Audrey Hepburn e Humphrey Bogart nel film “Sabrina”

Torniamo al prodotto: Pininfarina è da sempre legata al mondo dell’automotive, ma non si occupa solo di questo. Oggi più che mai, il vostro business è ampio e eterogeneo: ci può raccontare le novità degli ultimi anni e le strategie future? 

“Oggi l’azienda ha due anime: la tecnologia legata alle auto e poi l’eredità del marchio in quanto tale, con tutte le sue espressioni, dai servizi design automotive e non, alle produzioni di piccole serie e all’estensione del marchio in tanti ambiti, dai treni agli aerei, passando per gli yacht. Oggi disegniamo grattacieli in tutto il mondo, facciamo design industriale nelle infrastrutture, abbiamo ad esempio anche firmato gli interni dello stadio della Juventus. Con un decisivo cambio di paradigma: non vendiamo più beni, ma servizi. O per meglio dire esperienze. Si chiama design thinking: oggi quando progettiamo un prodotto, al tavolo non si siedono solo designer e ingegneri, ma anche studiosi, psicologi, sociologi. Il design diventa uno strumento per generare emozioni e per personalizzare il servizio. La stessa automobile evolve in questo senso: prima era il più classico dei beni di proprietà, oggi se pensiamo ad esempio al car sharing è un bene condiviso, un servizio. Può sempre essere uno status symbol, ma a dare valore aggiunto non è l’oggetto in sé ma quanto possa interagire con la vita del consumatore. Anche quello dell’auto sta diventando un mercato liquido, con realtà come l’Internet delle cose, il car sharing, le auto a guida autonoma”. 

A proposito, arriverà mai il giorno delle auto a guida autonoma? 

“Secondo me sì, entro 5-7 anni. Le dico di più: nelle corsie privilegiate arriveranno prima le auto senza conducente delle auto elettriche, anche se poi i due prodotti coincideranno. Il futuro, ne sono convinto, è nelle auto elettriche e condivise. Questo porterà un doppio vantaggio per la sostenibilità ambientale, soprattutto nei centri urbani: auto meno inquinanti, e meno auto. Ma il motore a combustione non sparirà mai del tutto”. 

E come si pone Pininfarina sui temi della sostenibilità ambientale? 

“All’avanguardia, da sempre. Abbiamo disegnato la prima vettura elettrica nel lontano 1976 e oggi l’80% delle automobili che progettiamo sono elettriche, alcune anche a guida autonoma. Ad esempio, qui a Torino sono disegnate da noi le Blue Car, il car sharing elettrico fondato da Bollorè in Francia. In Cina, primo mercato per l’elettrico al mondo, sviluppiamo auto dal 1997 e abbiamo recentemente ricevuto la visita del vicepremier cinese Ma Kai, interessato al nostro business green. Non potevamo sottrarci, perché il ruolo del designer è anche quello di anticipare i tempi”. 

Alfa Romeo Giulietta Spider
Alfa Romeo Giulietta Spider

Così come non potevate sottrarvi a una maggior presenza sul mercato Usa, anche considerando le possibili conseguenze di alcune politiche commerciali. 

“Negli Usa siamo presenti a Miami e adesso apriremo una sede anche a Los Angeles, in modo da essere a contatto con la Silicon Valley, il posto più innovativo del mondo, dove emergono le tendenze del futuro e dove oltre che da dire abbiamo anche molto da imparare. Gli Usa sono da sempre uno dei mercati di riferimento e bisogna ammettere che le politiche sui dazi ci hanno imposto serie riflessioni: andare lì è anche una misura preventiva in questo senso, per evitare di essere penalizzati dalle tendenze protezionistiche che vanno di moda adesso, in America come altrove”. 

Un altro mercato molto interessante, dove il vostro fatturato è cresciuto del 600% nel 2017, è il Medio Oriente. 

“Lì abbiamo soprattutto affari con gli Emirati e facciamo in particolare Industrial Design e architettura. Ad esempio abbiamo disegnato la torre di controllo del nuovo aeroporto di Istanbul, che sarà il più grande hub al mondo. Avevamo una commessa molto importante in Iran, relativa allo sviluppo di una piattaforma auto, ma l’abbiamo sospesa per le difficoltà del committente di onorare il suo contratto. Difficoltà che, per quanto ci riguarda, non sono collegate direttamente alle sanzioni che hanno colpito il Paese mediorientale”. 

Una domanda su uno dei vostri clienti storici: Ferrari ha appena presentato il nuovo piano. 

“Ferrari è un nostro partner storico e lo sarà ancora: ad oggi è ancora il quarto cliente più importante che abbiamo e vale il 12-13% del nostro fatturato”. 

Gli interni di un'auto d'epoca firmata Pininfarina
Gli interni di un’auto d’epoca firmata Pininfarina

Le autorità Usa hanno avviato un’inchiesta per verificare se Mahindra violi i brevetti Fiat sul design di Jeep. Il gruppo indiano contesta sostenendo che è stato firmato un accordo con Fca nel 2009. Cosa ha da dire su questo? 

“Di questa vicenda non so nulla, le posso solo dire che non riguarda nel modo più assoluto Pininfarina, è una dialettica tra la nostra proprietà e Fca, ma di più non le so dire”. 

Come risponde a chi sostiene che Pininfarina “è indiana”? 

“Che non è così, l’azionista di riferimento ha passaporto indiano, ma i capitali non hanno passaporto e per il 26% siamo quotati alla Borsa italiana. Pininfarina è al 100% made in Italy, Mahindra è un investitore finanziario, che tra l’altro ha voluto, per massima trasparenza, un Cda composto per 5/9 da consiglieri indipendenti e solo per 2/9 da membri del loro top management, oltretutto non appartenenti alla casa madre ma a Tech Mahindra. La base della nostra attività è sempre in Italia e la proprietà non interferisce in alcun modo nelle scelte. Pretende dei risultati, quello sì, come accade in tutte le famiglie. Ma la collaborazione industriale è persino inferiore a prima del deal, quando Mahindra era già un nostro cliente: oggi con loro realizziamo solo il 2-3% del nostro fatturato”.

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