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Mar Rosso e Canale di Panama: quanto pesano le due crisi sul commercio mondiale. Parla Alan Wolff (ex Wto)

Intervista a Alan Wolff, visiting fellow al Peterson Institute for International Economics di Washington ed ex top manager del Wto: “Il commercio tra Usa e Ue continuerà a crescere, accelerato dalla rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Cina” – E sulla crisi del Mar Rosso: “Non prevedo che l’interruzione parziale dei transiti durerà a lungo”. Ma la mancanza d’acqua nel Canale di Panama potrebbe invece “essere una questione più decisivva”

Mar Rosso e Canale di Panama: quanto pesano le due crisi sul commercio mondiale. Parla Alan Wolff (ex Wto)

Conflitti regionali, colli di bottiglia nei trasporti marittimi e guerre di riposizionamento industriale tra le grandi economie, aggiungono al futuro prossimo del commercio mondiale sempre più variabili di incertezza. “Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi il mondo si è evoluto verso una crescente interdipendenza. Questa tendenza continuerà, pur in presenza di momenti di discontinuità, in genere coincidenti con le grandi questioni della geopolitica. Il mondo non ha optato per blocchi commerciali, non ancora, nessuno ha annunciato l’intenzione di abbandonare il sistema commerciale multilaterale globale. Inoltre, tutti gli accordi commerciali regionali e bilaterali si basano ancora su regole globali”. Alan Wm. Wolff è visiting fellow al Peterson Institute for International Economics di Washington, in passato è stato altissimo dirigente al Wto (World Trade Organization). Dopo aver lavorato nel governo degli Stati Uniti per una dozzina di anni, al Wto si era guadagnato la fama di essere uno dei più abili negoziatori commerciali nel grande giro delle istituzioni internazionali. Da poco ha pubblicato con Cambridge University Press “Revitalizing the World Trading System”, selezionato dal Financial Times come uno dei best books del 2023.

Professor Wolff, la crisi del Mar Rosso e il blocco del canale di Panama possono rappresentare una nuova frattura nella logistica internazionale, velocizzando la riorganizzazione delle catene globali del valore?

“Nessuno sa per quanto tempo gli Houthi saranno attivi nell’interferire con il trasporto marittimo nell’area di Suez. È difficile capire anche quanto questa situazione si manterrà collegata alla guerra a Gaza. Non prevedo però che l’interruzione parziale dei transiti nel Mar Rosso sarà di lunga durata. In ogni caso, i cambiamenti strutturali nelle catene di approvvigionamento richiedono tempi lunghi e molti investimenti. La mancanza d’acqua nel Canale di Panama potrebbe essere invece una questione più decisiva”.

La Cina vede con favore questo ulteriore nuovo fattore di crisi del commercio globale?

“Non credo che la Cina, in quanto principale paese commerciale del mondo, apprezzi quelle perturbazioni che creano danni ai commerci. Ricordo che i cinesi hanno una sola base militare all’estero ed è quella a Gibuti, che serve proprio per combattere la pirateria al largo delle coste africane”.

Il deficit commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina sta lentamente diminuendo. Ciò sembra indicare un decoupling delle due economie, derivante in origine anche dalle tariffe imposte nel 2018 dal presidente Donald Trump sulle importazioni cinesi. 

“È in atto più un de-risking che un decoupling. È impraticabile e indesiderabile avere un disaccoppiamento in tempo di pace delle due maggiori economie mondiali. Il saldo bilaterale non è una misura accurata del grado in cui due economie si separano o restano invece intrecciate. Anche se il saldo bilaterale si riduce, le importazioni degli Stati Uniti dai Paesi con i quali la Cina commercia intensamente stanno ancora aumentando. Ciò dimostra che la loro interdipendenza non è diminuita drasticamente. In sostanza, le merci cinesi arrivano negli Stati Uniti attraverso Paesi terzi”.

Cosa potrà succedere in futuro?

“Questa è una tendenza che continuerà ad evolversi. Più in generale, le due grandi potenze mondiali devono raggiungere un nuovo modus vivendi, un nuovo punto di equilibrio”.

La preoccupa l’andamento dell’economia cinese?

“È ancora troppo presto per dirlo. Nell’ultimo grande conflitto tra Occidente e Unione Sovietica ha prevalso il Washington Consensus, ovvero l’ordine internazionale liberale. È stata la forza economica derivante da un modello economico superiore il fattore principale grazie al quale la Guerra Fredda si è conclusa senza che venisse sparato un colpo tra i principali protagonisti. Ho ancora fiducia che il modello economico occidentale si dimostri superiore rispetto ai modello più statalisti. È vero che la Cina è un modello ormai misto, ma tra le due economie ci sono differenze importanti. Attualmente, il modello più orientato al mercato lo classificherei molto più efficiente rispetto a quello più interventista. La leadership cinese è di parere opposto. Sarà il tempo a dirlo”.

I costi aggiuntivi per riportare le produzioni industriali strategiche in patria, o in regioni vicine, rappresenterà un elemento di tensione sul fronte inflazione in Europa e negli Usa?

“La ristrutturazione delle catene di fornitura per aumentarne la resilienza farà lievitare i costi di produzione in molti settori industriali, che si ripercuoteranno a loro volta sui prezzi per i consumatori finali. Quindi sicuramente il processo di on-shoring avrà conseguenze inflazionistiche, ma proprio per questo avrà dei limiti”.

In futuro ci sarà una maggiore o minore intensità commerciale tra Usa e Unione Europea?

“Il commercio tra gli Stati Uniti e l’Ue continuerà a crescere. Sarà accelerato dalla rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Cina, nella misura in cui tale rivalità in molti settori non potrà essere più contenuta. In ogni caso l’autosufficienza non sarà la caratteristica dominante del futuro dell’economia mondiale, se non a costi inaccettabilmente elevati. Il forte commercio tra Usa e Ue non esclude però un commercio crescente con altri produttori. Per esempio, il commercio di servizi alle imprese crescerà in modo sostanziale lungo i Paesi con fusi orari simili, come suggerisce Richard Baldwin del Graduate Institute di Ginevra”.

In un’ottica di crescente conflittualità tra potenze, quale sarà allora il nuovo principio guida degli scambi commerciali internazionali?

“Il movimento verso il de-risking continuerà, sia per quanto riguarda i beni e i servizi di sicurezza nazionale sia per la tecnologia. Ma anche in caso di guerre non ci saranno disaccoppiamenti totali tra le economie globali. Sicuramente ci sarà un maggiore ricorso all’eccezione per la sicurezza nazionale rispetto alle regole del Wto. Questo permetterà di deviare dagli impegni assunti, come il livello di accesso ai mercati e l’eventuale applicazione del principio di non discriminazione. Il Wto deve tornare alle sue radici, ovvero mantenere un equilibrio di concessioni che sia all’altezza del principio di reciprocità. La prassi dovrebbe essere che per ogni eccezione si debba pagare un prezzo in termini di compensazione o ci si debba aspettare una ritorsione in termini di imposizioni”.

Prima citava la progressione dell’interdipendenza nel terziario e nei servizi digitali. Ci saranno due agende economiche in futuro: una degli Stati nazione e una dei cittadini globalizzati?

“Molto dipenderà dalla direzione che i governi decideranno di prendere nelle loro relazioni commerciali quando saranno dei veri e propri rivali. Per esempio, l’accesso alle app più utilizzate a livello internazionale potrebbe essere sempre più limitato dalle singole politiche di sicurezza nazionale”. 

La politica ritornerà quindi più forte del mercato?

“Intendiamoci: le comunicazioni saranno sempre più regolamentate mentre le calzature sportive saranno commercializzate liberamente, anche all’aumentare del livello delle ostilità. La fornitura transfrontaliera di servizi e gli investimenti saranno soggetti al peggioramento delle relazioni, insieme ai beni sensibili. Le regole globali sono basate sulla convergenza: se questo processo si arresta, o si inverte, gli attriti commerciali aumenteranno e prevarranno anche sulle preferenze delle imprese e dei consumatori”.

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