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Conti pubblici: fare più figli o accogliere più immigrati? Per sostenere le pensioni, la risposta è nei numeri

La ricetta di Giorgia Meloni sembrerebbe molto semplice: incentivare l’occupazione femminile e la natalità, per non aumentare l’immigrazione. Ma è davvero possibile? L’Osservatorio Cpi sui conti pubblici ha fatto i conti. Ecco il risultato

Conti pubblici: fare più figli o accogliere più immigrati? Per sostenere le pensioni, la risposta è nei numeri

Che sia in atto un consistente calo demografico è nei numeri. Che, visto l’allungamento della vita, ci sia necessità di maggiori risorse per coprire le spese pensionistiche è anch’esso un dato acquisito. I due fattori insieme indicano una coperta che si è fatta troppo corta per essere in grado di coprire le nuove esigenze della popolazione. E occorrono nuovi rimedi, oltre a quelle riforme pensionistiche già in atto.
La ricetta del presidente del Consiglio Giorgia Meloni sembrerebbe molto semplice per compensare l’aumento della spesa pensionistica rispetto al Pil: incentivare l’occupazione femminile e la natalità.
L’altra strada, che invece Meloni non vorrebbe percorrere, sarebbe quella di attingere risorse dal contributo lavorativo di nuovi immigrati.
L’Osservatorio Cpi sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, dati alla mano, ha fatto due calcoli per vedere se la strada di Meloni è davvero percorribile.
La conclusione è condensata in un numero: 2,1 figli per donna, che rappresenta il tasso di fecondità a cui si dovrebbe salire entro il 2070 (dall’attuale 1,24) per riuscire a rimodulare il rapporto tra spesa pensionistica e Pil, senza aumentare l’immigrazione. “Un aumento che sembra improbabile anche con politiche molto intense a favore della natalità” dice il rapporto. Ma vediamo nel dettaglio come l’Osservatorio è arrivato a questa conclusione.

Lo scenario base: aumento della natalità e degli immigrati per contenere la spesa

Il punto di partenza dell’analisi è lo “scenario base” (il cosiddetto baseline) per l’Italia nell’Ageing Report 2021 pubblicato dalla Commissione europea e prodotto dall’Ageing Working Group (AWG) dell’Economic Policy Committee (un comitato che comprende tutti i rappresentanti dei Paesi membri dell’Unione europea). Uno scenario per altro sostanzialmente simile a quello presentato nel Def, il documento di finanza pubblica che contiene le politiche economiche e finanziarie decise dal Governo.
Sulla base delle tendenze in corso, la baseline ipotizza un aumento della speranza di vita che arriva in media tra maschi e femmine a 89 anni nel 2070. Per compensare questo aumento, oltre alle riforme pensionistiche già approvate, l’AWG assume ipotesi, sia demografiche sia macroeconomiche, relativamente favorevoli.
Tra ipotesi demografiche si segnalano un tasso di fecondità in costante aumento (da 1,24 del 2022 a 1,39 nel 2035 e a 1,52 nel 2070) e un flusso netto di immigrati che nell’intero periodo di previsione si attesta mediamente intorno a 213.000 unità annue.
Le principali ipotesi di natura macroeconomica prevedono invece un miglioramento generale dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro, occupazione e disoccupazione. I primi due registrano un aumento nei prossimi cinquant’anni di circa 2,6 e 4 punti percentuali, soprattutto per una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, mentre la disoccupazione si ridurrebbe del 2,3%.
I risultati della baseline AWG mettono in evidenza una previsione di spesa pensionistica sul Pil crescente fino al 2035 (dal 16,2% del 2025 al 17,3% nel 2045) e una sua successiva discesa fino al 2070, quando si attesterà al 13,6% del Pil, anche per effetto del calo degli assegni pensionistici.

E se invece si volesse fermare l’immigrazione?

Cosa accadrebbe se il governo decidesse di contenere il flusso di immigrati con l’obiettivo, per esempio, di mantenere invariato (al livello attuale) il rapporto tra immigrati e totale della popolazione?
La spesa pensionistica sul Pil aumenterebbe a causa del minor numero di occupati, dovuto alla ridotta presenza di immigrati, e quindi al più basso livello del Pil. Mantenere il rapporto tra immigrati e popolazione italiana ai livelli del 2022 (8,5%), implicherebbe un flusso netto di immigrati praticamente nullo (6.000 unità medie annue). A parità di altre condizioni, la spesa pensionistica sul Pil mostrerebbe i primi segnali di peggioramento già dal 2025, raggiungendo nel 2045 il picco di quasi il 20%. Anche nella fase decrescente della spesa pensionistica sul Pil, i risultati del nuovo scenario rimangono ampiamente al di sopra di quelli della baseline attestandosi al 16,2% nel 2070 contro il 13,6% dell’altra ipotesi.

Di quanto dovrebbe aumentare il tasso di fecondità per compensare il minor numero di immigrati?

Visto il ritardo degli effetti dovuti all’aumento del tasso di fecondità, e quindi del numero di persone in età lavorativa, per diversi anni non sarebbe comunque possibile compensare il minor flusso di immigrati (i primi effetti positivi si osserverebbero solo intorno al 2040).
Ma nel lungo periodo? Per tornare ai livelli della baseline nel 2070 occorrerebbe aumentare il tasso di fecondità di 0,54 al 2070 rispetto alla baseline, considerando che già nella baseline è previsto un aumento rispetto ai livelli attuali (1,24) di 0,28. L’aumento complessivo per recuperare le perdite da un minor flusso netto di immigrati sarebbe quindi da 1,24 del 2022 a 2,1 del 2070 (0,86). Per trovare un tasso di fecondità a questo livello occorre risalire ai primi anni Settanta. L’Italia del 2070 dovrebbe dunque tornare a essere molto simile a quella di un secolo prima, un compito piuttosto arduo.

Con l’aumento delle natalità occorrono più risorse

Occorre anche considerare che aumentare il tasso di fecondità richiede il dispendio di notevoli risorse pubbliche cui si dovrebbero aggiungere le maggiori spese, soprattutto per asili nido e congedi parentali che rendano possibile conciliare il lavoro con la cura dei figli e per l’istruzione dei nuovi nati.
Infatti, già guardando alle proiezioni del rapporto AWG, un’ipotesi di high enrolment nello scenario baseline con un tasso di fecondità a 1,52 nel 2070 comporterebbe un aumento della spesa per istruzione su Pil dello 0,6 per cento al 2070.
Infine l’Osservatorio fa ancora 3 considerazioni.
1-in nessun Paese avanzato (esclusi gli ex Paesi in transizione che ebbero un crollo temporaneo dei tassi di fecondità all’inizio degli anni Novanta) il tasso di fecondità è ora superiore a 2,1. I Paesi a reddito più basso che attualmente hanno un tasso di fecondità poco superiore a 2,1 includono l’Indonesia, il Perù, il Venezuela, Panama e il Marocco, mentre leggermente al di sotto dello stesso valore si trovano la Tunisia, la Georgia, l’India e il Nepal;
2-il massimo aumento complessivo registrato tra i Paesi avanzati escluse le economie in transizione è avvenuto in Svezia: +0,5 tra il 1999 e il 2010, inferiore di circa 0,4 punti rispetto a quello che sarebbe richiesto nel caso italiano;
3-l’aumento necessario del tasso di fecondità per compensare il minor numero di immigrati sarebbe inferiore se ci fosse anche un aumento del tasso di occupazione femminile, come suggerito da Meloni. Tuttavia, come notato, la baseline dell’AWG comprende già un consistente aumento del tasso di partecipazione femminile (dal 63,5%nel 2025 al 77,3% nel 2070 per la fascia d’età 20-64 anni) per cui un ulteriore aumento sembra difficile da raggiungere.

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