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Le donne non contano: negli Usa questa è l’unica cosa su cui estrema sinistra ed estrema destra sono d’accordo

Pamela Paul, editorialista del New York Times e autrice del fortunato libro “Cento cose che abbiamo perso per colpa di Internet” sostiene nell’intervento che pubblichiamo sotto in versione italiana che negli Usa perfino “la parola donna è diventata un tabù” in una fase di pesante regressione dei diritti femminili

Le donne non contano: negli Usa questa è l’unica cosa su cui estrema sinistra ed estrema destra sono d’accordo

“Forse ha senso che siano state le donne – quelle creature che si suppone siano accondiscendenti e gradevoli, che si sacrificano e che si comportano bene – a riunire finalmente il nostro Paese frammentato. Perché l’estrema destra e l’estrema sinistra hanno trovato l’unica cosa su cui concordano: ossia che le donne non contano“. Così comincia un recente articolo sul New York Times di Pamela Paul, l’autrice del bestseller “Cento cose che abbiamo perso per colpa di Internet”, che prosegue così:

“La posizione della destra in questo caso è la più nota, in quanto il movimento si è dedicato prepotentemente a spogliare le donne dei loro diritti fondamentali per decenni. Grazie anche a due giudici della Corte Suprema, i quali sono stati accusati di comportamenti vessatori nei confronti delle donne, dopo quasi cinquant’anni la storica sentenza “Roe contro Wade”, garante del diritto all’aborto, è stata spietatamente abbattuta.

Molto più sconcertante è stata la posizione della sinistra, la quale è subentrata con il proprio – forse involontariamente – programma misogino. Un tempo i gruppi universitari e le organizzazioni attiviste si battevano strenuamente per le donne, poiché i diritti delle donne erano diritti umani, per cui valeva la pena combattere e, sebbene, l’Equal Rights Amendament, la proposta di emendamento per garantire pari diritti ai cittadini senza distinzione di sesso, non sia mai stato approvato, gli studenti di legge e i gruppi di promotori lavorarono anni affinché le donne fossero riconosciute come classe da proteggere. Oggi invece un certo numero di accademici, ultra-progressisti, attivisti transgender, organizzazioni per le libertà civili e mediche stanno perseguendo l’obiettivo opposto: negare alle donne la loro umanità, riducendole a un mix di parti del corpo e stereotipi di genere.

Il termine “donna” sempre più fuori uso

Come riportato dal mio collega Michael Powell, anche la parola “donna” è diventata un tabù. Prima era un termine comunemente inteso dalla metà della popolazione mondiale, esso aveva un significato specifico legato al mondo della genetica, della biologia, della storia, della politica e della cultura. Ora non più. Al suo posto si utilizzano termini come “persone incinte”, “mestruanti” oppure “corpi con vagine”. Ad esempio il gruppo clinico specializzato negli aborti Planned Parenthood, una volta stenuo difensore dei diritti delle donne, omette la parola “donna” dalla sua home page; l’organizzazione per la libertà di scelta NARAL Pro-Choice America ha impiegato “persone che partoriscono” al posto di “donne”; l’American Civil Liberties Union, l’Unione Americana per le Libertà Civili, da sempre in prima linea a difendere i diritti delle donne, il mese scorso ha twittato la sua indignazione per il possibile sovvertimento della sentenza “Roe contro Wade” in quanto minaccia per diversi gruppi quali “neri, indigeni e altre persone di colore, la comunità L.G.B.T.Q., immigrati e giovani”, lasciando fuori il gruppo più minacciato di tutti: le donne. Che modo amaro per celebrare il 50° anniversario del Title IX (la legge federale sui diritti civili che vieta la discriminazione basata sul sesso).

…per rispettare la comunità L.G.B.T.Q.+

La nobile causa che sta dietro l’omissione della parola “donne” è quello di fare spazio al numero relativamente esiguo di uomini transgender e di persone non binarie che possiedono aspetti della funzione biologica femminile e che possono concepire, partorire o allattare. Tuttavia, nonostante lo spirito di inclusione, il risultato è stato quello di mettere da parte le donne.

E loro, certamente, sono state accomodanti. Hanno accolto le donne transgender nelle loro organizzazioni; hanno imparato che proporre uno spazio solo per le donne biologiche in situazioni in cui la presenza degli uomini può essere minacciosa o ingiusta –come nei centri antistupro, nei rifugi per abusi domestici, negli sport agonistici – è considerato tutt’oggi da alcuni come un’esclusione. Se ci sono altre persone emarginate per cui lottare, si presume che le donne saranno lì in prima linea a battersi piuttosto che a combattere sul loro fronte.

Ma, ma, ma. Si può davvero biasimare la sorellanza per essersi sentita un po’ nervosa? Per aver rabbrividito di fronte alla presunzione di consenso? Per essersi preoccupate delle implicazioni più importanti? Per essersi chieste quale messaggio stiamo trasmettendo alle giovani ragazze sul sentirsi bene nel proprio corpo, sull’orgoglio per il proprio sesso e sul potenziale della femminilità? Per aver essenzialmente ceduto a un altro contraccolpo?

Le donne non hanno combattuto così a lungo e così duramente solo per sentirsi dire che non potevano più chiamarsi donne. Questa non è solo una questione semantica, ma anche un danno morale, un affronto a noi stesse.

Regressione alla teoria organo-centrica

Non molto tempo fa – anzi in alcuni luoghi la convinzione persiste – le donne erano considerate una semplice costola d’Adamo. Considerare le donne come entità autonome, e non più solo come un insieme di parti derivate, è stato un traguardo importante nella lotta per l’uguaglianza di genere.

Invece eccoci di nuovo a parlare delle donne riducendole ai loro organi. L’anno scorso la rivista medica britannica The Lancet si è pavoneggiata per un articolo di copertina sulle mestruazioni in cui invece di nominare gli esseri umani che possono godere di quest’attività biologica mensile, la copertina le definiva “corpi con vagine”. È quasi come se gli altri componenti – utero, ovaie o anche qualcosa di relativamente neutro dal punto di vista genetico, come il cervello – fossero irrilevanti.  Il fatto che queste cose tendono ad essere raggruppate in un pacchetto umano con 2 cromosomi X a quanto pare è trascurabile.

“Cosa siamo, fegato tritato?” potrebbe dire una donna scherzando, ma in questa atmosfera organo-centrica e largamente triste, forse sarebbe più saggio non riderci su.

Le conseguenze per le donne che dissentono

Tuttavia, quelle donne che esprimono pubblicamente emozioni contrastanti od opinioni opposte sono spesso attaccate brutalmente per essersi fatte valere (basti cercare su Google la parola “transgender” abbinata al nome di Martina Navratilova, J.K. Rowling o Kathleen Stock per farsi un’idea più precisa). Queste donne rischiano il loro lavoro e la loro sicurezza personale; vengono additate come transfobiche o etichettate come Terf, un appellativo che può risultare sconosciuto a chi non conosce questo particolare campo di battaglia su Twitter. Nato come abbreviazione di “trans-exclusionary radical feminist, ossia femminista radicale transescludente, che si riferiva in origine a un sottogruppo del movimento femminista britannico, Terf indica qualsiasi donna, femminista o no, la quale si ostina a credere che le donne transgender, pur dovendo vivere la loro vita con dignità e rispetto, non siano identiche a quelle nate biologicamente femmine e che hanno vissuto tutta la loro vita come tali, con tutte le caratteristiche biologiche, le aspettative sociali e culturali, le realtà economiche e i problemi di sicurezza che ciò implica.

“Maschile” e “Femminile”: due realtà distinte e distanti 

Ma, in un mondo di molteplici identità di genere tra cui scegliere, la categoria biologica “donna” non esiste. Qualcuno potrebbe parlare di eliminazione. Quando non definiscono le donne in base alle parti del corpo, i misogini di entrambi i poli ideologici sembrano essere determinati a ridurle a rigidi stereotipi di genere. La formula della destra la conosciamo bene: le donne sono materne e domestiche – sono quelle che sentono, che danno e che “non si preoccupano”. I nuovi arrivati, non attesi, di questa tipizzazione retrograda sono i presunti progressisti della sinistra. In accordo con una teoria di genere recentemente diffusa, ora la sinistra propone che le ragazze, gay o etero, le quali non si auto-identificano come femmine non sono in qualche modo del tutto ragazze. I libri sull’identità di genere creati dai gruppi di difesa dei transgender per le scuole offrono ai bambini utili diagrammi i quali suggeriscono che certi stili o comportamenti sono “maschili” mentre altri sono “femminili”. Eppure non avevamo abbandonato queste rigide categorie negli anni ’70?

Il movimento delle donne e il movimento per il diritto dei gay, dopo tutto, hanno cercato di liberare i sessi dalla costruzione di genere, con le sue nozioni antiquate di mascolinità e femminilità, per accettare tutte le donne per come sono, sia che si tratti di un maschiaccio, di una ragazza femminile o di una lesbica mascolina. Annullare tutto questo significa perdere il terreno conquistato duramente dalle donne e anche dagli uomini.

Chi di destra si sente minacciato dall’uguaglianza di genere ha sempre combattuto ferocemente per rimettere le donne al loro posto, ciò che è stato scoraggiante è invece che alcuni della sinistra si sono dimostrati altrettanto sprezzanti, ricorrendo al bullismo, minacce di violenza, umiliazione pubblica e altre tattiche intimidatorie nel momento in cui le donne hanno cercato di riaffermare questo diritto. L’effetto è quello di limitare la discussione delle questioni femminili nella sfera pubblica.

L’ambizione della politica odierna: zittire le donne

Le donne non sono il nemico. Considerando che nel mondo reale, la maggior parte della violenza contro gli uomini e le donne trans è ad opera di uomini, nel mondo online e quello accademico, la maggior parte dell’ira contro coloro che si oppongono a questa nuova ideologia di genere sembra essere diretta alle donne. Questo è straziante e controproducente.

La tolleranza per un gruppo non implica necessariamente intolleranza per un altro. Possiamo rispettare le donne transgender senza castigare chi fa notare che le donne biologiche costituiscono ancora una categoria a se stante, con le proprie esigenze e prerogative. Se solo le voci delle donne fossero ascoltate e rispettate abitualmente su questi temi. Invece, che si tratti di trumpisti o tradizionalisti, attivisti di sinistra o accademici, i misogini di entrambi gli estremi dello spettro politico amano allo stesso modo il potere di zittire le donne.

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