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Borghini: riforma del mercato del lavoro e articolo 18, si può discutere senza anatemi?

INTERVENTO DI GIANFRANCO BORGHINI – Il progetto di riforma del Governo non calpesta diritti individuali inalienabili nè cancella principi di libertà ma, più pragmaticamente, vuole riformare un mercato del lavoro che non funziona e che esclude grandi masse di giovani e di donne: se ne può parlare laicamente? Molto utile la conciliazione obbligatoria .

Borghini: riforma del mercato del lavoro e articolo 18, si può discutere senza anatemi?

Dovremmo tutti fare uno sforzo per ricondurre il confronto sul problema della Riforma del Mercato del Lavoro alla sua giusta dimensione. In fondo si sta discutendo di riformare un Mercato del Lavoro che palesemente non funziona, di rivisitare un sistema di ammortizzatori sociali inefficace e tutt’altro che universale e di regolamentare la normativa in materia di licenziamento individuale per ragioni economiche ed organizzative, in modo tale da evitare che costituisca un ostacolo alle assunzioni a tempo indeterminato. Di questo si tratta. Nessuno è così ingenuo da pensare che basti fare questa riforma per creare occupazione E nessuno intende calpestare diritti individuali inalienabili come temono la Fiom e la Cgil, o cancellare principi di civiltà, come teme Fassina. Ci mancherebbe altro! Non è così.

Ma da dove nasce questa diffusa preoccupazione, certamente legittima ma, a mio avviso, del tutto infondata? Nasce, io credo, dal fatto che in questi ultimi decenni si è ingenerata una certa confusione fra il concetto di “Conquista”e quello di “Riforma” e fra il concetto di “Diritto Acquisito” e quello di “Diritto individuale non disponibile”. Le due cose, però, non sono affatto equivalenti. Una “conquista” ottenuta da una singola categoria o anche da una intera classe sociale non costituisce necessariamente una riforma che va a vantaggio dell’intera società. Molto spesso è vero il contrario. Così come un diritto acquisito da un certo numero di cittadini non configura necessariamente un diritto universale indisponibile.

La storia sociale italiana è piena di conquiste anche molto significative quali, ad esempio, il punto unico di scala mobile, l’aggancio delle pensioni all’80% dell’ultimo salario o l’equo canone, che non hanno però retto alla prova del tempo e che alla lunga si sono rivelate dannose non solo per la società ma indirettamente anche per coloro per i quali erano state ottenute. In tutti questi casi la realtà si è incaricata di dimostrare la aleatorietà di queste conquiste e di presentare ai lavoratori e al paese un conto assai salato da pagare. Cerchiamo, se possibile, di evitare che uno scenario simile abbia ai ripetersi per la Riforma del Mercato del Lavoro.

Non ci sono nella proposta del governo diritti inalienabili che vengono negati, né principi di civiltà che vengono calpestati! Sarebbe bene che chi fa queste affermazioni pesasse meglio le parole che in questo campo sono più che pietre. C’è, in realtà, la volontà di riformare un mercato del lavoro che non funziona perché esclude grandi masse di giovani e di donne. Un mercato del lavoro che non stimola né riconosce la professionalità e la produttività e che non favorisce l’incontro fra la domanda e l’offerta. Un mercato del lavoro ,infine, che non aiuta chi cerca il suo primo lavoro a trovarlo né aiuta chi, avendolo perso, deve cercarne un altro. E’ un mercato inefficiente che, come avrebbero detto una volta i marxisti, ha clamorosamente fallito nel suo compito. Ed è proprio il “fallimento” del Mercato del Lavoro così come è strutturato in Italia, con le sue rigidità, le sue normative antiquate, le sue liturgie contrattuali e le sue inaccettabili arretratezze ( servizi all’impiego da terzo mondo), che dovrebbe spingere i Sindacati e i Partiti Democratici ad invocarne la riforma e a battersi per essa.

Non sarà mai ripetuto a sufficienza che la vera difesa del lavoro (anche del singolo posto di lavoro) la si può realizzare soltanto all’interno di un Mercato del Lavoro efficiente e trasparente. Cosi come non sarà mai ripetuto a sufficienza che la migliore garanzia contro gli arbitrii in materia di licenziamento individuale per motivi economici e organizzativi sta nello sviluppo di un sistema di relazioni industriali sempre più avanzato e democratico piuttosto che nell’intervento esterno di una Magistratura onnipresente e onnisciente.

Dovrebbe essere il sindacato ad impugnare la bandiera della co-gestione , la bandiera cioè di un sistema di relazioni industriali che affida il futuro dell’impresa ad una comune assunzione di responsabilità dei lavoratori e degli imprenditori. Del modello sociale tedesco e della co-gestione fanno parte anche le norme di raffreddamento, le commissioni miste che a livello aziendale esaminano i problemi che via via si pongono, ivi compresi i licenziamenti individuali cosi come ne fa parte il principio della “Obbligatorietà della Conciliazione ” che sembrerebbe potesse essere proposta dal governo nel lodevole intento di raffreddare le tensioni. Se la discussione sull’art. 18 ci facesse davvero far fare un passo nella direzione di adeguare il nostro modello di relazioni industriali a quello tedesco avrebbe gia conseguito un importante risultato. Tutto ciò che aiuta a passare dalla cultura del conflitto a quella della comune assunzione di responsabilità contribuisce a rendere l’Italia un paese migliore.

In ogni caso, anche se avessero ragione quanti, come la Cgil e il Pd, sostengono che la Riforma del Mercato del Lavoro e del’art. 18 non è il problema principale di cui occuparsi oggi per rilanciare lo sviluppo (il problema, come si sa e come recita un mantra caro sopratutto alla sinistra, è sempre un altro), sarebbe molto importante che questa diversità di opinioni non assumesse la forma dell’anatema come avviene nelle manifestazioni (la Signora con la maglietta che augura alla Fornero di andare al cimitero docet).

Dovremmo tutti imparare dagli inglesi che, in caso di diversità anche radicale di opinioni, si limitano a dire: “We agree to differ”, vale a dire “siamo d’accordo di non essere d’accordo” senza per questo diventare nemici.

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