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Recovery Plan, ricostruire l’Italia con il Sud: appello di economisti

In vista della riscrittura del piano italiano di utilizzo delle risorse del Recovery Plan un gruppo di economisti ha lanciato un appello perchè ne venga accentuata l’impronta meridionalista – Trigilia, Viesti, Laterza e Donzelli tra i firmatari

Recovery Plan, ricostruire l’Italia con il Sud: appello di economisti


Il Next Generation Eu è un’occasione da non sprecare. Il Governo guidato da Mario Draghi sta predisponendo “la lista delle priorità” cui destinare i fondi in arrivo dall’Europa nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che avrà lo scopo di far ripartire il Paese. Bisognerà allocare le giuste risorse sui giusti progetti. E i margini d’errore sono molto ristretti. Per questo motivo, in una fase delicatissima a livello nazionale e internazionale, un gruppo di economisti e accademici ha presentato al Governo un piano in 10 punti che prevede di far ripartire il Sud coi fondi europei del Next Generation EU. Un’iniziativa che da un lato intende avviare una riflessione su ciò che è stato e che è il Mezzogiorno, dall’altro vuole proporre proposte concrete per stimolare la crescita di un pezzo d’Italia che da decenni viene lasciato indietro. 

Tra i firmatari del piano figurano: Laura Azzolina, Università di Palermo; Luca Bianchi, economista; Carlo Borgomeo, Fondazione con il Sud; Luciano Brancaccio, Università Federico II Napoli; Luigi Burroni, Università di Firenze; Domenico Cersosimo, Università della Calabria; Leandra D’Antone, storica; Paola De Vivo, Università Federico II Napoli; Carmine Donzelli, editore; Maurizio Franzini, Università La Sapienza Roma; Lidia Greco, Università di Bari; Alessandro Laterza, editore; Flavia Martinelli, Università Mediterranea Reggio Calabria; Alfio Mastropaolo, Università di Torino; Vittorio Mete, Università di Firenze; Enrica Morlicchio, Università Federico II Napoli; Rosanna Nisticò, Università della Calabria; Emmanuele Pavolini, Università di Macerata; Francesco Prota, Università di Bari; Francesco Raniolo, Università della Calabria; Marco Rossi-Doria, maestro; Isaia Sales, Università S. Orsola Benincasa Napoli; Rocco Sciarrone, Università di Torino; Carlo Trigilia, Università di Firenze; Gianfranco Viesti, Università di Bari.

Di seguito vi proponiamo il documento completo: 

L’Italia si trova di fronte all’occasione irripetibile di avviare la sua “ricostruzione” coniugando sviluppo e coesione sociale, per giocare un ruolo di primo piano nell’Europa del prossimo decennio.

Per tale ragione, a nostro avviso, l’obiettivo di ridurre le disparità di genere, generazionali e territoriali – per molti aspetti strettamente collegate nelle aree più deboli del paese – deve essere al centro del Piano di Rilancio e di tutti i suoi interventi, coerentemente con la complessiva impostazione comunitaria del programma Next Generation EU.

Dunque, lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere un grande obiettivo del Piano: per la rilevanza dei divari interni al paese, che in base ai criteri di riparto comunitari hanno determinato la dimensione del finanziamento destinato all’Italia; per motivi di uguaglianza fra i cittadini e di rispetto del dettato costituzionale; per motivi di efficienza economica: gli investimenti nel Mezzogiorno hanno un moltiplicatore più elevato e determinano impatti sull’attività produttiva dell’intero sistema nazionale. Il recupero del ritardo accumulato dall’Italia in Europa si supera tenendo insieme le parti del Paese in una strategia di sviluppo comune. Come nella logica del Next Generation EU, il Piano deve valorizzare le complementarità e le interdipendenze produttive e sociali tra i Nord e i Sud, riconoscendo che i risultati economici e il progresso sociale dei Nord dipendono dal destino dei Sud e viceversa.

Nella sua attuale formulazione il Piano non dà garanzia che le sue risorse saranno investite con questo indirizzo, e ancor meno che ci saranno effetti sulla riduzione delle disparità e sulla crescita del Mezzogiorno e quindi dell’intero paese. Per questo, a nostro avviso, il Piano dovrebbe essere riformulato:

1) rendendo esplicito il ruolo del Sud nelle sue principali missioni e il contributo che dal Sud può venire alla crescita del paese, con particolare riferimento alla transizione green, alla logistica, alle nuove attività manifatturiere, al ruolo delle sue aree urbane anche nella trasformazione digitale, al rafforzamento del sistema della ricerca e delle filiere scolastica e formativa e dei servizi socio-sanitari;

2) contenendo un chiaro indirizzo politico verso la produzione di beni pubblici per la coesione e la competitività nell’intero paese, e quindi verso la riduzione dei divari civili, a partire da scuola, sanità e assistenza sociale, anche attraverso un concreto riconoscimento del ruolo del Terzo Settore, e delle disparità nelle dotazioni infrastrutturali materiali (mobilità di lungo e breve raggio) e immateriali (reti digitali, istruzione, ricerca);

3) rendendo esplicito come l’obiettivo traversale della coesione territoriale viene perseguito all’interno di ciascuna missione, e di ciascuna linea di progetto, attraverso una puntuale localizzazione degli interventi (o dei criteri per la loro successiva selezione) e definizione degli obiettivi territoriali di spesa;

4) definendo a livello territoriale in tutte le missioni, e in tutte le linee di progetto, i risultati attesi per i cittadini e le imprese;

5) facendo complessivamente scaturire da questa impostazione di metodo l’allocazione al Sud di una quota delle risorse complessive del Piano significativamente superiore al suo peso in termini di popolazione (al netto dei finanziamenti FSC e REACT-EU e al netto dei progetti “in essere”), coerentemente con l’impostazione e gli indicatori del programma comunitario;

6) e impegnandosi a realizzare un sistema di monitoraggio ad accesso aperto, sulla base del quale il Governo riferirà annualmente in Parlamento sull’avanzamento negli obiettivi di spesa e nei risultati ottenuti, nell’insieme e a livello territoriale;
La semplice allocazione di risorse non garantisce tuttavia il cambiamento del Sud e del paese. Pertanto, a nostro avviso, il Piano dovrebbe anche:

7) prevedere una governance con una significativa discontinuità anche rispetto alle precedenti programmazioni delle politiche di coesione, aperta al contributo delle forze economico-sociali e tale da garantire, molto più che in passato l’avanzamento della spesa da parte dei soggetti attuatori nei tempi previsti e il raggiungimento dei risultati attesi;

8) prevedere un intervento straordinario di riforma e rafforzamento delle Amministrazioni pubbliche ed in particolare di quelle comunali, di semplificazione delle norme e delle procedure e di potenziamento del loro personale e delle loro capacità, sulla base di un’analisi accurata dei fabbisogni. Senza uno straordinario rafforzamento dei Comuni difficilmente le risorse disponibili per investimenti potranno essere spese nei tempi;

9) contenere precisi impegni affinché nelle future Leggi di Bilancio siano destinate risorse correnti ordinarie adeguate a garantire il mantenimento nel tempo dei risultati attesi via via raggiunti, sia per quanto riguarda la dotazione e la qualità dei servizi attivabili con i nuovi investimenti (es. mobilità) sia per la dotazione e la qualità dei servizi di cittadinanza, a partire da salute, istruzione, assistenza, abitazione, connessioni digitali.

10) inserire fra gli interventi di riforma l’attuazione di quanto previsto dalla modifica costituzionale del 2001 e dalla successiva legislazione di attuazione (42/2009) con particolare riferimento alla rapida definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni” (ex art. 117 Cost.) per tutti i cittadini italiani, in base ai quali determinare fabbisogni standard e interventi perequativi nella finanza di Regioni e Comuni.

Senza una migliore capacità amministrativa e coerenti politiche ordinarie i risultati conseguiti con il Piano non potranno essere mantenuti nel tempo, l’Italia non sarà davvero “ricostruita” e non potrà contare in Europa.

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