Condividi

ACCADDE OGGI – Fiat, 50 anni fa lo storico accordo sindacale “5.8.71”

Dopo 5 mesi di trattative, il 5 agosto del 1971 la Fiat e i sindacati metalmeccanici firmarono un accordo che avrebbe regolamentato il lavoro e le relazioni industriali dei successivi 40 anni e che fu poi seguito dalla rivoluzione di Marchionne

ACCADDE OGGI – Fiat, 50 anni fa lo storico  accordo sindacale “5.8.71”

Dopo 5 mesi di trattativa sindacale, accompagnata da oltre 2 milioni di ore di sciopero, giovedì 5 agosto 1971 la Fiat sottoscriveva con i sindacati nazionali FIM-FIOM-UILM (la futura potente FLM) un accordo che avrebbe regolamentato il lavoro e le relazioni sindacali in fabbrica per i successivi 40 anni. Di fatto una ipotesi di intesa era già stata raggiunta all inizio di luglio, ma l’azienda aveva subordinato la sottoscrizione dell’ accordo alla capitolazione degli irriducibili dello stabilimento di Rivalta Torinese, capeggiati da un giovane sindacalista della FIM-Cisl, Tom Dealessandri, quando già da alcune settimane erano cessati gli scioperi negli altri stabilimenti, Mirafiori e Lingotto compresi. Rivalta “la Rossa” era a quel tempo lo stabilimento automobilistico più recente della Fiat.

Entrato in funzione nel 1968, nel giro di due anni aveva raggiunto i 18.000 operai, la maggior parte giovani immigrati del sud che operavano sulle catene di montaggio e che riversavano in fabbrica tutto il proprio disagio sociale nel passaggio da una cultura contadina ad una cultura industriale non ancora assimilata, acuito dalle odiose discriminazioni circolanti in città (basta ricordare i cartelli “ non si affitta ai meridionali“). Rivalta continuó a scioperare e si dovette attendere la chiusura degli stabilimenti per ferie collettive per poter procedere, a fabbriche ferme, alla firma dell’ accordo, conosciuto come il “ 5.8.71 “ dai dirigenti aziendali e sindacali che hanno operato in fabbrica nei decenni successivi.

Ai tavoli della contrattazione aziendale Fiat nel corso degli anni si sono succeduti sindacalisti come Cesare Damiano, Raffaele Morese, Susanna Camusso, Luigi Angeletti, Pier Paolo Baretta, per citarne solo alcuni e top manager delle relazioni industriali come Cesare Annibaldi e Carlo Callieri, ma in nessun caso, indipendentemente dall’oscillazione del pendolo dei rapporti di forza tra azienda e sindacato, furono messi in discussione i diritti sindacali da parte aziendale, o le modalità di effettuazione della prestazione lavorativa da parte sindacale, così come definiti dal “5.8.71”. L’autunno caldo del 1969 per il rinnovo del CCNL metalmeccanici, con oltre 15 milioni di ore di sciopero in Fiat, aveva introdotto negli stabilimenti, oltre a diverse modalità conflittuali come gli scioperi a “wild cats” (dalla pratica inglese ad indicare scioperi improvvisi di gruppi di lavoratori ma in grado di bloccare tutto il flusso produttivo a monte e a valle), i cortei interni o il cosidetto “salto della scocca” (omettere cioè alcune operazioni nella fase di montaggio della vettura) anche nuove forme spontanee di rappresentanza operaia come il delegato sindacale e i comitati unitari di base, delegittimando completamente la rappresentatività delle Commissioni Interne.

Dopo l’ entrata in vigore della legge 20.5.1970, lo Statuto dei Lavoratori, la Fiat maturó la convinzione che, per prevenire o contenere il conflitto sociale nei propri stabilimenti, fosse necessario tracciare i confini e prestabilire i temi per il confronto sindacale di fabbrica. Per fare ciò, bisognava legittimare il ruolo del sindacato riconoscendolo come principale, se non unico, interlocutore all’ interno dell’ azienda. Con il”5.8.71” veniva quindi stabilito con quali strutture ( Comitati ) e modalità ( monte ore ) i sindacati acquisivano l’agibilità in fabbrica. Il numero dei rappresentanti sindacali aziendali, previsti dallo Statuto dei Lavoratori, veniva raddoppiato con la nuova figura dell’ “esperto sindacale”, di modo che in ogni squadra, composta mediamente da 150 operai, fosse presente un “delegato sindacale” (rsa o esperto) per la gestione quotidiana delle problematiche lavorative con la gerarchia di officina.

Fu stabilito un monte ore annuo di permessi sindacali retribuiti, di gran lunga superiore a quanto stabilito da legge e contratto, per poter svolgere l’ attività sindacale nei Comitati e nei reparti di lavorazione o negli uffici. Furono istituiti tre Comitati a livello di stabilimento di informazione e contrattazione sui temi essenziali forieri di conflittualità in una fabbrica organizzata sul modello tayloristico : cottimi, qualifiche e ambiente. I Comitati erano composti da rappresentanti della direzione aziendale e da rappresentanti sindacali o da esperti sindacali, in misura paritetica tra FIM, FIOM e UILM. Il Comitato Cottimi aveva il compito di verificare i cosiddetti “carichi di lavoro”, vale a dire la quantità di operazioni che si dovevano svolgere in una unità di tempo, generalmente non più di 3 o 4 minuti, sempre le stesse e per tutto l’ arco del turno di lavoro.

La contestazione dei carichi di lavoro è stata la principale causa nel corso degli anni della micro conflittualità di stabilimento. Il Comitato Qualifiche aveva il compito di gestire i passaggi di categoria previsti dal CCLN e dagli accordi aziendali, mentre il Comitato Ambiente doveva verificare l’ attuazione degli investimenti aziendali per il risanamento ambientale. Nel disegno dell’ azienda tale sistema (confermato dalle successive Commissioni di partecipazione istituite con l’ accordo aziendale del 1996 proprio in sostituzione dei comitati stessi) voleva essere una nitida regolamentazione dei rapporti con il sindacato, mentre per il sindacato rappresentava la sua legittimazione e la costruzione delle sue strutture all’ interno dell’azienda stessa.

Ma l’ accordo “5.8.71” è stato anche l’archetipo di una organizzazione del lavoro di tipo tayloristico, in quanto definiva in maniera rigorosa i tempi delle operazioni che l’ operaio doveva compiere secondo una metrica del lavoro prevista dal sistema internazionale TMC (Tempi e Metodi Collegati). Le fasi di lavoro, calcolate in centesimi di minuto, venivano accorpate e regolate dalla cadenza della linea di montaggio,cioè dal tempo in cui l’ operaio doveva compiere le stesse operazioni mentre la catena di montaggio si spostava da una stazione a quella successiva. L’ accordo introduceva dei limiti alla possibilità di saturare al 100% l’ attività dell’operaio nell’ arco dell’unità di tempo: piu la cadenza era breve più bassa era la saturazione dell’ attività dell’ operaio (cioè la quantità di operazioni che gli venivano assegnate).

Ad una cadenza della linea di un minuto corrispondeva una saturazione massima dell’ 84%, a 2 minuti dell’ 86%, a 3 minuti dell’ 87%. Alla prestazione lavorativa era collegato il sistema premiale, che passava dal cottimo individuale ad un incentivo di rendimento collettivo. Veniva cioè garantita ai lavoratori di tutti gli stabilimenti, sia del nord che del sud del Paese, la parità della retribuzione a parità della prestazione quantitativa, superando le differenze consolidatesi nel tempo tra le diverse realtà produttive. L’ accordo, pur se sostituiva la rilevazione dei tempi di lavoro effettuata dagli analisti cronometristi, e quindi soggetta alla discrezionalità dell’ errore umano, con un sistema scientifico basato su tempi standard, manteneva peró una organizzazione del lavoro tayloristica in cui era netta la separazione tra le attività semplici e ripetitive e le altre attività complesse, di competenza della linea gerarchica.

Con l’arrivo di Sergio Marchionne anche in fabbrica si procede ad una vera e propria rivoluzione: vengono smantellate le tradizionali strutture gerarchiche e le complessità organizzative, per definizione improduttive e dannose, sostituendole con una organizzazione che distribuisce il potere decisionale in modo orizzontale a tutti i collaboratori (operai, tecnici, quadri) che sono i più adatti ad esercitarli ai vari livelli. Se con l’ accordo “5.8.71” il sistema produttivo é ancora declinato dal sistema tecnico, riducendo l’ apporto del lavoro operaio, pur se maggiormente regolamentato, a mero fattore indistinto di produzione, sarà solo con l’ accordo di Pomigliano del 2010, sottoscritto per parte aziendale da Paolo Rebaudengo e da chi scrive e per parte sindacale da Bruno Vitali, Giovanni Sgambati e Roberto Di Maulo, che l’organizzazione del lavoro tayloristica sarà sostituita dal World Class Manufacturing (WCM), la nuova organizzazione di fabbrica che vedrà per ciascun posto di lavoro la sincronia ergonomica fra l’ uomo e i processi tecnologici tramite il nuovo sistema Ergo-UAS, che coniuga la metrica del lavoro all’ ergonomia.

Grazie alla visione della fabbrica di Sergio Marchionne, oggi quando si guarda il posto di lavoro di un operaio, si vede trasparire il rispetto dell’ ambiente, la sicurezza delle persone e delle cose, un metodo di lavoro ben organizzato, l’utilizzo di macchinari a tecnologia avanzata che abbattono la fatica del lavoratore, e soprattutto il coinvolgimento del personale operante. E sarà comunque interessante verificare il modello di fabbrica di Carlos Tavares, il ceo di Stellantis, la recente società nata dalla fusione di Fca con Peugeot, attese le sue prime osservazioni efficientistiche sugli stabilimenti italiani : forse un modello più da ragioniere che da innovatore visionario.

Commenta