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Shale oil e tar sands stanno ridando autonomia energetica agli Usa. E ottimi ritorni agli azionisti

La risalita del prezzo del petrolio significa che una serie di giacimenti, fino a pochi anni fa reputati troppo onerosi da sfruttare, oggi sono considerati preziosi.

Shale oil e tar sands stanno ridando autonomia energetica agli Usa. E ottimi ritorni agli azionisti

Kohlberg-Kravis-Roberts & Co., la società finanziaria (o corporate raider) di antica memoria – ricordate Michael Milken, il creatore dei junk bond alla fine degli anni Ottanta – ha appena venduto alla Marathon Oil Corporation una quota della Hilcorp Resources Holdings LP, guadagnando tre volte l’investimento a suo tempo fatto. La fonte di tanta manna è lo shale oil, il petrolio contenuto negli anfratti di roccie argillose sedimentarie (scisti), che viene estratto con la tecnica del fracking, una tecnologia che sta facendo passi da gigante e che, anche se ecologicamente controversa, promette agli Stati Uniti quell’indipendenza energetica che hanno perso a causa della forbice fra domanda – il vorace consumo di petrolio degli americani – e offerta: l’esaurimento progressivo dei pozzi tradizionali onshore e offshore. Dal Rio Grande al Montana le potenzialità di estrazione dello shale oil sono immense. E a queste si aggiungono le sabbie bituminose (tar sands) dell’Alberta, nel Canada. Anche qui ci sono problemi ecologici ma la tecnologia anche qui sta facendo passi da gigante. Il parametro cruciale è il prezzo del petrolio: se si mantiene su questi livelli lo sfruttamento di petrolio non convenzionale rimarrà redditizio e l’offerta aumenterà. Insomma, ecco il paradosso: il petrolio caro è la miglior assicurazione contro una crisi energetica.
http://www.kkr.com/ http://www.news-star.com/news/x311060830/Energy-boom-posible

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