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Alta inflazione presto alle spalle nell’Eurozona ma occhio agli aumenti salariali: graduale il calo dei tassi. Parla Jakob de Haan (Suerf)

Intervista a Jakob de Haan, presidente del Suerf, uno dei più importanti gruppi di banchieri centrali, economisti e manager finanziari – “Sembra che il periodo di alta inflazione sarà presto alle spalle” – “Al momento gli aumenti salariali sono l’indicatore chiave da monitorare” – E sul tasso neutrale: “Non penso sia molto utile ai fini della politica monetaria, non lo userei mai se fossi un banchiere centrale”

Alta inflazione presto alle spalle nell’Eurozona ma occhio agli aumenti salariali: graduale il calo dei tassi. Parla Jakob de Haan (Suerf)

A che punto è la lotta all’inflazione nell’eurozona? Stando al cronoprogramma della Bce, in parte già incorporato dalle aspettative dei mercati e degli operatori finanziari, il primo taglio dei tassi potrebbe arrivare a giugno. Anche per il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ci sono all’orizzonte le condizioni per un possibile percorso di allentamento nella politica monetaria europea. “I numeri suggeriscono che l’inflazione nell’area dell’euro sarà presto in linea con l’obiettivo di inflazione della Bce del 2%”, osserva Jakob de Haan, professore di Politica Economica all’Università di Groningen e presidente del Suerf (The European Money and Finance Forum), una delle più influenti associazioni europee di studio sulla politica monetaria che mette assieme il gotha continentale di economisti, membri di banche centrali e manager finanziari.

Professor de Haan, la parte più rischiosa della fase inflazionistica europea è passata?

“A febbraio l’inflazione è stata del 2,6%, l’ultima previsione di inflazione della Bce per il 2024 è del 2,3%, mentre per il 2025 si prevede un’inflazione del 2%. Quindi sì, sembra che il periodo di alta inflazione sarà presto alle spalle”.

Ci sono ancora dei “rischi di coda”?

“Questi numeri sono previsioni, quindi c’è sempre la possibilità che l’inflazione effettiva possa essere diversa. In effetti, nell’ultimo decennio le previsioni della Bce sono state molto spesso sbagliate. Quando l’inflazione era al di sotto dell’obiettivo, le previsioni suggerivano che sarebbe salita al 2%, ma non è stato così. Allo stesso modo, quando l’inflazione era al di sopra del 2%, la Bce inizialmente si aspettava che l’aumento dell’inflazione fosse temporaneo. E quando è diventato chiaro che non era temporaneo, le previsioni della Bce hanno sottovalutato l’inflazione effettiva”.

Quali fattori globali potrebbero tenere in allerta le autorità monetarie?

“I prezzi dell’energia hanno una forte influenza sull’inflazione. L’intensificazione dei conflitti esistenti, o addirittura l’emergere di nuovi conflitti, potrebbe portare ad un aumento dei prezzi dell’energia. Non solo, tali conflitti potrebbero causare un aumento dei prezzi anche attraverso altri canali. Oggi la crisi del Mar Rosso comporta costi di trasporto molto più elevati, in grado sui prezzi al consumo nei prossimi mesi. Questi shock dell’offerta sono i più difficili da gestire per le banche centrali, poiché i loro strumenti (i tassi d’interesse) agiscono attraverso il lato della domanda”.

Per le banche centrali anche l’inazione è una scelta di politica monetaria?

“Non rispondere all’aumento dell’inflazione causata da shock dal lato dell’offerta fa correre comunque il rischio dei cosiddetti “effetti di second round”. Ad esempio, i sindacati potrebbero comunque chiedere un aumento dei salari per compensare l’aumento dei prezzi. Se l’aumento dei salari porta a sua volta ad un aumento dei prezzi, può verificarsi un circolo vizioso molto pericoloso stabilità dei prezzi. Le banche centrali devono dimostrare sempre che non sono disposte a tollerare che l’inflazione sia al di sopra dell’obiettivo prefissato per un periodo prolungato. Anche a costo di danneggiare l’economia nel breve periodo”.

Pur con delle differenze rispetto agli Usa, anche in Europa le Borse continuano a crescere, non ci sono significativi problemi sul fronte occupazionale e l’economia industriale non ha subito tracolli. Quando e in che gradualità si taglieranno i tassi di interesse?

“Diversi paesi dell’area dell’euro sono stati o sono tuttora in recessione, ovvero registrano due mesi di fila di crescita economica negativa. Ciononostante, i prezzi delle azioni sono aumentati, significa che i mercati finanziari sono ottimisti sulla crescita futura. Allo stesso modo, anche se la disoccupazione è aumentata in diversi paesi, è ancora relativamente bassa, a testimonianza delle condizioni rigide del mercato del lavoro. I rialzi dei tassi di interesse della Bce alla fine non hanno portato ad una grave recessione. Nel mercato del lavoro è ancora possibile che il rischio di un aumento eccessivo dei salari reali (i salari nominali salgono, mentre l’inflazione scende) crei una pressione sul lato della domanda. A mio avviso, quindi, la Bce dovrebbe aspettare a tagliare i tassi d’interesse finché non sarà chiaro che questo rischio non si concretizza. Quando sarà tutto chiaro, suggerirei comunque un calo molto graduale dei tassi di interesse. Mi aspetto che ciò avvenga nella seconda metà di quest’anno, a patto che i rischi internazionali che ho descritto in precedenza non si materializzino”.

Qual è per lei l’indicatore più importante da monitorare in questa precisa fase economica per decidere la strategia di abbassamento dei tassi?

“Al momento gli aumenti salariali sono l’indicatore chiave da monitorare”.

Rispetto alla Fed, la Bce sconta il problema di un’area monetaria con politiche fiscali disomogenee. Anche questo potrebbe rendere più difficoltoso il rientro uniforme dall’inflazione?

“Anche negli Stati Uniti la politica fiscale non ha contribuito a ridurre l’inflazione. Purtroppo il più delle volte la politica monetaria e quella fiscale vanno in direzioni opposte, rendendo ancora più difficile il compito della banca centrale di mantenere la stabilità dei prezzi. Nell’area dell’euro non esiste ancora un adeguato coordinamento delle politiche fiscali nazionali, è quasi impossibile garantire che le politiche fiscali e monetarie si muovano in tandem”.

È tornato di stretta attualità il dibattito sul tasso neutrale. Qual è la sua posizione?

“Penso che il concetto di tasso neutrale non sia molto utile ai fini della politica monetaria, non lo userei mai se fossi un banchiere centrale. È una costruzione teorica, c’è troppa incertezza su cosa sia per renderlo utile nelle scelte dei policymakers”.

Come valuta finora l’operato della Bce? 

“La Bce, così come la Fed, ha inizialmente sottovalutato la gravità dell’inflazione e questo ha fatto sì che rispondesse troppo tardi e troppo poco. A titolo di esempio, quando l’inflazione era già in aumento, la Bce ha continuato ad acquistare asset. Quando si è resa conto della gravità della situazione, la Bce ha fatto i passi giusti aumentando i tassi di riferimento, ma ha continuato troppo a lungo a reinvestire in titoli di Stato scaduti. La Bce avrebbe dovuto agire in modo molto più aggressivo. Non dimentichiamo che solo alla fine del 2024 la Bce smetterà di reinvestire i titoli acquistati nell’ambito del Pepp”.

Transizione energetica, green e aumento delle spese nazionali per ammodernare gli eserciti europei. In che modo influiranno in Europa sul livello dei prezzi?

“In linea di principio, questi problemi riguardano principalmente le variazioni di prezzo relative. Ad esempio, se la domanda di beni per la difesa aumenta, il loro prezzo dovrebbe aumentare rispetto a quello di altri beni. Le variazioni di prezzo relative, in quanto tali, non portano necessariamente ad un aumento del livello generale dei prezzi. Solo se la domanda di diversi beni aumenta contemporaneamente il livello generale dei prezzi potrebbe contemporaneamente risentirne, nel qual caso la Bce dovrebbe rispondere”.

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