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Addio a Franco Cassano, il teorico del “Pensiero meridiano”

Bari, la Puglia e il Mezzogiorno sono rimasti orfani di un meridionalista eretico, acuto e tormentato che con la sua opera più celebre “Pensiero meridiano” rivoluzionò il modo di pensare il Mezzogiorno – Faceva parte della famosa “école barisienne” di Beppe Vacca e Biagio De Giovanni

Addio a Franco Cassano, il teorico del “Pensiero meridiano”

È morto Franco Cassano, che dell’idea di un Sud autorevole perché diverso dal resto del Paese aveva fatto il cuore della sua riflessione politica, sociologica e filosofica. “Pensiero meridiano”, il suo libro più famoso,  pubblicato esattamente venticinque anni fa, nel gennaio del 1996, era stato un terremoto per gli “specialisti” del Sud, accolto o con ovazioni sperticate o con critiche feroci. Come accade spesso quando chi scrive è fuori dal coro perché è curioso di indole, aperto di cuore e di mente.

Cassano era andato diritto nel cuore del problema: perché non accettiamo il Sud così come è, e da qui partiamo per la sua rinascita? Nel senso di considerare le sue debolezze, le sue lentezze, i suoi costumi oggetto di rispetto tanto da farne la prima pietra per ricostruire l’intero edificio. E per questo approccio era stato anche avvicinato al teorico della “decrescita felice”, Serge Latouche, autorevole nel suo campo, ma quanto di più lontano dal “pensiero meridiano”. 

Cassano non intendeva né costruire un mito dei bei tempi passati, né invitare a lasciare il Mezzogiorno nel suo sviluppo a metà. Sosteneva  invece – e quanto profetico è stato a ragionare con il senno del poi – che un solo modello di sviluppo, valido a tutte le latitudini, non poteva andare bene in Italia e nemmeno nel mondo, soprattutto dopo che le frontiere del dopoguerra erano state spazzate via nel 1991. Bisognava con pazienza riannodare i nodi di ciascuna tela perché solo così si poteva raggiungere un disegno senza buchi e senza toppe.  E oggi che è sotto gli occhi di tutti il fallimento di un certo modello di sviluppo, e che è venuto fuori il «lato oscuro e aggressivo» del nostro «fondamentalismo, quello dell’economia», varrebbe la pena di tornare a rileggerlo il  suo “Pensiero meridiano”.    

Cassano era un comunista, il più giovane della cosiddetta “école barisienne”, quella corrente di pensiero (ma guai a definirla tale) di cui alcuni intellettuali del Pci si trovarono a far parte forse loro malgrado, si direbbe oggi. Stiamo parlando della metà degli anni Settanta, prima che l’omicidio Moro (1978) travolgesse per anni ogni pensiero e ogni politica.  Ne facevano parte fra gli altri Beppe Vacca, Franco De Felice, Biagio De Giovanni, Vito Amoruso, Peppino Cotturri, Alfredo Reichlin, Arcangelo Leone de Castris, Franco Botta. E c’erano anche non baresi: a Milano Rusconi, in Sicilia Barcellona, a Venezia Cacciari. Discutevano su come avrebbe dovuto fare il Pci per realizzare in Italia un modello di socialismo diverso da quello realizzato nei Paesi socialisti. Una riflessione che veniva da lontano, già cuore del pensiero e della politica di Togliatti, e che più tardi avrebbe portato Berlinguer a parlare del valore universale della democrazia. Per quei giovani e meno giovani intellettuali e politici (nel Pci non era separato il ruolo degli uni e degli altri) era già il succo della via italiana. 

Di quel periodo Cassano parlava raramente, era un uomo del presente, uno di quelli che guardano a quello che scorre nella società in maniera permanente perché è solo quello che conta se si vuole contribuire a rendere migliore il luogo in cui ci è toccato di vivere. Ecco perché per esempio aveva accettato di buon grado l’invito di Peppino Caldarola, direttore de l’Unità per la seconda volta nel 1999, di tenere una rubrica settimanale che desse ai lettori il succo di quello che aveva colpito l’autore nei sette giorni precedenti. 

Chi scrive aveva avuto il compito di essere la sua interfaccia nell’ufficio redattori capo del quotidiano. Per un anno, alla vigilia della pubblicazione della rubrica, era stato necessario ritirarsi nella “bolla Cassano”, così come in redazione era stata definita: per ascoltare, suggerire, confortare quello studioso che aveva mille domande e una o due risposte. La politica era sempre al centro delle sue riflessioni, ma con la veste migliore, quella con la P maiuscola, come si dice quando essa vuol rappresentare  l’arte di comprendere  ciò che gli umani cercano per essere felici per metterlo in pratica. 

Vivevamo come Paese uno dei nostri periodi “torbidi”: il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema (dal 21 ottobre del 1998 e dopo un rimpasto dal dicembre del 1999 alla primavera del 2000) stava per lasciare il timone a Giuliano Amato per l’ultimo anno del quinquennio aperto dalla prima vittoria di Prodi. Poi ci sarebbe stato il ciclone Berlusconi (2001/2006). Gli eredi del Pci si chiamavano ora Ds e non solo governavano, ma addirittura guidavano il governo. Era sparito il peccato originale, o il fattore K come lo aveva battezzato il giornalista Alberto Ronchey: quella regola mai scritta secondo la quale il Pci non sarebbe mai dovuto entrare nella stanza dei bottoni poiché aveva scelto di stare con il “nemico”, l’altra parte del mondo, Mosca. Caduto il Muro di Berlino era caduta anche la teoria. Ma sotto quelle macerie erano rimaste anche altre pietre: chi erano i comunisti ora? Come si dovevano comportare? E il partito? Che cosa doveva essere? Un dibattito che aveva spaccato i militanti prima, durante e dopo la nascita dei Ds (E prima ancora Pds). Ed era stato talmente coinvolgente e  sconvolgente che per lungo tempo chi era stato nel Pci si trovò a stare nella “Cosa”, e non una, ma addirittura due, “Cosa 1” e “Cosa 2”.  

Cassano cercava le risposte a quelle domande e alla fine le trovò come sempre nella realtà.  E di nuovo a Bari, come all’epoca dell’école barisienne.  Per prima la città aveva visto da vicino le frontiere del vecchio mondo  crollare con l’arrivo degli albanesi della Vlora, 20 mila giovani affamati per i quali la Puglia era “Lamerica”, come il bellissimo titolo del bellissimo  film sull’esodo di Gianni Amelio. La filosofia di Cassano si fece pratica con la nascita di un’associazione culturale dal nome molto “cassaniano”, “Città plurale”. Non è un’esagerazione considerare quella esperienza la spinta più poderosa alla successiva primavera pugliese. Vi facevano parte gli intellettuali riconosciuti dalla città, professionisti, giornalisti: Laterza, Botta, Comei, Viesti, Iarussi, Laforgia, Capano, Vigilante, per fare solo alcuni nomi. E Cassano ne era il presidente. Perché, come diceva,  «se le idee non procedono di pari passo con le decisioni e i fatti, corrono il rischio di apparire una suggestiva utopia, oppure una compensazione retorica».

Michele Emiliano, Nichi Vendola troveranno il terreno arato e fertilizzato dal lavoro dell’associazione. Alcuni dei membri  (Viesti, Capone) diventarono anche assessori dei nuovi governi. 

E Cassano? Una volta nati i governi “illuminati”, lasciò “Città plurale” per riprendere il lavoro di studioso. Camus, Pasolini, e l’adorato Leopardi. Nel 2013 però fu richiamato in servizio da Pierluigi Bersani: gli fu offerta la candidatura in Parlamento per rappresentare  il Pd, come si chiamava ora l’erede del suo partito che nel frattempo era nato dopo la fusione con quello che rimaneva della sinistra Dc. Accettò e se ne pentì: si sentiva a disagio in Parlamento, cercava di essere utile, ma gli sembrava di non esserlo per niente. Malessere acuito quando rientrava a Bari per  l’opposizione della parte più radicale dei suoi “seguaci” che avevano considerato la scelta opportunistica e sbagliata. 

Ne soffrì molto, e la cosa più triste di tutte è che quando ne parlava finiva per dare ragione ai critici: non avrebbe dovuto accettare l’invito di Bersani, fare il deputato era stato un errore. Nemmeno una volta la “bolla Cassano”, sempre attiva nonostante non esistesse più né la rubrica e nemmeno l’Unità, aveva funzionato per quelle conversazioni: la sua interfaccia, piena di rispetto e di senso dello Stato, trovava semplicemente un orrore un pensiero del genere. Non si è mai trovato il punto di accordo, la rubrica non ha mai trovato il suo titolo. Ed è pure finito il tempo delle conversazioni.  

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