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Armenia: sull’adesione all’UEEA incombe lo spettro russo

Come riportato da Intesa Sanpaolo, per finanziarsi il Paese deve contare su rimesse e finanziamenti di partner e organizzazioni internazionali, mentre si aggrava la vulnerabilità della valuta locale alla dinamiche regionali.

Armenia: sull’adesione all’UEEA incombe lo spettro russo

L’Armenia, con una superfice di poco meno di 30.000 km2 e 3 milioni di abitanti, è la più piccola e la meno popolata Repubblica ex-sovietica. Il sistema produttivo, basato su un settore manifatturiero specializzato in macchine utensili, elettronica, chimica e tessile e un’agricoltura intensiva, è entrato in profonda crisi con il crollo dell’ex colosso sovietico. Come molti mercati dell’Europa Centrale e Orientale, nei primi anni ’90 l’economia ha attraversato una fase di iperinflazione. Sotto la pressione di questi eventi, il Governo armeno ha avviato una serie di riforme economiche finalizzate a promuovere l’economia di mercato, sponsorizzate dal FMI e da altri organismi internazionali, in particolare Banca Mondiale ed EBRD. Il programma ha visto la privatizzazione delle principali industrie, la liberalizzazione dei mercati e l’approvazione di una legislazione che supporta gli investimenti diretti esteri. Questi provvedimenti hanno favorito la promozione di nuove iniziative produttive come la lavorazione dei metalli preziosi, lo sviluppo dei servizi, in particolare telecomunicazioni, e la trasformazione del settore agricolo verso produzioni orientate a consumo domestico e trasformazione alimentare.

A partire dal 1994, l’economia armena ha visto un lungo ciclo di crescita del PIL, spesso a due cifre (11,6% medio nel periodo 2004-08 contro il 7,4% medio dei Paesi CSI), durato ininterrottamente fino al 2009, quando la caduta del settore immobiliare e il calo delle rimesse dei lavoratori emigrati, soprattutto dalla Russia, hanno determinato un’ampia contrazione (-14,2%). La fase recessiva è stata breve e già nel 2010 il PIL è tornato a crescere e nel quinquennio 2010-14 l’Armenia ha registrato un tasso di crescita medio del 4,2%, contro una media CIS del 3,2%. Ma nonostante i progressi, l’economia resta debole e vulnerabile a shock esterni.

Come riportato da Intesa Sanpaolo, il deficit commerciale e quello corrente sono ampi, il debito pubblico ed estero in rapporto al PIL sono consistenti e l’economia presenta un elevato grado di dollarizzazione (60% dei depositi e dei crediti secondo stime del FMI). Per finanziarsi l’Armenia deve contare sulle rimesse, sugli aiuti della diaspora e sui finanziamenti di Paesi amici e delle organizzazioni internazionali, mentre il flusso di investimenti produttivi dall’estero è modesto. La crescita dell’economia, seppur sostenuta in passato, non è stata sufficiente a frenare il fenomeno migratorio e a ridurre in misura significativa la povertà. Il peso delle rimesse si avvicina al 20% del PIL (di cui il 90% viene da lavoratori impiegati in Russia). La valuta e l’economia sono così fortemente influenzate dalle dinamiche regionali, anche in virtù dell’adesione all’Unione Economica Euroasiatica (UEEA).

Nel 2014 la crescita del PIL è stata pari al 3,4%, in lieve frenata rispetto al 3,5% dell’anno precedente. Dal lato della domanda, la modesta crescita dei consumi delle famiglie (+0,1%), che hanno risentito del calo delle rimesse dei lavoratori impiegati all’estero (scese del 15%), e il nuovo calo degli investimenti (-2,5%), che continuano a essere penalizzati dalla debolezza delle costruzioni, sono stati bilanciati dalla buona dinamica delle esportazioni (+23,1%). Per quanto riguarda l’offerta, a fronte della diminuzione delle costruzioni (-4,7%) e del minerario (-5,5%), si evidenzia la crescita ancora sostenuta della produzione agricola (+5,9%), manifatturiera (+6,6%) e di alcuni servizi, in particolare trasporti, comunicazione e accoglienza.

La negativa congiuntura economica russa, con cui l’Armenia ha importanti relazioni (90% delle rimesse, un quarto delle esportazioni, IDE da Gazprom, Russian Railways, UES, Rosneft, RusHydro, operatori telefonici russi), ha portato negli ultimi mesi a una sostanziale revisione al ribasso delle stime di crescita per l’Armenia. Il Governo, prevedendo un calo delle rimesse compreso a circa il 10% del PIL (-4%), stima per quest’anno una crescita del PIL compresa tra lo 0% e il 2%, mentre il più recente Rapporto EBRD sui Paesi in transizione prevede una dinamica del PIL in stagnazione.

Il tasso tendenziale d’inflazione a dicembre 2014 era pari al 4,6%, laddove gli analisti prevedono il tasso medio d’inflazione accelerare al 6,4% nel corso di quest’anno. Nella prima metà del 2014 la Banca Centrale ha continuato l’azione distensiva iniziata nei mesi finali del 2013, portando il tasso di policy dal 7,75% al 6,75% a settembre 2014, e abbassando il coefficiente di riserva. Successivamente, a fronte dell’accelerazione dell’inflazione e delle pressioni sul cambio determinate dalla caduta del rublo, la Banca Centrale ha avviato una nuova fase restrittiva di politica monetaria che è proseguita nella prima metà del 2015. Il tasso di riferimento è salito rapidamente all’attuale 10,5%. La moneta dell’Armenia, il Dram, segue un regime di libera fluttuazione, laddove la Banca Centrale opera interventi occasionali per contenere la volatilità dei movimenti. L’ampio squilibrio di parte corrente e la conseguente dipendenza dai flussi di fondi dall’estero implicano un’elevata vulnerabilità della moneta armena alla dinamica delle valute regionali, su tutte il rublo.

Infatti, nelle settimane finali del 2014 la valuta è stata oggetto di forti pressioni ribassiste che l’hanno portata a perdere quasi il 20% del proprio valore verso il dollaro (da 400 a settembre 2014 a 480 Dram : 1 USD nelle prime settimane del 2015). Successivamente la valuta è rimasta stabile verso il dollaro, beneficiando del recupero della moneta russa. Le difficoltà di esecuzione di importanti progetti di investimento, in gran parte finanziati con aiuti e prestiti internazionali, in particolare l’autostrada che collega il Nord e il Sud del Paese e il miglioramento delle viabilità nelle zone di confine, hanno permesso allo Stato di mantenere nel 2014 il deficit di bilancio, pari all’1,5% del PIL e al di sotto del 2,3% obiettivo concordato con il FMI. Alla luce di questi risultati e della sostanziale frenata dell’economia, le Autorità hanno concordato con il FMI un deficit di bilancio del 2,3% per non penalizzare ulteriormente gli investimenti pubblici. In questo contesto, il rapporto deficit/PIL dell’1,8% che dovrebbe aprire la fase di discesa del rapporto debito/PIL (pari al 43,2% nel 2014), sarà ora raggiunto non più l’anno prossimo ma nel 2017.

L’Armenia registra un ampio deficit corrente (mediamente pari al 10,3% del PIL negli ultimi cinque anni) determinato dalla parte commerciale (in media 20,5% del PIL), mentre il conto trasferimenti beneficia di consistenti rimesse da parte dei lavoratori emigrati (mediamente 19,8% del PIL tra il 2010 e il 2014). Il conto finanziario riporta un surplus, grazie a IDE (mediamente 4,7% del PIL negli ultimi cinque anni), prestiti multilaterali e di organismi internazionali. Nel marzo 2014 il FMI ha concesso all’Armenia un prestito a 38 mesi di ammontare pari a 127,6 milioni di dollari, mentre il Paese ha emesso un Eurobond in dollari e un nuovo prestito per 500 milioni è stato lanciato a marzo 2015.

Ma nel 2014 il surplus finanziario si è quasi azzerato a seguito di disinvestimenti netti di portafoglio e riduzione dei debiti in valuta da parte del settore privato come conseguenza delle pressioni sul cambio. Lo scorso anno la bilancia dei pagamenti ha registrato un deficit di 0,66 mld e le riserve in valuta sono scese a 1,48 mld da 2,24 mld a fine 2013. Questo dato si confronta con un fabbisogno finanziario estero stimato da EIU pari a 2,9 mld (reserve cover ratio 0,51). La posizione finanziaria netta risulta fortemente passiva (69,1% del PIL nel 2014) e il debito estero in rapporto al PIL è consistente (76,5% nel 2014) ed è atteso crescere in misura significativa nel 2015 a causa del deprezzamento del cambio. Questo scenario ha portato a inizio anno le Agenzie a tagliare il rating del debito sovrano del Paese, ora B+ (da BB-) per Fitch e Ba3 (da Ba2) per Moody’s.

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