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Sos da Londra: senza CO2 prezzi alle stelle per birra e polli

Il paradosso della CO2 è che il nemico numero 1 dell’ambiente serve a molte produzioni industriali: dalla birra ai mattatoi, ai fertilizzanti. Ora scarseggia e in tempi di Brexit ecco un nuovo grattacapo per Boris Johnson alla vigilia del Cop26 di Glasgow

Sos da Londra: senza CO2 prezzi alle stelle per birra e polli

“Sono sorpreso quanto voi. E così, quando ho capito il valore del CO2 per la vostra industria, ho preso l’aereo per correre da voi a cercare una soluzione”. Tony Will, ceo texano della CF Industries, non è un tipo che si perde in chiacchiere. La prima cosa che ha fatto è chiudere la fabbrica di fertilizzanti nel Teesside, assieme ad un impianto gemello nel Cheshire. Poi ha proseguito alla volta di Londra. E qui, sotto la minaccia dell’interruzione della catena dell’industria alimentare del Regno Unito, ha ottenuto in tempi record un contributo pubblico per far ripartire la produzione di ammoniaca da cui ricavare il “prezioso” biossido di carbonio, cioè proprio il CO2, nemico pubblico dell’ambiente, ma per ora fondamentale per alcune lavorazioni, specie nell’industria alimentare.

Ogni anno più o meno 250 milioni di tonnellate di biossido di carbonio prendono la via dei mattatoi piuttosto che dei produttori di bevande gassate o per favorire la fauna acquatica negli acquari. O per la pulizia dei pozzi petroliferi. Per non parlare di vivai ove crescono piante ornamentali e vegetali per la tavola, come i cetrioli. Certo, si tratta di un problema minore a fronte dei danni dell’inquinamento, ma anche un esempio di quanto sia complicato (e costoso) progettare un’economia a tasso di inquinamento zero. Un problema per tutti, ma in particolare per il Regno Unito: la catena del CO2 prodotto dalle fabbriche di fertilizzanti e breve e di rapido utilizzo, perché si tratta di una filiera con stoccaggi decisamente limitati, anche perché fino allo scoppio della crisi i prezzi non giustificavano l’esistenza di depositi ingenti ed ingombranti.

“Noi siamo i più colpiti – spiega Christopher Carson, ceo di Bionics, un’azienda che ricava il CO2 dal biogas – perché l’Inghilterra è un’isola. Quando cala la produzione sei condannato ad avviare un sistema complesso per l’import”. E questo, in tempi di Brexit è un problema in più per Londra, la più colpita dall’aumento massiccio dei prezzi del gas naturale, aggravati dalla carenza di autisti per il trasporto di petrolio. Ma la crisi del CO2, poi, rischia di colpire al cuore lo stile di vita british ancora più della benzina. Senza il gas, infatti, rischia di fermarsi l’attività dei pub, come era già successo durante i Mondiali del 2018 quando un’ondata innaturale di calore, combinata con il boom dei consumi di pinte di birra aveva obbligato più di una catena a razionare la preziosa bevanda. Ora l’incubo rischia di ripetersi, perché i contributi del governo per impedire la chiusura degli impianti di CF Industries o della norvegese Yara hanno una durata limitata a poche settimane. Poche per risolvere problemi complessi e costosi: un forte aumento dei diritti ad inquinare rischia di metter fuori mercato una parte dei produttori o di far schizzare in alto il prezzo degli alimentari. Un po’ ovunque, di più nel Regno Unito ove, in vista del summit sull’ambiente, il Cop 26, di Glasgow, Boris Johnson ha sbandierato gli obiettivi più ambiziosi del pianeta: eliminare entro il 2035 i tre quarti delle emissioni nette di anidride carbonica, per poi azzerarle entro il 2050. Ma, in attesa di scomparire, il CO2 si prende una rivincita al pub.

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