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Partecipate, il Governo prevede sanzioni per chi ostacola la riduzione ma non chiarisce chi pagherà

Per razionalizzare e ridurre le società pubbliche partecipate uno dei decreti del Governo di attuazione della riforma della Pa prevede finalmente sanzioni a chi ostacola il cambiamento ma si dimentica di chiarire chi dovrà pagare e quanto – Il provvedimento può mettere fine a una greppia colossale ma per cambiare davvero verso ci vuole qualcosa di più

Partecipate, il Governo prevede sanzioni per chi ostacola la riduzione ma non chiarisce chi pagherà

Una decina di giorni fa il governo ha effettuato l’esame preliminare di 11 decreti legislativi in attuazione della delega contenuta nella L. 124/2015 (“riforma Madia”) tra cui quello finalizzato al riordino delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche. Nelle slide il governo ha annunciato che da un “prima” con “migliaia di partecipate inutili che moltiplicano poltrone e gettoni di presenza e spreco di soldi pubblici” si passerà ad un “dopo” con “taglio immediato delle partecipate inutili, regole certe per impedire la costituzione di quelle che non servono, riduzione dello stipendio per amministratori che non producono utili”.

A parte la consueta enfasi comunicativa non v’è dubbio che il decreto compia un’importante opera di riordino in questa delicata materia. Naturalmente il diavolo sta nella implementazione e quella resta molto nelle mani di chi ha contribuito a creare il capitalismo municipale con le sue 8mila società partecipate. Né potrebbe essere diversamente, visto che Regioni e Comuni sono “enti autonomi” secondo la Costituzione. Bisognerà quindi vedere se la legge riesce ad introdurre vincoli e “paletti” efficaci, compito non facile visto che da diversi anni il legislatore statale ci sta provando senza successo. 

Vediamo il problema della riduzione del numero, il “taglio immediato” delle partecipate inutili. In realtà si tratta di una più modesta razionalizzazione dove il governo ha già incontrato una certa resistenza, per usare un garbato eufemismo. In particolare, anche nella legge di stabilità dello scorso anno era previsto un “piano operativo di razionalizzazione”, che doveva “conseguire la riduzione”; il piano era da adottarsi entro il 31 marzo 2015 ma la norma non prevedeva sanzioni nel caso di non ottemperanza. E così questi piani di razionalizzazione sono stati adottati solo da una parte delle amministrazioni (circa il 50% secondo un rapporto della Corte dei Conti dello scorso luglio). 

Nel decreto delegato sono finalmente previste delle sanzioni anche se ancora è in bianco, almeno nella versione che ho potuto consultare e che circola nel web, l’importo della sanzione; né è indicato chi è tenuto a contestare l’infrazione né chi è tenuto al pagamento (l’amministrazione che non ha predisposto il piano o chi gestisce le partecipazioni che, nel caso degli enti locali, è il sindaco?), né i criteri per stabilire l’importo della sanzione tra il minimo e il massimo. Sarebbe controproducente se il governo si limitasse a minacciare senza dotarsi di uno strumento efficace per rendere la minaccia credibile.

Si segnala poi un “curioso” lapsus: nell’art. 5, dal promettente titolo “oneri di motivazione analitica e obblighi di dismissione” si trova sì una puntuale previsione delle motivazioni a cui saranno tenute le amministrazioni quando costituiscono una nuova società o acquisiscono una partecipazione in una già costituita ma degli obblighi di dismissione… non v’è traccia.

Ma veniamo agli aspetti positivi del decreto. Si segnala una più puntuale normativa sugli accantonamenti che le amministrazioni devono effettuare quando le partecipate sono in perdita (fino ad oggi la norma aveva carattere sperimentale e sarebbe entrata in vigore solo con i bilanci del 2016 mentre adesso se prevede l’anticipazione al 2015): l’obiettivo che si persegue è di evitare che attraverso le esternalizzazioni si possano eludere i vincoli di finanza pubblica (che è proprio quello che è accaduto in questi anni). 

E poi, in materia di crisi d’impresa, si precisa come la previsione di un ripianamento delle perdite da parte dell’amministrazione azionista debba essere accompagnata da un piano di ristrutturazione aziendale; per le amministrazioni azioniste è possibile altresì presentare denunzia di gravi irregolarità al tribunale. Insomma, maggiore responsabilizzazione per i soci pubblici. E regole strette per incarichi, gettoni, compensi nel tentativo di mettere fine ad una greppia di maestose dimensioni. 

Ma non c’è – e non ci poteva essere, vista l’assenza di un documento di analisi, un bel libro bianco, da sottoporre alla discussione pubblica – un progetto industriale su questo mondo delle partecipate pubbliche che in una sua parte importante svolge servizi fondamentali per la collettività. Si potrà, speriamo, conseguire l’obiettivo di porre argine ad un fenomeno che ha dilapidato risorse ma per “cambiare verso” del tutto ci vuole qualcosa di più.

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