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Bcc, arriva la conta nei gruppi ma mancano i progetti industriali

La divisione del movimento del credito cooperativo tra Iccrea e Cassa Centrale Trentina rischia di indebolire il sistema delle Bcc e lascia aperti molti interrogativi: quale sarà il futuro dei Fondi di garanzia e dove sono i progetti industriali dei diversi raggruppamenti? – L’opportuno richiamo della Banca d’Italia

La lettera che in questi giorni le Banche di credito cooperativo e i loro organismi hanno ricevuto dalla Banca d’Italia è il segnale che il tempo è definitivamente scaduto, cioè che la riforma del credito cooperativo deve passare dalle parole, tante, confondenti e confuse, ai fatti, con scadenze precise, chiare modalità di procedere, indicazioni non negoziabili.

Di riforma del credito cooperativo, come noto, si era cominciato a parlare  molti mesi prima del gennaio 2016, data di emanazione del decreto governativo, che lasciava spazio a soluzioni autoriformatrici. Ora la conclusione dell’iter per l’avvio del nuovo assetto dovrà avvenire entro e non oltre aprile 2018!

Tralascio ogni commento sulla questione dell’urgenza, come pure sul deterioramento del sistema in questo lungo periodo di gestazione del cambiamento, con l’augurio che non vengano a prodursi  ulteriori guasti. Intanto, però, il Fondo Interbancario del Credito Cooperativo, temporaneo ma obbligatorio, voluto dalla legge di riforma per tamponare altre probabili crisi, tramite aggregazioni, ha praticamente esaurito i 400 milioni stanziati, oltre ad essere fonte di conflitto, per qualche intervento tacciato di favoritismo, senza che non tutti i casi critici siano stati risolti.

Torno però al fallimento della soluzione unitaria del gruppo bancario cooperativo e al timore che si scateni, tra i due gruppi in formazione, quello facente capo ad Iccrea e quello di Cassa Centrale Trentina una battaglia in nome del proselitismo, che lacererebbe ancor di più il già sfilacciato tessuto cooperativo.

Banca d’Italia se ne è accorta ed è corsa, per quanto possibile, ai ripari, ricordando nella lettera di cui sopra il divieto di concorrenza, basato sulla promessa di maggiori autonomie gestionali, perché le regole del contratto di coesione dovranno essere uguali per tutti. È vietato pure il cherry picking, au reverse, respingendo richieste di adesione di banche in condizioni di criticità. Il principio della solidarietà, come ha dovuto ricordare Banca d’Italia al movimento cooperativo, deve rimanere la stella polare della riconfigurazione del sistema.

Ma qualche dubbio resta, leggendo sulla stampa la notizia della sottoscrizione da parte di Cassa Centrale Trentina e della sua società di servizi informatici (verrebbe da chiedersi, quest’ultima a quale titolo e con quale impatto sui prezzi dei servizi venduti e sulle capacità di investimento in tecnologia) di 20 milioni di obbligazioni subordinate emesse da Chiantibanca, che, all’ultimo tuffo, ha abbandonato la strada della trasformazione in società per azioni per rientrare nei ranghi del gruppo tridentino. Si tratta di una operazione che, segnalando difficoltà patrimoniali, difficilmente farà rientrare la banca toscana tra quelle più virtuose e pertanto meritevoli di un maggior grado di indipendenza gestionale. Ma di un campione, in quel gruppo, c’era comunque bisogno e così è stato.

Migliore da questo punto di vista dovrebbe essere la condizione del gruppo Iccrea che schiera al vertice della piramide la Bcc di Roma e subito dopo alcune grandi bcc del Nord, con adeguati profili tecnici, ciò che dovrebbe assicurare loro i maggiori spazi gestionali possibili, premiando anche la capacità di fornire eventuale supporto delle altre consociate.

La conta finale avverrà entro questo mese di gennaio, termine perentorio per iscriversi all’uno o all’altro schieramento. E, a ben vedere, uno dei primi effetti negativi della divisione in due gruppi bancari cooperativi è che essa mina il cardine assicurativo di mutua assistenza insita nel contratto di coesione, che è la legge dei grandi numeri, per cui più restringi l’universo di applicazione più aumenti il costo del rischio in capo a tutti.  È una banalità, ma è bene tenerla sempre a mente, quando si pretende di conciliare nella stessa unità di azione questioni di stabilità e di concorrenza.

Al momento in cui si procederà a classificare le singole bcc in gruppi di merito e di indipendenza gestionale, le due configurazioni metteranno probabilmente in evidenza diversità non secondarie, richiedendo la copertura dei rischi in misura nettamente differenziata.
D’altro canto, mentre la capogruppo Iccrea può contare su un patrimonio già accumulato di 1,7 mld, il gruppo Cassa Centrale dovrà raccogliere, nella dichiarata certezza di aggregare un centinaio di bcc, quasi un miliardo per concorrere paritariamente con il primo, raggiungendo 1,3/1,4 miliardi.

Con una redditività complessiva ridotta al minimo, come ha più volte sottolineato Banca d’Italia, non sarà facile trovare sul mercato la parte di patrimonio mancante. Conseguenza della separazione sarà, in ogni caso, che occorreranno circa 3 mld di patrimonio complessivo, quando sarebbero sufficienti quelli già in possesso di Iccrea, per le esigenze assicurative di tutte le 330 Bcc d’Italia.

Questo effetto di sistema andrebbe spiegato meglio anche da parte delle Autorità, dato che le risorse in ballo non sono certo irrilevanti e sarebbe più che opportuno evitarne la dispersione.

Altro tema riguarderà il destino dei numerosi organismi centrali di natura istituzionale, come i Fondi di garanzia, che forse dovranno essere anch’essi  divisi, riducendo ulteriormente la capacità autoassicurativa degli aderenti. Sembrerebbe infatti difficile ipotizzare che le BCC dei due gruppi in concorrenza tra di loro possano aderire ad uno stesso Fondo di garanzia, pena la presumibile conflittualità nella gestione delle singole situazioni. Potrebbe in futuro intervenirne la soppressione e il conferimento nel Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, previsto per le banche diverse da quelle di credito cooperativo, per prepararsi alla costituzione del Fondo di Garanzia Europeo. Ma non mi sembra che questo, al momento, sia un argomento di riflessione all’interno del movimento, anche se avremo nel frattempo un altro fattore di dispersione di risorse.

Il punto centrale sul quale debbo però tornare, rischiando l’accusa di ripetermi, è l’assenza di informazioni da entrambi gli schieramenti circa i rispettivi progetti industriali, che dovranno da un lato seguire percorsi di ridimensionamento delle attuali pletoriche configurazioni, dall’altro rilanciare il cooperativismo bancario con innovazioni di sostanza nel rapporto con le economie del territorio.
Nulla si conosce invece di strategie di ampliamento dei servizi e di nuove modalità di produzione e distribuzione dei prodotti, come pure degli investimenti richiesti dai progetti di automazione, come essenziale fattore di integrazione.

La mancanza finora di un’anima industriale della riforma (e quindi di differenziazione nelle strategie progettuali) fa venire il dubbio che il fallimento della soluzione unitaria sia finora dovuto a un’insanabile idiosincrasia tra i vertici dei due schieramenti, con resistenze in entrambi ad assecondare un benefico avvicendamento. È quindi da leggere come segnale positivo l’accoglimento in questi giorni delle dimissioni dalla ultraventennale permanenza in carica del Presidente di Federcasse, soprattutto se il processo da’ avvio alla separazione tra la componente associativa e quella bancaria del movimento, esigenza posta come premessa dalla Banca Centrale Europea al termine della sua prima ispezione sulla banca guida del sistema cooperativo per una conduzione legata a criteri di maggiore efficienza.

Siamo convinti che le strutture tecniche di entrambi i raggruppamenti – che sanno valutare bene gli effetti di una frammentazione come quella che si sta apparecchiando – comprendano, con preoccupazione, le opportunità alle quali si rinuncia, in nome di non dimostrati vantaggi scaturenti da una concorrenza interna, che non appartiene alla storia della cooperazione bancaria.

Non mi sembrerebbe quindi fuor di luogo un appello alla dirigenza del credito cooperativo e alle proprie conoscenze ed esperienze professionali, affinché prevalga una logica di competenza tecnica, dato che su questo terreno si giocherà la vera partita del rilancio delle Banche di Credito Cooperativo Italiane. Il lavoro da fare, che consisterà nel riscrivere gli algoritmi della governance e del business bancario cooperativo, sarà davvero rilevante e tanto più efficace quanto più ampia sarà la rete sulla quale si distribuiranno gli stimoli al rinnovamento.

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