Condividi

Emergenza energetica: tutto quello che si deve sapere senza illusioni né false speranze

“Non ci sono ricette miracolistiche per risolvere l’emergenza gas”. Lo afferma Carlo Stagnaro, esperto di politica industriale e direttore dell’Istituto Bruno Leoni. Ecco le sue proposte per sanare lo squilibrio attuale

Emergenza energetica: tutto quello che si deve sapere senza illusioni né false speranze

“Non è vero che in Italia non abbiamo fatto negli scorsi decenni una politica energetica, in realtà, contrariamente a una diffusa opinione corrente, abbiamo fatto delle scelte, solo che si sono dimostrate sbagliate”.  

Carlo Stagnaro, esperto di politica industriale e direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, ha studiato a fondo le ragioni della crisi energetica giungendo alla conclusione che occorre un profondo ripensamento delle nostre politiche superando anche molti dei nostri tabù culturali e sociali. Si tratta di affrontare l’emergenza impostando nel contempo una strategia di medio-lungo termine per rendere più sicuri i nostri approvvigionamenti e proseguendo, senza voli pindarici, verso la riduzioni delle emissioni nocive per l’ambiente. 

Le cause della crisi del gas 

L’emergenza oggi dipende dalla crisi del gas. La crisi è iniziata prima dello scoppio della guerra innescata dall’invasione russa dell’Ucraina a causa degli errori commessi in tutta Europa e soprattutto in Italia. Basti pensare che fino a poco prima del Natale scorso molti si opponevano all’inserimento nella tassonomia europea che deve guidarci verso la completa decarbonizzazione, del gas e del nucleare. 

Secondo molti esperti noi avremmo dovuto liberarci del gas nell’arco dei prossimi 15-20 anni e quindi non erano necessari nuovi investimenti nella ricerca e nella valorizzazione di nuovi giacimenti, ed anzi che si poteva cominciare a chiudere quelli esistenti. Infatti nel periodo intermedio, si riteneva, che non avremmo avuto difficoltà a trovare il gas in giro per il mondo. La conseguenza è stata che nessuno ha fatto investimenti per valorizzare le fonti interne. 

In Italia in particolare sono stati posti ostacoli di tutti i generi all’estrazione del gas che pure abbiamo, ad esempio in Adriatico, tanto che in meno di vent’anni siamo passati da una produzione domestica di oltre 20 miliardi di metri cubi a meno di 3 miliardi (le nostre importazioni di gas dalla Russia ammontano a circa 29 miliardi di metri cubi)  “Non credo possibile – dice Stagnaro – tornare a quei livelli, ma certo potremo arrivare nel giro di qualche tempo ad un livello di produzione intermedio e quindi molto più consistente dell’attuale.”   

Peraltro il gas estratto in Italia sarebbe anche più ecologico di quello proveniente da Paesi remoti, in quanto la brevità del tragitto verso i luoghi di consumo comporterebbe minori perdite e minore dispersione di gas nell’atmosfera. 

Il tetto al prezzo del gas

Per fronteggiare l’emergenza, il nostro governo sta pensando a varie strade. Una è quella di mettere un tetto al prezzo del gas che importiamo. Ma come dovrebbe funzionare? In una recente intervista il premier Mario Draghi ha avanzato l’ipotesi di mettere un tetto solo al gas che importiamo dalla Russia nelle convinzione che i russi, che hanno bisogno di vendere il loro gas per poter mandare avanti la loro economia, non potranno non accettare una simile imposizione. Ma se Putin dovesse decidere di chiudere i rubinetti

 “Se questo fosse il modo per arrivare ad un embargo – sostiene Stagnaro –  allora sarebbe meglio dal punto di vista politico che fossimo noi europei a decretarlo, mettendo la Russia con le spalle al muro e costringendola a fare i conti con le proprie scelte aggressive nei confronti dell’ Ucraina e dell’Occidente”. 

Tutte le alternative al gas russo 

Legando il breve con il medio termine però, il nostro Governo sta agendo con rapidità e determinazione, considerando che per attutire l’impatto di una eventuale mancanza del gas russo dovremo attivare tutte le alternative possibili: potenziare la produzione di energia dalle rinnovabili, riattivare le nostre centrali a carbone, potenziare la produzione nazionale, sbloccare la costruzione di termovalorizzatori che oltre a risolvere il problema dei rifiuti potrebbero produrre vapore per generare energia elettrica e, come già accade in varie città italiane come Brescia e Torino, fornire il riscaldamento a vasti quartieri cittadini. 

Ovviamente c’è la ricerca di produttori alternativi come avvenuto con l’Algeria e con il gas liquefatto per il quale dovremo disporre degli impianti di liquefazione che sono stati bloccati da decenni di demagogia populista. Ma ognuna di queste alternative presenta dei problemi. Prendiamo le rinnovabili. Ci sono delle resistenze degli ambientalisti sia al fotovoltaico sia all’eolico. C’è il problema che queste non sono energie continuative e quindi di notte o quando le condizioni atmosferiche non sono favorevoli, non producono a sufficienza, mentre i parchi di batterie sono per il momento troppo costosi. “In più – sottolinea Stagnaro – la maggior parte dei 180 GW di progetti di nuova potenza di rinnovabili sono collocati nel Sud Italia e quindi lontani dai principali centri di consumo

Bisognerebbe quindi rifare tutte le nostre linee di trasporto con un costo spropositato e con problemi di autorizzazione per i tralicci veramente notevoli. Si ricordi che per fare un nuovo cavo di collegamento tra la Sicilia e la Calabria ci sono voluti oltre 10 anni.  Insomma rischiamo di non poter usare tutta questa energia rinnovabile anche se riuscissimo davvero a installare “solo” 60 GW, cioè un terzo, di tutti quelli richiesti. E l’idea di usare l’elettricità in più per fare idrogeno verde sembra appartenere al libro dei sogni per problemi tecnici di trasporto e di utilizzo. 

I dilemmi su carbone e nucleare

L’impiego del carbone sarebbe ovviamente temporaneo dato il suo alto tasso di inquinamento. E comunque bisognerebbe anche ridurre il costo dei certificati verdi aumentati di quattro o cinque volte in pochi mesi. C’è poi il nucleare. Francia, Gran Bretagna e Finlandia hanno varato piani che prevedono la costruzione di nuove centrali. Intanto le tecnologie stanno migliorando tanto che si prevede che a breve siano disponibili centrali più piccole con minore produzione di scorie radioattive. Qualcosa sta cambiando nella percezione dell’opinione pubblica italiana, ma per il momento non sembra che i tempi siano maturi per rivedere la nostra antica opposizione all’atomo

Mentre il Governo sta cercando di cambiare il verso della nostra politica energetica,  e probabilmente dovrebbe farlo con maggiore determinazione e maggiore chiarezza su molte questioni, si sta procedendo con i sussidi per calmierare l’impennata dei prezzi

“Certo – dice Stagnaro – però bisognerebbe essere più selettivi nell’impiego dei soldi pubblici finalizzando le risorse solo alle fasce della popolazione più deboli e a certe tipologie di imprese che con gli attuali prezzi del gas rischiano la chiusura. Finora sono stati spesi più di 20 miliardi ed altri 6 sono stati annunciati per le prossime settimane. Quanto possiamo reggere simili livelli di spesa?” 

Gas: lo squilibrio tra domanda e offerta

C’è anche l’idea che bisogna cambiare il metodo di calcolo del prezzo dell’energia elettrica che oggi appare troppo dipendente dal prezzo del gas mentre altre fonti di produzione dell’elettricità non risentono di aumenti del prezzo di questo combustibile (idroelettrico, rinnovabili e, per chi lo possiede, nucleare). Stagnaro è molto chiaro su questo problema: “ci sono varie ragioni per cui oggi sarebbe opportuno variare il metodo di calcolo del prezzo dell’energia elettrica, ma è un’illusione pensare che in questo modo si eliminerebbero le conseguenze dell’impennata del prezzo del gas. Peraltro si tratta di una decisione da adottare in sede europea con i tempi che questo richiederebbe”.

“Ma bisogna avere chiara l’idea che il problema di fondo consiste oggi in uno squilibrio tra domanda ed offerta di gas che si è determinato sul mercato lo scorso anno per alcune ragioni congiunturali e per errori strutturali della politica energetica. Bisogna quindi puntare rapidamente a sanare questo squilibrio con una riduzione della domanda e cioè utilizzando altre fonti energetiche al posto del gas, e contemporaneamente ad un aumento dell’offerta  con nuovi investimenti colpevolmente ostacolati in Europa negli anni passati”, conclude il direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni.

La cura per uscire in tempi ragionevoli dalla crisi energetica c’è. Ci vogliono idee chiare e molto coraggio politico per superare i tabù e compiere scelte veramente innovative.

Commenta