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Rating: più governance contro i ribassi e le anomalie dei giudizi delle agenzie

Nel referto stilato da S&P’s lo scorso 13 gennaio, quando ha declassato il debito pubblico di mezza Europa, più volte si fa riferimento a problemi di governance sofferti a livello continentale – Ma la condotta di Roma viene giudicata più efficace di quella di Bruxelles

Rating: più governance contro i ribassi e le anomalie dei giudizi delle agenzie

Venerdì 13 gennaio l’agenzia Standard and Poor’s ha simultaneamente ridotto le valutazioni sul merito di credito – i cosiddetti “rating” – di nove paesi europei appartenenti all’area della moneta unica. Al di là di altre considerazioni, il “downgrading” dei giudizi sull’Italia e sugli altri paesi mette in evidenza il rischio di una combinazione sfavorevole tra il peggioramento dell’attività economica e altri fattori. Questi altri fattori meritano attenzione.

Nel referto stilato da S&P’s più volte si fa riferimento ai problemi di governance sofferti a livello europeo, nella definizione, nel coordinamento e nella realizzazione delle appropriate azioni per affrontare la crisi comune. “An open and prolonged dispute among European policymakers over the proper approach to address challenges”, un aperto e prolungato contrasto tra i governi europei è annoverato, testualmente, tra i fattori giustificativi dei ribassi. E, nella sezione dedicata all’Italia, il costo imposto dagli inconvenienti della governance europea viene addirittura messo in contrasto con la maggiore capacità mostrata dall’Italia nel formulare e realizzare politiche economiche in grado di mitigare la crisi: “the weakening policy environment at the European level is to a sufficient degree offset by Italy’s stronger capacity to formulate and implement crisis-mitigating policies”. Visto dal nostro punto di vista, si tratta di un riconoscimento importante per l’Italia. E’ quasi un ribaltamento di prospettiva, dove la condotta di Roma viene giudicata più efficace di quella di Bruxelles. Purtroppo, non è stato abbastanza per impedire il nostro downgrading.

Pro malo, bonum. Il ribasso dei rating dei paesi europei indica quanto progressi importanti sul fronte del coordinamento e dell’efficacia nella comune governance europea potrebbero tornare utili all’Europa e riverberarsi positivamente anche sul giudizio che le agenzie di rating e i mercati formulano sul merito di credito dei paesi della moneta unica. E’ un bonus da cooperazione e da coordinamento che va colto. Si tratterebbe anche di un fattore decisivo per correggere l’anomalia che oggi si rileva quando si confrontano i rating di grandi paesi membri dell’Eurozona e quello degli Stati Uniti, avendo presenti quelle che sono le dimensioni in rapporto al PIL dei rispettivi debiti pubblici.

Facciamo alcuni esempi. Francia e Stati Uniti godono di un medesimo rating AA+. La Francia ha però un debito pubblico che in rapporto al PIL si colloca e – prevede il Fondo monetario internazionale nell’ultimo World Economic Outlook – continuerà ad attestarsi al di sotto del 90 per cento, mentre gli Stati Uniti hanno visto il proprio ratio crescere in pochi anni dal 60 al 100 per cento e rischiano, negli anni a venire, ulteriori e significativi incrementi. Nelle sue ultime previsioni, il Fondo monetario internazionale ipotizza che il rapporto tra debito pubblico e PIL degli Stati Uniti possa salire al 115 per cento nel 2016, un valore addirittura superiore a quanto alla stessa data potrebbe, sempre secondo l’FMI, essere il livello dell’Italia.

Nei prossimi cinque anni è verosimile che il debito pubblico in rapporto al PIL scenda in Italia e salga negli USA e che gli Stati Uniti ci sopravanzino nella poco ambita classifica relativa a questo fondamentale indicatore. Scontando questo scenario di consenso sono forse troppi i cinque livelli (notches) che ora separano il nostro rating da quello americano. Si sa, i giudizi delle agenzie di rating tendono a guardare indietro più che avanti. Sta a noi, italiani ed europei, dare prova di lungimiranza.

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