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Smart working: urgenti nuove regole e una rivoluzione digitale

L’emergenza Coronavirus e la chiusra delle scuola ha fatto esplodere il ricorso allo smart working che però deve andare oltre la sperimentazione e che ha perciò bisogno di essere contrattualizzato e regolarizzato da una nuova legge – Senza dimenticare l’urgenza di un salto di qualità sul piano delle tecnologie e del superamento del digital devide

Smart working: urgenti nuove regole e una rivoluzione digitale

La riapertura delle attività economiche dopo la fase emergenziale dell’epidemia di coronavirus deve fare i conti con la questione delle scuole chiuse. Così molte famiglie si trovano in grossa difficoltà nella gestione dei figli e spesso sono le donne a farsi carico del peso maggiore. Il crescente ricorso allo smart working è stata la soluzione più ovvia. E se siamo passati da 500mila a 8 milioni di lavoratori coinvolti in modalità da “lavoro agile” equamente suddivisi tra Pubblica Amministrazione e attività private, è ben comprensibile che l’impianto della Legge 81 del 2017 non è più sufficiente e bisogna ripartire da una regolamentazione e contrattualizzazione definitiva.

Andare oltre la Legge 81/2017

Lo smart working “emergenziale” del DPCM dell’1 marzo, con estensione a tutto il territorio nazionale, fa esultare la Confindustria che mira ad una semplificazione delle norme che inevitabilmente o auspicabilmente seguiranno. In particolare in questo caso si prevedeva l’assolvimento degli obblighi di informativa da assolversi in via telematica e un’applicazione ad ogni lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali previsti per legge.

La verità è però che questa fase sperimentale non potrà durare a lungo, perché è evidente a tutti come non di lavoro agile o telelavoro sporadico stiamo parlando, come descritto nel 2017, ma di una vera e propria rivoluzione del mondo del lavoro che necessita uno sforzo normativo importante e puntuale per il bene del Paese. I DPCM di febbraio e marzo hanno di fatto implementato le raccomandazioni per le imprese, arrivando anche al paradosso di scaricare alcune responsabilità civili o penali sul datore di lavoro, e addirittura “irreggimentando” un uso “spontaneo” dello smartworking.

Con il Decreto Rilancio ecco arrivare la novità: con l’ estensione ulteriore per il settore privato ai genitori, lavoratori dipendenti, con almeno un/a figlio/figlia minore di 14 anni di poter svolgere l’attività in modalità agile in assenza di accordi individuali, con le dovute eccezioni legate a strumenti di sostegno al reddito per l’altro genitore o che uno dei due sia senza lavoro.

I vincoli imposti dalla pandemia hanno consentito di accelerare scelte che in molti casi venivano rimandate da tempo, ma restano misure limitate al periodo dell’emergenza Covid19. Lo smart working, oltre a essere una risposta a un’evoluzione già in atto, consente di conciliare tempi di vita e di lavoro e può garantire pari opportunità di occupazione a uomini e donne.

Il rischio che si corre è che l’impianto volutamente “leggero” della Legge del 2017, (che necessiterebbe comunque di un aggiornamento nella profilazione dei dettami del lavoro in remoto), subisca la sorte di molte eccellenze legislative che ci hanno visto arrivare per primi, e poi soffocare il primato in una iper-regolazione che ha affossato anche le migliori intenzioni, con gravami procedurali come nel caso del telelavoro o del crowdfunding.

Parliamo evidentemente di un tema diventato cruciale non solo in termini di responsabilità civile ma anche sociale: diverse ricerche mostrano come il non avere cura delle disuguaglianze sociali e di genere si traduca in un costo economico che porta a una minore produttività. Perché lo smart working funzioni ancora una volta sono però necessarie due condizioni: regole contrattuali chiare e un’infrastruttura tecnologica all’altezza.

Infrastrutture e Attrezzature: il settore privato festeggia con la PA

Sul primo punto nel nostro Paese manca ancora una normativa di riferimento, mentre per quel che concerne le tecnologie necessarie per lavorare da casa l’Italia non brilla certo nel confronto con altri Paesi occidentali. Dato che il tema del rilancio dell’economia oggi è centrale nel dibattito pubblico, potrebbe essere l’occasione per risolvere anche questi due nodi senza ulteriori titubanze.

Perché sia recepito nella contrattazione nazionale di secondo livello ed esteso a tutte le tipologie di contratti occorre definire le regole per l’inizio del nuovo anno, e già nel privato molte aziende , a loro carico, stanno lavorando ad integrazioni contrattuali sia per tutelare il diritto alla disconnessione del dipendente che dall’altro lato la sicurezza informatica dell’impresa.

Sì perché ancora una volta, come evidenziato già trattando di didattica a distanza, oltre alla carenza di competenze digitali nel Paese c’è un problema infrastrutturale. Sia dal lato della struttura portante della banda larga ancora soggiogata da ritardi ingiustificabili che dal lato delle attrezzature che dovrebbero essere usate dai dipendenti e per le quali le imprese chiedono finanziamenti.

Perché e’ inutile negare che questa fase sperimentale è stata affrontata spesso con dotazioni personali e non aziendali. Una situazione insostenibile e non praticabile senza creare ulteriori disuguaglianze sociali se si vuole tenere conto che, secondo l’ISTAT, nei dati raccolti in ‘Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi, relativo agli anni 2018-2019”, emerge un differenziale digitale nelle famiglie italiane, o digital divide. Un terzo delle famiglie non ha un computer o un tablet in casa, e poi quattro minori su dieci vivono in case sovraffollate. Nello specifico poi solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet, mentre nel Mezzogiorno il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa.

Il lavoro agile ha intrinseca una flessibilità che non potrà che fare del bene al mondo del lavoro italiano, e se è vero che con i numeri messi in campo abbiamo fatto una salto di mentalità e adattabilità di dieci anni questo modello ha trovato terreno fertile anche nella Pubblica Amministrazione oltre che nel settore privato. Alcuni esperimenti fatti nella Pubblica Amministrazione (PA) a Roma con 11mila dipendenti han visto un incremento della produttività notevole e servizi più efficienti che permettono anche una copertura più ampia di orario rispetto agli sportelli fisici. Questi progetti per la PA, che utilizzano i fondi strutturali europei, son estesi a varie Amministrazioni pubbliche coinvolte, concentrate perlopiù su Roma con Ministeri compresi. Anche in questo caso cavalcare l’emergenza Covid19 per dare una sferzata alla PA sarebbe probabilmente un toccasana per gli sgravi che porterebbe all’annosa questione del debito di Roma Capitale.

Alla base di questo entusiasmo torniamo al problema principale tra quelli infrastrutturali: che tutte le aziende da quelle pubbliche a quelle private, dai Comuni alle banche, hanno difficoltà a risolvere con un gran numero di dipendenti in smart working : la tenuta delle connessioni sicure (VPN), con i propri server aziendali. Comunque anche con un investimento importante sulla sicurezza dei dati aziendali il lavoro agile non può essere esteso a tutti i settori indistintamente ( es. graphic design,editing video, trading algoritmico etc….), perché le abitazioni non sono adeguatamente attrezzate. I molteplici attacchi subiti dalle reti aziendali nel Paese sono ancora una volta la dimostrazione che, per cogliere l’opportunità di una distribuzione efficiente dello strumento smart working, a monte ci debba essere uno svecchiamento dell’infrastruttura digitale aziendale e maggiori investimenti nell’innovazione digitale del Paese.

D’altronde proprio l’esito del World Economic Forum ha sottolineato l’importanza di perseguire gli obiettivi globali dell’Agenda 2030 anche attraverso una sinergia di intenti negli investimenti pubblico-privati verso le infrastrutture che permettano ai Paesi di essere al passo con la rivoluzione digitale in atto e quindi più sostenibili e resilienti.

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