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Terzo mandato, dopo il centrodestra si spacca anche il Pd: ecco perché l’area Bonaccini è insorta

Il voto in commissione al Senato divide la maggioranza, scatena la protesta bipartisan dei governatori e provoca la rivolta nei dem. Così la corrente di Bonaccini arriva a parlare di “unità a rischio”

Terzo mandato, dopo il centrodestra si spacca anche il Pd: ecco perché l’area Bonaccini è insorta

Il terzo mandato ai presidenti di Regione spacca la maggioranza di governo e compatta, almeno nel voto al Senato, Pd e Movimento 5 Stelle. Ma in men che non si dica, il voto scatena la protesta bipartisan dei governatori e divide, oltre al centrodestra, anche il Pd. A insorgere, infatti, è l’area che fa capo a Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna che, nero su bianco, arriva a parlare di “unità a rischio”. A tre giorni dal banco di prova delle elezioni in Sardegna, dunque, la commissione Affari costituzionali del Senato boccia la proroga dei mandati ai governatori. I parlamentari di FdI e Forza Italia votano contro l’emendamento presentato dalla Lega: una proposta mirata sui presidenti di Regione dopo il passo indietro dello stesso Carroccio sui sindaci. Al fianco dei senatori leghisti si schiera soltanto Italia Viva. A respingere l’emendamento, con FdI e FI, sono invece le opposizioni: Pd, M5S e Avs si compattano sul voto contrario. In tutto questo, la premier Giorgia Meloni ricorda che il terzo mandato “non era inserito nel programma” di governo e rassicura: “Non è una materia che crea problemi alla maggioranza”. Ma la Lega non molla e Salvini avverte: “Se ne parlerà nell’Aula del Parlamento che è sovrana”.

Terzo mandato ai governatori: anche il Pd si spacca

Dopo mesi di botta e risposta fra sindaci e governatori Pd (che chiedono il terzo mandato) e la segretaria Elly Schlein (che frena), sembrava che fosse stata firmata la tregua. Non è andata così. Subito dopo il voto in commissione a Palazzo Madama, Energia popolare – vale a dire la minoranza interna guidata dal governatore Bonaccini – ha fatto uscire una presa di posizione durissima: “Non è stato rispettato l’accordo preso in direzione e non si è salvaguardata l’unità del partito”. Il riferimento è all’intesa che era stata raggiunta in direzione dem sulla proposta della segretaria di un tavolo di lavoro del Pd che si confrontasse su una riforma complessiva degli enti locali e quindi anche sul terzo mandato. Il clima sembrava cambiato. In poche ore, tuttavia, si è concretizzato un vero e proprio trambusto. In mattinata c’era stata una riunione del gruppo al Senato per decidere la linea da tenere sul voto in commissione e il clima era stato descritto “pacato”: tutti i senatori si erano detti d’accordo a tenere un atteggiamento “netto di contrarietà ai giochini della destra”. I distinguo, però, sono stati sul “come: c’era chi voleva votare “No” e chi, come Alessandro Alfieri, di Energia popolare, ha chiesto che il Pd non partecipasse al voto proprio per non far esprimere il partito in maniera palesemente contraria al terzo mandato. A chiudere la diatriba – così è stato raccontato – pare sia stato Dario Franceschini, che ha chiesto di guardare anche alle altre opposizioni, per non rompere il fronte con i Cinque stelle a pochi giorni dalle elezioni in Sardegna, dove Pd e Movimento sostengono insieme Alessandra Todde.

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