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Ue, luci ed ombre della nuova arrivata Lettonia

Il Paese baltico ha affrontato le “montagne russe” dell’economia in un periodo tormentato: ha avuto il plauso dei massimi vertici europei per aver percorso la strada dell’austerità, ma i suoi cittadini ora sono “freddi” nei confronti dell’euro.

Ue, luci ed ombre della nuova arrivata Lettonia

Un territorio la cui superficie è uguale a quella del Nord Est italiano, ma popolato da un numero di abitanti (quasi un terzo dei quali sono russi) superiore di poco a quella della sola città di Milano. Una storia secolare di dominazioni straniere (nel corso dei secoli la Svezia, la Polonia, la Russia zarista, la Germania nazista, l’Unione sovietica) alternate a brevi periodi di autonomia. La storia tormentata e ricorrente di un Paese piccolo circondato da vicini più grandi e più forti, conclusasi nel 1991 con la conquista dell’indipendenza e infine, tredici anni dopo, con l’ingresso nell’Unione europea. Un itinerario, questo dell’ultimo ventennio, percorso sulle “montagne russe” di un’economia caratterizzata da cadute mozzafiato alternate a risalite fulminee. Questo è la Lettonia, il diciottesimo Paese che a Capodanno è entrato nell’Eurozona con pieno merito e con l’applauso dei vertici europei, ma anche con il palese mal di pancia di una quota non indifferente dei suoi cittadini. E con l’abbastanza esplicita esortazione, da parte della Banca centrale europea e anche dell’Europarlamento, a “comportarsi bene”.

Anche la Lettonia – come la confinante Lituania che il 31 dicembre ha concluso (bene) il suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue, e la Grecia che il primo gennaio ne ha raccolto il testimone – ha attraversato tormentati periodi di crisi economica e finanziaria. Nel ’95, per effetto della gravissima crisi finanziaria culminata con la bancarotta di Banka Baltija (all’epoca primo istituto di credito del Paese) e il rischio che saltasse per aria l’intero sistema finanziario nazionale, il suo prodotto interno lordo registrò un crollo del 35% rispetto a quattro anni prima. Il prezzo pagato alla conquista dell’indipendenza, si potrebbe dire considerando che la Lettonia – se si esclude il legno (quasi metà della superficie nazionale è ricoperta di foreste) – non dispone di materie prime. Ma i suoi abitanti, che nella loro storia ne hanno superate tante, si rimboccarono le maniche e in breve riportarono a galla il Paese. Anche, per altro, con il crescente sostegno finanziario elargito dall’Unione europea che, nel 2004, aprì le sue porte all’ingresso della Lettonia e degli altri due piccoli Stati baltici oltre che di cinque Paesi dell’Europa centro-orientale (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia) e di due mediterranei (Cipro e Malta).

La Lettonia comunque rimaneva economicamente molto fragile. Così che, Stato membro Ue più pesantemente colpito dalla crisi originata dai “subprimes” Usa, si trovò a dover fare un altro giro sulle “montagne russe”. Il 2009 per i lettoni fu l’“annus horribilis”: il Pil crollato del 17,7% rispetto all’anno precedente (si pensi che dal 2004 al 2007 era cresciuto a un ritmo annuo fra il 9% e l’11%, il più alto in Europa), la disoccupazione schizzata all’insù, il commercio con l’estero all’ingiù.

Ma i lettoni ancora una volta sono ripartiti alla grande. Con un nuovo premier, Valdis Dombrovskis, un trentottenne grintoso e determinato alla guida del governo, già nel 2010 il calo annuo del prodotto interno lordo è stato ridotto a poco più dell’un per cento. E nei due anni successivi ha ripreso a crescere (rispettivamente del 5,3% e del 5,2%); con una previsione di un ulteriore aumento (4% nel 2013 e 4,2% quest’anno). Livelli che tutti gli altri Stati membri Ue vedono con il cannocchiale e ai quali si avvicinano appena un po’ solo l’Estonia e la Lituania, gli altri due Stati membri baltici.

Certo, il prezzo pagato dai lettoni è stato molto pesante: riduzione degli organici e degli stipendi negli uffici pubblici, un prestito da sette miliardi e mezzo concesso dall’Ue e dal Fondo monetario internazionale (ma rimborsato in anticipo), disoccupazione ancora oggi al 13,5%. Un prezzo obbligato, a giudizio del premier, anche in considerazione degli impegni istituzionali europei che attendevano il Paese a relativamente breve scadenza. Il primo è stato l’adozione dell’euro, richiesta dal premier Dombrovskis e ottenuta grazie al raggiungimento dei criteri di convergenza fissati dalla Bce. L’altro è l’assunzione della presidenza semestrale dell’Ue esattamente fra un anno, appena si sarà concluso il turno che a partire da luglio toccherà all’Italia.

Un primo giro di opinioni fra i massimi vertici europei e quelli lettoni sui temi da affrontare in occasione del turno di presidenza Ue che si aprirà il primo gennaio dell’anno prossimo –  lo annuncia il sito del governo – è in calendario il 10 gennaio prossimo a Riga, la capitale della Lettonia, in occasione della cerimonia per l’introduzione dell’euro (che comunque già circola nel Paese). Quando il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione José Manuel Barroso e il commissario per gli affari finanziari e monetari Olli Rehn si confronteranno con Valdis Dombrovskis. Il quale si è dimesso da premier alla fine di novembre, in seguito al crollo del tetto di un supermercato di Riga che provocò la morte di 54 persone.

Ma, prima ancora delle questioni riguardanti la presidenza lettone (che incomincerà fra 12 mesi, e nel frattempo i vertici europei saranno cambiati…), il confronto fra i leader Ue e il premier Dombrovskis, non potrà prescindere da altri due temi di più scottante attualità. Uno riguarda la “freddezza” dei lettoni nei confronti della nuova moneta, testimoniata dall’esito dei sondaggi tenuti a ripetizione nel corso del 2013: tutti con una maggioranza di no all’euro, meno l’ultimo che ha registrato un sì piuttosto risicato.

L’altro concerne la risposta, in termini di obiettivi concreti da raggiungere, che un primo ministro dimissionario può dare alle raccomandazioni e alle preoccupazioni della Banca centrale europea. Che, parallelamente all’apprezzamento per i positivi risultati raggiunti in così breve tempo dalla Lettonia, ha espresso “timori per la sostenibilità a più lungo termine della sua convergenza economica”. Ha definito “necessaria” la prosecuzione di “un percorso di risanamento organico dei conti pubblici in linea con il Patto di stabilità e crescita”. Ha suggerito di “evitare un rinnovato incremento del costo del lavoro”. Ha affermato di considerare “indispensabili” ulteriori progressi in tema di qualità delle istituzioni e della “governance”. E altrettanto necessari con urgenza “strumenti per fronteggiare rischi per la stabilità dei prezzi”. Rischi originati dal dato che la metà dei depositi bancari sono di non residenti (in massima parte russi, ma questo la Bce non lo specifica – n.d.r.), invogliati, come è già accaduto a Cipro, da condizioni fiscali e costi bancari molto favorevoli.

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