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Turchia: anche con il PIL a +4%, la fiducia stenta ancora

Secondo Intesa Sanpaolo, nel Paese che importa la quasi totalità del proprio fabbisogno energetico, la limitata sofisticazione nella produzione e il basso tasso di risparmio hanno favorito ampi deficit e un’inflazione ancora elevata.

Turchia: anche con il PIL a +4%, la fiducia stenta ancora

Secondo quanto pubblicato da Intesa Sanpaolo, la crescita del PIL turco nel 2014 ha frenato attorno al 3%, dal 4% registrato l’anno precedente. I dati relativi ai primi nove mesi evidenziano, dal lato della domanda, una contrazione degli investimenti (-1,4%) e un significativo rallentamento dei consumi privati (+1,3% da +5,1% negli stessi mesi del 2013). La sostanziale frenata della domanda interna è stata parzialmente bilanciata dal recupero delle esportazioni (+8,2% da -0,1%), in particolare quelle dirette nei mercati UE e USA, e dalla contemporanea contrazione delle importazioni (-1,8%). Per quanto riguarda invece il lato dell’offerta, nel periodo considerato si è registrato un calo della produzione agricola, una rilevante frenata dell’attività di costruzione (+2,9% da +7,0%) e una crescita più contenuta dei servizi (+4,4% da +5,5%), in particolare quelli dipendenti da domanda interna e turismo. La produzione manifatturiera ha presentato una dinamica solo leggermente inferiore a quella del 2013 (+3,5% da +3,7%), ancora sostenuta dalla produzione di veicoli (+14,4%). Gli indicatori congiunturali e prospettici evidenziano nei mesi finali del 2014 e ad inizio 2015 un’accelerazione dell’attività produttiva sostenuta dalla domanda estera, mentre l’elevata inflazione e il passato deprezzamento del cambio continuano a pesare sulla fiducia delle famiglie e frenano la domanda di credito. Le prospettive di crescita sono migliorate nelle ultime settimane, grazie all’ampia diminuzione del prezzo del petrolio. Questo calo riduce in misura sostanziale la bolletta energetica in un Paese che importa la quasi totalità degli idrocarburi che consuma, determinando una diminuzione del deficit di conto corrente e offrendo un sostegno al cambio. Inoltre, i minori costi degli idrocarburi favoriranno un rientro delle pressioni inflazionistiche (il 2014 ha chiuso all’8,2% rispetto al precedente 7,4%), con un conseguente impatto positivo su reddito disponibile e consumi privati. Il nuovo scenario di posizione esterna in miglioramento, cambio stabile e inflazione in discesa porterà probabilmente a un allentamento della politica monetaria. Secondo le più recenti previsioni, la crescita del PIL potrebbe accelerare attorno al 4% nel 2015, escludendo impatti derivanti dalle tensioni geopolitiche che coinvolgono importanti partner commerciali, nello specifico Russia, Siria e Iraq.

Nonostante l’inflazione resti ampiamente al di sopra del valore obiettivo, a partire dallo scorso aprile la Banca Centrale ha tagliato in tre riprese il tasso chiave della politica monetaria (il repo a 7 giorni) portandolo dal 10% all’8,25%. Il tasso massimo è stato invece diminuito di 75pb a fine agosto, fissato all’11,25%. A metà gennaio 2015 è stato nuovamente ridotto il tasso minimo (di 50pb al 7,75%) mentre il tasso massimo è stato lasciato invariato. Queste riduzioni hanno fatto parzialmente rientrare le misure straordinarie a gennaio 2014 quando, con la lira oggetto di forti pressioni ribassiste, venne deciso un rialzo dei tassi particolarmente sostenuto. Secondo gli analisti, tuttavia, gli ultimi tagli dei tassi sono stati di fatto una concessione alle pressioni politiche piuttosto che un reale allentamento delle condizioni monetarie. In prospettiva, sono possibili condizioni di liquidità più distese e quindi un movimento dell’interbancario verso la parte bassa della fascia dei tassi di policy a fronte di probabili minori pressioni dovute al cambio e all’inflazione, mentre non è pure escluso un ulteriore taglio del tasso massimo.

Secondo dati preliminari, nel 2014 il deficit pubblico in rapporto al PIL è risultato pari all’1,3%, in contenuto aumento dall’1,2% dell’anno precedente, mentre il bilancio al netto della spesa per interessi ha registrato un surplus pari allo 0,9% del PIL. Il Budget 2015 indica un deficit obiettivo pari all’1,1%, sulla base di una crescita del 4%. La forte dipendenza dell’economia dai flussi di capitale dall’estero rende il cambio particolarmente reattivo alle condizioni di liquidità e alla propensione al rischio sui mercati internazionali dei capitali. In assenza di riforme che accrescano l’efficienza del mercato del lavoro e sostengano la propensione al risparmio, l’aggiustamento dei saldi negativi di conto corrente rimane affidato al deprezzamento del cambio. Shock come quello petrolifero possono allora determinare un miglioramento del disavanzo esterno, riducendo così la condizione di sopravalutazione del cambio.

Nel 2014 la frenata della domanda interna e la ripresa delle esportazioni verso l’Europa hanno determinato una consistente riduzione del disavanzo corrente, che nel 2013 era salito al 7,9% del PIL, mentre nel quinquennio precedente era stato mediamente pari al 6,4%. Da gennaio a novembre 2014 il deficit corrente della Bilancia dei Pagamenti si è ridotto a 38,7 miliardi di dollari, rispetto a 56,7 mld negli stessi mesi del 2013. Tuttavia persiste un’eccessiva dipendenza dell’economia dal flusso di finanziamenti dall’estero, dove la limitata sofisticazione nelle produzioni domestiche (il 75% delle esportazioni riguarda prodotti agricoli e manifatturieri a medio e basso contenuto tecnologico) e il basso tasso di risparmio hanno favorito ampi deficit di parte corrente e un livello generale dei prezzi ancora elevato. Queste condizioni rendono l’economia e la valuta particolarmente vulnerabili a variazioni delle condizioni di liquidità sul mercato dei capitali. In questo scenario le agenzie di rating, che negli anni scorsi avevano premiato con ripetuti upgrade il debito sovrano in valuta della Turchia (investment grade dal 2012 per Fitch e dal 2013 per Moody’s, per S&P’s un gradino appena inferiore), hanno assunto un atteggiamento più critico. Le stesse hanno sottolineato l’inconsistenza della politica economica, la vulnerabilità della posizione esterna e i rischi di natura politica. La Turchia è al 55° posto su un totale di 185 Paesi nella Classifica Doing Business stilata dalla Banca Mondiale, mentre il World Economic Forum colloca la Turchia al 45° posto su un totale di 148 Paesi nel Global Competitiveness Report 2014-15.

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