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Ceramica, il made in Italy che funziona. Radiografia del comparto al Cersaie

Il settore è indenne dalla crisi: +4,58% dell’export nel primo semestre – A Bologna al Cersaie, il salone più importante del mondo, fioccano ordini – Stefani (Laminam): “Sono 20 anni che nessun Governo fa qualcosa per noi. Non vale più la pena di lamentarsi. Dobbiamo fare e basta, siamo stufi di chiacchere”. In mostra diverse piastrelle innovative

Ceramica, il made in Italy che funziona. Radiografia del comparto al Cersaie

La crisi in questi giorni non abita alla Fiera di Bologna, dove il Cersaie, salone internazionale della ceramica per l’edilizia e l’arredo bagno, sembra un mondo parallelo. Qui si incontrano migliaia di visitatori che vengono da tutto il mondo, si scoprono centinaia di prodotti nuovi, decine di imprenditori soddisfatti, con fatturati in crescita.

Varcati i cancelli di piazza della Costituzione il dramma quotidiano delle Borse, di S&P, dei declassamenti, delle lacerazioni politiche, delle manovre finanziarie lacrime e sangue, sembra sparire. Nei convegni si soffia sul fuoco delle critiche, ma fra i bellissimi e lussuosi stand della fiera si lavora alacremente e si concludono buoni affari. La sensazione è di aver di fronte un paese reale che funziona, un “cavallo scosso” che vince il palio anche senza il fantino, come disse Massimo D’Alema qualche anno fa.

“Noi dobbiamo ‘fare’, siamo stufi di chiacchiere – sostiene Franco Stefani, della System di Fiorano modenese (240 milioni di fatturato), presente a Cersaie con Laminam, azienda che per prima ha brevettato e messo sul mercato la piastrella più sottile del mondo – sono 20 anni che nessun Governo fa qualcosa per noi, non vale più la pena di lamentarsi. Dobbiamo rimboccarci le maniche e proseguire sulla strada dell’innovazione e del lavoro, il nostro presente e il nostro futuro è questo. Prendiamo esempio da Steve Jobs”. Il genio della Apple invitava gli studenti di Stanford a essere “folli e affamati” e a Cersaie, effettivamente, si incontra un po’ di sana follia e molta voglia di vincere, spesso con la targa Sassuolo.

Mariano Paganelli è un nuovo imprenditore della ceramica, un debuttante di mezza età che vuole mettere a frutto un’idea, perciò un anno fa ha creato la Steelker, per produrre “un laminato ceramico che si posa senza colla e che resiste 50 volte più delle piastrelle a urti e oscillazioni”. La ceramica è da sempre il suo pane: un laurea in chimica industriale, un passato da direttore del centro ricerche della Marazzi, un’altra azienda-laboratorio, la Expert System Solutions, che analizza i comportamenti degli impianti ceramici ad alte temperature. “Però avevo voglia di divertirmi ancora – dice – e poichè mi piace lavorare 12 ore al giorno, in piena crisi economica mondiale, mi sono buttato in una nuova impresa. La produzione è automatizzata e mi bastano due dipendenti per fare, se arrivo a pieno ritmo, 200mila mq di piastrelle per un fatturato di 5 milioni circa. Con 10 dipendenti posso arrivare a un milione di mq e a un giro d’affari di 25 milioni”.

Nei primi mesi gli ordini sono arrivati solo dall’estero, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, perché “l’Italia – spiega Paganelli – è un mercato molto difficile, che fatica ad accettare il nuovo. Ma il prodotto c’è e il mercato pure, quindi non demordo”. Del resto l’export è il punto di forza della ceramica e il settore, nei primi sei mesi del 2011, ha registrato un ulteriore 4,58% in più nelle esportazioni. I rivali cinesi dominano il mondo con le quantità, ma l’Italia resta prima nella qualità, nell’inventiva ed è pure riuscita a ridimensionare la concorrenza sleale grazie alle misure antidumping. Anche la piccola imitazione di Cersaie che i cinesi inscenano, da qualche anno, in un albergo a pochi passi dalla fiera, ormai è ridotta all’osso. “All’inizio bisognava prenotare le sale con un anno di anticipo – dice il dirigente italiano di un’azienda cinese – ormai siamo rimasti in pochi, i dazi hanno fiaccato le nostre possibilità”.

La fiera ufficiale invece vede rosa: “Abbiamo registrato un deciso incremento dei visitatori – afferma Andrea Serri, capo ufficio stampa della manifestazione – Cersaie si conferma la fiera del settore piú importante del mondo. Abbiamo 965 espositori, di cui 265 stranieri da 30 paesi e occupiamo 176 mila metri quadri di spazi espositivi, ma non possiamo soddisfare tutte le richieste, avremmo bisogno almeno di altri 50 mila metri quadri”. “Le cose vanno bene nonostante tutto – osserva Emilio Mussini, presidente di Panariagroup spa, quotata in Borsa, al segmento Star – per fortuna i produttori di ceramica italiani si sono guadagnati una grande credibilità sul campo e in questa fase hanno cercato di essere ancora piú bravi di prima. Al paese non chiediamo nulla, solo di essere messi in condizione di competere alla pari con gli altri”.

Anche per Panariagroup, 285 milioni di fatturato, il 70% di export, la chiave di volta è l’innovazione. Coi suoi vari marchi, a Cersaie, ha portato molti prodotti particolari, dal cotto digitale e antibatterico, alla ceramica fotovoltaica, sulla quale si può anche camminare mentre si produce energia, al cosiddetto cappotto, per salvaguardare la casa dal caldo e dal freddo, senza bisogno di intonaco successivo. E l’innovazione paga, benché il titolo in Borsa abbia perso parecchio terreno. “I primi sei mesi del 2011 siamo cresciuti bene – aggiunge Mussini – ora sentiamo il peso dell’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, quindi prevediamo un piccolo rallentamento nel secondo semestre. Per il 2012 siamo ottimisti”.

Il trend positivo probabilmente indurrà Panariagroup a riaprire anche il capitolo acquisti: “Quando ci siamo quotati nel 2004 avevamo un programma ambizioso, poi ci siamo fermati a causa della crisi mondiale. Ora siamo pronti a valutare la situazione, non per cogliere le occasioni qualunque esse siano, ma con l’obiettivo di stare sui mercati che crescono di più”. Insomma la sensazione è che la ripresa sia alle porte, anche se qualcuno non ha passato il guado della stagnazione. E’ il caso della Fincuoghi, storica impresa del distretto ceramico sassolese, acquisita a luglio dal gruppo turco Kale. “Conosciamo quest’azienda da tanti anni – dice la presidente Bodur Zeynep Okyay – e siamo contenti di essere venuti in Italia, che ha persone molto capaci e piene di idee, soprattutto in questo distretto che offre un eccellente contesto per il lavoro”. E come giudica la situazione italiana nel suo complesso? “Siamo convinti – risponde l’imprenditrice – che il vostro paese uscirà dalla crisi, un po’ come è successo a noi dopo il terremoto. Forse l’Italia deve solo riuscire a distribuire meglio le risorse pubbliche”. Una vera ventata di ottimismo.

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