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Arabia: rallenta la crescita (+1,2%) ma non la resistenza a cambiare

Nonostante i tentativi di diversificazione, alla crescita della parte idrocarburi (+4%) nel 2015 non c’è stata un’adeguata risposta dal resto dell’economia (+3,1%): il Piano Vision 2030 per ora non basta a rilanciare domanda e credito al settore privato.

Arabia: rallenta la crescita (+1,2%) ma non la resistenza a cambiare
Con un PIL nominale pari a 653 miliardi di dollari nel 2015 e un peso pari all’1,5% del PIL mondiale, come segnala il Centro Studi Intesa Sanpaolo, l’Arabia Saudita è l’economia più grande del gruppo del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Come gli altri partner della regione, negli ultimi anni ha cercato di perseguire una politica di relativa diversificazione della struttura dell’economia, tesa a ridurre la dipendenza dal settore energetico. Lo sviluppo in questa direzione ha riguardato in primis i servizi di trasporto e comunicazione, seguiti da manifatturiero, servizi di pubblica utilità, di vendita, alberghieri e finanziari.

Ciononostante, l’economia continua a dipendere fortemente dal settore idrocarburi, che ha contribuito al 43,4% del PIL nel 2015 e, nel quinquennio 2010-2014, mediamente all’86% delle esportazioni e al 92% delle entrate fiscali (percentuali ridottesi rispettivamente al 77% e 73% nel 2015 a seguito del calo delle quotazioni degli idrocarburi). Le principali industrie manifatturiere del Paese, nello specifico la petrolchimica e la lavorazione dei metalli, sono a elevato utilizzo di energia, e la quasi totalità dell’energia elettrica è generata da centrali termiche.

Lo scorso anno la quota di consumo di petrolio locale è stata pari al 3,9% di quella mondiale, vale a dire molto superiore al peso del PIL. Nel 2015 le riserve conosciute di petrolio ammontavano a 267 miliardi di barili, seconde solo a quelle del Venezuela, quelle di gas a 8.300 miliardi di metri cubi, le terze a livello mondiale dopo Iran e Russia. Tra i mercati petroliferi del Golfo, l’Arabia Saudita è nelle posizioni di coda nella classifica Doing Business della Banca Mondiale, mentre è al secondo posto nella valutazione del World Economic Forum sulle condizioni di competitività, anche se il punteggio riguardo l’istruzione e l’efficienza dei mercati, in particolare quello del lavoro, è relativamente basso. Nonostante ciò, secondo le Nazioni Unite, l’Arabia Saudita registra un grado di sviluppo umano molto alto, paragonabile a quello delle economie avanzate.

 
Nel 2015 il PIL è aumentato del 3,5% in termini reali, rispetto al 3,6% nel 2014 e a una crescita media del 5% nel quinquennio 2011-2015. Lo scorso anno la dinamica della parte idrocarburi ha accelerato al 4%, dal 2,1% nel 2014, mentre il resto dell’economia ha registrato un passo più contenuto (+3,1% da +4,9%). Questa frenata è stata principalmente dovuta al manifatturiero, che comunque è cresciuto (+5,8% grazie principalmente alla raffinazione) più del resto dell’economia, e dai servizi di vendita e di trasporto.
 
Tuttavia, alla crescita in termini reali della parte idrocarburi non ha corrisposto una crescita anche in termini finanziari, tanto che l’impatto negativo sull’economia della diminuzione delle entrate da idrocarburi è previsto manifestarsi in misura molto più ampia quest’anno. Allo stesso tempo, i tagli della spesa pubblica, che riguardano soprattutto opere pubbliche non prioritarie, e gli aumenti dei prezzi dei carburanti e delle tariffe dei servizi di pubblica utilità hanno come conseguenza quella di frenare la domanda. E la domanda di fondi da parte dello Stato per coprire il proprio disavanzo ha un effetto di spiazzamento sul credito al settore privato. L’indice della fiducia del settore privato non-oil, pur in espansione (pari a 54,8 a maggio 2016), ha toccato nei primi mesi del 2016 il livello minimo.

Il minor ottimismo sulle prospettive dell’economia sta frenando vendite, occupazione e spese di investimento nella parte non-idrocarburi dell’economia, prevista in ulteriore crescita in termini reali quest’anno, anche se ad un passo pari a meno della metà di quello registrato nel 2015 (1,8% contro 4%, considerando che l’estrazione si sta avvicinando alla capacità massima). Gli analisti prevedono una crescita del PIL dell’1,2% per quest’anno (+1,8% la parte idrocarburi, +1% il resto dell’economia) e dell’1,9% nel 2017 (+1,5% gli idrocarburi, +2,1% il resto).

 
L’inflazione è rimasta contenuta per tutto il 2015, con il tasso tendenziale che ha chiuso lo scorso anno al 2,3%, dal 2,4% del dicembre 2014. Gli incrementi dei prezzi dei carburanti, laddove i costi di trasporto pesano il 10,4% nell’indice, delle tariffe dei servizi di pubblica utilità (i costi per le abitazioni pesano il 20,5%) e delle tasse sui tabacchi hanno portato il tasso tendenziale al 4,2% lo scorso aprile. Gli effetti di questi aumenti sull’indice sono attesi rientrare lentamente nei mesi finali del 2016, con il tendenziale previsto sotto il 4%, e in misura più decisa nel 2017, con il tendenziale visto attorno all’1% alla fine del prossimo anno.
 
Lo scorso anno l’Arabia Saudita ha registrato il primo deficit corrente (53,5 miliardi di dollari, pari a 8,1% del PIL) dal 1998. Nel 2015 il surplus commerciale si è ridotto a 47,3 mld da 184 mld nel 2014 a seguito del crollo delle esportazioni determinato dalla diminuzione del 46% del prezzo medio del petrolio. Le importazioni sono tuttavia scese solo leggermente. Il surplus del conto redditi, determinato dai proventi dalle attività all’estero, è sceso da 16,5 mld a 15,7 mld, mentre il deficit del conto trasferimenti (principalmente rimesse dei lavoratori immigrati) è salito a 40,7 mld. Proiettando le attuali quotazioni del petrolio per il resto del 2016, il prezzo medio per l’intero anno registrerebbe un calo di poco più del 12% rispetto al 2015, in parte compensato dalle maggiori quantità esportate. I proventi dalle esportazioni sono pertanto previsti in ulteriore calo, seppur più contenuto che nel 2015. D’altra parte, la frenata della domanda interna determinerà una più ampia frenata delle importazioni. Eco allora che nel 2016 il deficit corrente è previsto attorno ai 55 mld (8,3% del PIL). Nel 2015 il deficit del conto finanziario, in gran parte determinato dagli investimenti all’estero di residenti, è sceso da 57,4 mld a 42 mld. A fine aprile 2016 le attività in valuta sono scese ulteriormente, a 515 mld: nello stesso mese il Governo ha ottenuto da un consorzio di banche un prestito in valuta pari a 10 mld e sta ora considerando una emissione di titoli in valuta, con lo scopo di contenere il drenaggio di riserve valutarie. A fine 2015 l’Arabia Saudita aveva una posizione finanziaria netta attiva pari a 703,5 mld; alle attività in valuta si aggiungono tra le disponibilità 63 mld di riserve valutarie e oro.
 
Nell’ultimo anno, il debito sovrano in valuta dell’Arabia Saudita è stato oggetto di tagli di rating da parte delle principali agenzie, pur restando un investimento non speculativo. Lo scorso ottobre l’agenzia di rating S&P ha portato la sua valutazione da AA- ad A+, Fitch da AA ad AA nell’aprile di quest’anno, Moody’s da Aa3 ad A1 nel maggio 2016. Il giudizio meno positivo delle agenzie riflette il peggioramento della posizione fiscale e di quella esterna e le incerte prospettive di crescita. Le agenzie, pur riconoscendo la validità del Piano “Vision 2030” finalizzato a ridurre la dipendenza dal petrolio e a creare occupazione, sottolineano la genericità dello stesso, i rischi per la stabilità sociale delle riforme, soprattutto quelle finalizzate a ridurre i sussidi e ad ampliare la base imponibile, e le probabili resistenze politiche al cambiamento di una società e di una dinastia che è storicamente molto tradizionalista. Nonostante questi sviluppi e l’atteso ulteriore calo delle disponibilità accantonate nei Fondi Sovrani per finanziare il deficit pubblico previsto a due cifre nel prossimo biennio, la posizione finanziaria del Paese viene tuttavia giudicata solida e l’interesse per emissioni in valuta e per eventuale privatizzazioni sarà probabilmente elevato.

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