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Scuola a distanza, la mappa del digital divide

Il lockdown ha aperto le porte allo smart working e all’insegnamento a distanza ma evidenziato una volta di più la scarsa digitalizzazione dell’Italia e il divario tecnologico non tanto tra il Nord e il Sud, che ha recuperato parecchio terreno, ma tra provincia e provincia

Scuola a distanza, la mappa del digital divide

Non è un mistero: l’Italia, soprattutto se confrontata ai suoi partner europei, è un Paese poco digitalizzato. E lo abbiamo purtroppo constatato in questi difficili mesi di lockdown, con il lavoro agile che non per tutti è stato davvero così agile e soprattutto con i corsi scolastici che hanno dovuto per forza di cosa proseguire a distanza. L’inizio è stato caotico, poi grazie a qualche risorsa stanziata dal Governo e alla buona volontà di insegnanti e famiglie, in qualche modo si è fatto. Ma se davvero il coronavirus cambierà per lungo tempo il modo di fare insegnamento, quanto sarà pronta l’Italia? Uno dei temi più inflazionati è quello del digital divide tra Nord e Sud, ma questo è vero solo in parte: lo dimostra la mappa che riportiamo all’interno di questo testo, che ha come fonti i dati Unesco e Agcom.

Partiamo però dai dati nazionali: nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) l’Italia è al 24° posto su 28 paesi europei. Nel 2019 l’Istat ha dichiarato che il 23,9% delle famiglie italiane, praticamente una su quattro, non ha accesso a Internet. Per far fronte a questo, il 19 marzo il ministero dell’Istruzione ha affermato di aver distribuito 46.152 tablet in tutto il paese, e una settimana dopo sono stati stanziati 70 milioni di euro per permettere alle scuole di comprare i dispositivi e farli avere a chi non ce li ha. Ma è vero che in questo adattamento allo smart learning, o insegnamento a distanza, il Sud è palesemente svantaggiato? Non proprio, almeno stando ai dati ufficiali.

La mappa riporta la percentuale delle famiglie, provincia per provincia, che dispongono in casa di una connessione a internet di almeno 30 megabit al secondo (quindi molto più veloce di una Adsl ma meno del massimo potenziale della fibra ottica, che può arrivare a un gigabit al secondo): delle 48 provincie dove questa percentuale è tra il 65 e il 100% (nessuna arriva al 100, ovviamente), la metà, cioè 24, sono da Roma (compresa) in giù. Non solo: sono interamente coperte da connessione veloce la Puglia, la Calabria e la Sicilia, ad eccezione della provincia di Messina. A Bari il 92% delle case ha una rete di ultima generazione, a Palermo l’83%, a Napoli l’89%, a Siracusa il 90%. Bene anche Cagliari col 78%, Reggio Calabria col 72% e la stessa Capitale con l’85%.

Tutte queste provincie fanno meglio di diverse aree del Nord: escluse Milano e alcune provincie di Emilia-Romagna, Toscana e Liguria, è alto ma deludente ad esempio il dato di Torino (75%), mentre arrancano letteralmente Veneto, Trentino-Alto-Adige e Friuli Venezia Giulia, dove spicca solo l’83% di Trieste. Vicenza fa 51%, Belluno 36%, Trento 37%, Bolzano 44%. Coperture basse anche per la Val’Aosta (37%), la provincia di Cuneo (38%). I dati più bassi tuttavia si registrano in alcune zone del Centro-Sud: la peggiore è la provincia di Isernia col 31%, poi Rieti col 33% e L’Aquila col 34%. Insomma il problema dell’Italia poco connessa è reale, ma è molto più omogeneo di quanto possa sembrare: il Sud, anche nelle province più remote, ha recuperato parecchio terreno.

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