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Vino: con la Brexit gli inglesi non rinunciano alla qualità made in Italy

Una ricerca dell’Istituto Grandi Marchi e Wine Monitor di Nomisma rileva che i vini italiani top label non ne risentirebbero negli acquisti d’oltre manica. Discorso diverso e con maggiori incognite per i vini di medio consumo. C’è chi passerebbe alla birra.

Vino: con la Brexit gli inglesi non rinunciano alla qualità made in Italy

Con un fatturato che nel 2018 ha sfiorato gli 811 milioni di euro, per il 40% dovuti al Prosecco, la Gran Bretagna rappresenta oggi il terzo mercato di sbocco in assoluto per il vino made in Italy, dopo Stati Uniti e Germania. Più in particolare per i consumatori inglesi l’Italia è il secondo Paese al mondo da cui provengono i best fine wines dopo la Francia. Che futuro si prospetta alle nostre esportazioni con la Brexit? L’Istituto Grandi Marchi ha commissionato all’osservatorio Wine Monitor di Nomisma, uno studio dal titolo “I vini italiani di alta qualità nel mercato UK. Tra Brexit e concorrenza francese” che fornisce una serie di indicazioni utili per i nostri produttori di vino.

La ricerca ha messo sotto osservazione la percezione, il posizionamento e le abitudini di consumo relativi ai fine wines italiani alla luce di una possibile uscita definitiva della Gran Bretagna dall’Ue. Il primo dato è confortante: malgrado il generale clima di incertezza legata agli effetti post voto, tra gli attuali consumatori inglesi di vini top italiani prevale comunque un sentiment positivo nel senso che il 59% del campione intervistato (in tutto 1.000 wine users di età compresa tra i 18 e i 65 anni) dichiara che continuerà a consumare le stesse quantità di oggi anche in caso di innalzamento dei prezzi. Diversa è invece la situazione nei confronti del vino made in Italy in generale, verso cui le prospettive sono meno rosee per il 53% dei rispondenti: a fronte di eventuali rincari, l’11% smetterebbe di acquistarli e un ulteriore 42% continuerebbe a consumarli ma in quantità ridotte. Tra i più giovani cresce la quota di chi pensa di diminuire i consumi in favore della birra.

Il tutto in uno scenario che nei primi otto mesi del 2019 vede l’Italia enoica inseguire la Francia, perdendo quote sugli sparkling (-9% in valore), ma recuperando sui fermi, a partire dai rossi piemontesi e veneti. Se ne deduce che è la leva del prezzo che fa la differenza.

“Un aspetto determinante – sottolinea Piero Mastroberardino, presidente dell’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi – sia se guardiamo alla corsa con i competitor francesi, che non a caso hanno recuperato quote di mercato con azioni aggressive sullo Champagne, sia se consideriamo gli eventuali rincari legati alla Brexit. Questi influenzerebbero inevitabilmente gli acquisti, lasciando ampi margini al low cost, indicato dal 44% del campione intervistato come principale fattore di acquisto in questo momento storico. Guardando invece il bicchiere mezzo pieno, lo studio conferma che per il 38% dei pareri l’origine del vino e il brand sono ancora criteri di scelta prioritari, ponendo il nostro Paese in cima alla lista insieme a Francia e Australia. Ciò su cui intendiamo puntare dal canto nostro è quindi la crescita ulteriore del valore dei fine wines, lavorando in modo mirato e più strutturato su canali strategici che vadano oltre la Gdo, come l’Horeca e il commercio online, dove il pregio e il fascino dei nostri vini possono garantire ampi margini di sviluppo”.

Non a caso, l’indagine IGM si concentra anche sulle principali dinamiche legate alla ristorazione inglese e all’e-commerce, che per le top label italiane rappresentano due ‘piazze’ decisive per intensificare le vendite. Basti pensare che analizzando 350 ristoranti, rappresentativi del canale on-trade di Londra, il 63% di essi ha almeno un’etichetta top italiana nella lista dei vini (considerando le sole bottiglie da 0,75 sopra le 50 sterline). Secondo i dati, inoltre, i fine wines tricolore rappresentano complessivamente il 16% di tutte le referenze con prezzo superiore a £ 50 presenti nelle wine-list analizzate. A superarci solo la Francia che detiene il 57% sul totale delle bottiglie over £ 50 presenti. Guardando ai vini italiani nel complesso, il rapporto è del 19% contro il 50% francese. Toscana e Piemonte rientrano nella top 10 dei territori di origine più presenti (rispettivamente al 5° e 7° posto nella classifica dei vini top).

Buone performance si registrano inoltre nei principali siti di e-commerce inglese di vini di qualità. Dalla web analysis effettuata su Lay&Wheeler, Winedirect e Laithwaite’s, l’Italia occupa infatti un buon posizionamento in termini di numero di referenze, soprattutto su Lay&Wheeler dove si contano quasi 700 etichette nazionali. Sul fronte delle tipologie più diffuse, spiccano i rossi (su Lay&Wheeler rappresentano il 92% delle etichette italiane), mentre per quanto riguarda le regioni con maggiore assortimento brillano Toscana e Piemonte (da cui, in media, proviene l’80% delle nostre label). Tornando ai fine wines (oltre 35£/bottiglia), la loro incidenza è pari al 17% su Winedirect, al 20% Laithwaite’s e arriva fino al 58% su Lay&Wheeler. Nonostante quest’ultimo sia il sito con il più ampio assortimento di vini top (italiani e non), è però Winedirect quello a registrare l’incidenza maggiore di fine wines made in Italy: quasi 3 referenze su 10.

“In uno scenario di possibile aumento dei prezzi – sottolinea dal canto suo  Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor – la qualità risulta l’unico fattore in grado di mantenere invariati i consumi. Tant’è vero che lo pensa il 20% degli inglesi. Percentuale che cresce fino al il 23% tra i consumatori di vino italiano e arriva al 27% tra chi oggi è già fruitore di top label provenienti dal nostro Paese. Non è solo una questione di reddito più alto della media a garantire questa fidelizzazione ai nostri fine wines, conta anche l’attitudine all’uso di internet e social media e l’aver frequentato l’Italia per motivi di vacanza o di studio: tra i turisti inglesi che sono stati nel nostro paese, la percentuale di chi beve fine wines italiani passa dal 18% al 34%”.

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