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Quando gli uomini della Fiat arrivarono a Togliatti in Russia

La costruzione negli anni ’60 del VAZ, lo stabilimento automobilistico della Fiat sulle rive del Volga in Uniove Sovietica, fu un’impresa titanica tra difficoltà tecniche e umane inimmaginabili – Ma l’internazionalizzazione della Fiat cominciò così

Quando gli uomini della Fiat arrivarono a Togliatti in Russia

Per comprendere appieno la dimensione “epica” della costruzione del VAZ, VoljsKij Automobilnyj Zavod, lo stabilimento automobilistico costruito dalla Fiat a Togliatti in Unione Sovietica, è anzitutto necessario collocarla correttamente nello spazio e nel tempo che le furono propri. Leggi la prima parte del servizio.

Lo spazio: la città di Togliatti (la ex Stavropol, che nel 1964 prese il nuovo nome di Togliatti, mantenuto anche dopo la caduta del regime sovietico) sorge sulle rive del Volga ai margini della steppa russa. Il clima che la caratterizza è tipicamente continentale: lunghissimi inverni con abbondanti nevicate e temperature spesso vicine ai 40 gradi sotto zero e brevi e piovose estati, il cui segno distintivo e più tipico è la presenza di veri e propri laghi di fango.

Il tempo: l’ Unione Sovietica degli anni ’60 con la sua estrema povertà, i suoi servizi rudimentali, primi fra tutti comunicazioni e alloggi, la diffidenza ufficiale verso lo straniero elevata a sistema.

La dimensione temporale e quella geografico-climatica si sommavano all’epoca con gli immensi problemi della realtà urbana di Togliatti in impetuosa espansione legata alla decisione sovietica di allocarvi un grande bacino produttivo, sfruttando le risorse idroelettriche della zona.

Come risultato delle politiche di incentivazione al trasferimento in loco, attuate dal governo, la città crebbe dai sessantamila abitanti del ’60 agli oltre trecentocinquantamila del’ 71.

Questa crescita, considerata congiuntamente alla penuria di abitazioni che da sempre affliggeva l’ URSS, può spiegare, almeno in parte, le enormi difficoltà incontrate dalle allora autorità locali per alloggiare il personale italiano (residence ed hotel erano concetti semi, se non del tutto, sconosciuti).

A questi fattori va naturalmente aggiunto quello culturale : la distanza, in primo luogo linguistica, che separava il personale Fiat (abituato nella maggioranza dei casi a parlare in fabbrica ancora piemontese) dalle maestranze e dai tecnici sovietici con cui era chiamato a collaborare e convivere. A questo primo aspetto se ne aggiungevano altri non meno rilevanti: il differenziale di approccio ai problemi tra gli ingegneri delle due parti, gli uni estremamente pragmatici, gli altri spesso condizionati dall’ ideologia; e non bisogna dimenticare le radici provinciali negli anni sessanta di tecnici e operai Fiat, seppur qualificati, chiamati a staccarsi bruscamente dalle uniche zone di vita fino allora conosciute (le rive del Po, le colline astigiane, le Langhe o al massimo Genova come nella canzone di Paolo Conte).

In questo quadro appare nella sua interezza lo sforzo compiuto da Fiat per garantire al proprio personale espatriato, complessivamente circa 1500 lavoratori nel periodo, un alloggio decoroso, un vitto almeno in parte familiare, un vestiario adeguato e dei servizi medici e sociali rispondenti, sempre parzialmente, a quello standard di vita cui il boom degli anni ’60 aveva cominciato ad abituare l’ italiano medio.

L’ impresa fu veramente titanica dal punto di vista logistico per portare o ricreare a Togliatti, cioè a migliaia di chilometri da Torino, tutto ciò che occorreva per garantire una vita decorosa e tale da far sopportare il lungo inverno russo e la sensazione di isolamento che presto cadde sui lavoratori italiani.

La Fiat procurò dunque cuochi e ogni tanto cibi italiani, in quanto contingentati dalle autorità sovietiche, si preoccupò tra mille difficoltà di mantenere i contatti tra famiglie divise, organizzò le attività ricreative più disparate, organizzando tra l’ altro spettacoli e concerti con le maggiori compagnie teatrali e cantanti italiani : il tutto per far gravare il meno possibile l’ attesa del rientro.

L’epopea di Togliatti non significò comunque una specie di esodo a senso unico : infatti fu quasi pari il numero dei russi che, per le motivazioni professionali più svariate, ebbero modo di passare anche lunghi periodi a Torino. Quando la presenza di tecnici in addestramento e di delegazioni ad alto livello si infittì, questa piccola comunità venne alloggiata nel quartiere di Santa Rita di Torino: si parlò addirittura di una piccola Mosca.

Per alcuni anni i russi divennero una presenza costante nel quartiere, soprattutto nella piazza dove non solo sorge il santuario dedicato alla santa ma anche un noto girarrosto dove i russi, tutti i tardi pomeriggi, dopo essere usciti da Mirafiori, si allineavano in lunghe e silenziose file per acquistare pollo e patate arrosto : a quel tempo, se volevi per cena un pollo, dovevi precipitarti in quella rosticceria prima delle 18; dopo era troppo tardi, c’ erano i russi e dovevi metterti in coda.

La gestione del personale espatriato peraltro incontrò grandi difficoltà sin quasi da subito, non tanto nella selezione ed il primo invio di tecnici e maestranze sul luogo, quanto a garantire il ritorno a Togliatti dopo il primo rientro in patria, una volta cioè svanito l’ effetto curiosità e sperimentata la durezza della vita in Unione Sovietica.

Un altro fattore non meno significativo fu il senso di estraneità all’ azienda e di isolamento che provarono non pochi dei tecnici e dei quadri più qualificati, una volta rientrati a Torino ed alla loro routine professionale. La sensazione di parcheggio e a volte di inutilità, che provarono molti, era comunque riconducibile alla scarsa propensione da parte delle aziende di allora a ricorrere a tecniche di pianificazione di percorsi professionali e di utilizzi alternativi da offrire al personale, anche in condizioni così speciali.

Fra le considerazioni sull’ aspetto umano della vicenda non può mancare il riferimento anche agli effetti generati dalla realizzazione del Progetto dello stabilimento a Togliatti sul personale Fiat che lo visse in prima persona, ma da Torino, sperimentando, forse per primi, difficoltà ed incomprensioni che caratterizzarono il periodo.

Coloro che seguirono più a lungo il Progetto, in particolare gli addetti alla formazione e all’ addestramento professionale, alla gestione del contratto ed al lavoro di interpretariato, che intrattenevano quotidiani contatti con i tecnici sovietici, vennero in pratica isolati fisicamente in sedi distaccate, ma soprattutto moralmente dal giudizio, o meglio dal pregiudizio, di colleghi e superiori nel timore che la frequentazione potesse aver generato distorsioni ideologiche, inaccettabili per il clima austero e moraleggiante che permeava un po’ tutti gli ambienti ancora alla fine degli anni sessanta e primi settanta.

La fine del Progetto è facile immaginare che fu salutata come una vera e propria liberazione dal personale che lo aveva seguito da Torino, mentre costituì una opportunità per molti tecnici e quadri di rientro in Fiat in quanto coincise con l’ avvio di un altro progetto : quello della costruzione di uno stabilimento automobilistico in Brasile, la FIASA (Fiat Automoveis SA).

Sulla scia dei contatti con il mondo sovietico, che avevano fornito uno schema ed una mentalità più internazionali, iniziarono infatti i primi rapporti economico/contrattuali con la realtà brasiliana, determinando quindi una occasione per coloro che erano interessati a continuare a lavorare all’estero : ed è facile immaginare che pochi di loro, questa volta, incontrarono soverchie difficoltà a vivere e lavorare in Brasile.
Ho scritto questi due pezzi sulla Fiat in Unione Sovietica sull’ onda dei ricordi. Sono entrato in Fiat nel 1972 (rimanendoci nei successivi 40 anni) quando stava terminando il rientro degli italiani dall’ avventura russa ed ho avuto modo in quegli anni di conoscere le storie personali e le esperienze di alcuni di loro.

Peraltro testimonianze che si rivelarono di grande valore quando, all’inizio degli anni novanta, fu necessario inviare del personale, anche se con numeri inferiori, in un altro freddo paese dell’ est, la Polonia, all’ epoca caratterizzato ancora da ritardi sugli standard di vita europei, dove la Fiat, dopo la caduta del comunismo, aveva riacquistato dal governo polacco lo stabilimento della società automobilistica FSO, in realtà la ex Fiat Polski fondata agli inizi degli anni trenta, chiusa durante l’ invasione nazista e successivamente nazionalizzata dallo stato polacco.

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