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Vini, spiriti e aceti: il Made in Italy brinda a cambi e mercati emergenti

L’analisi Federvini assegna al comparto 21 miliardi di fatturato e 10,5 miliardi di export. Potenzialità di espansione arrivano da sud-est asiatico, America centro-meridionale, Europa orientale

Vini, spiriti e aceti: il Made in Italy brinda a cambi e mercati emergenti

Vini, spiriti e aceti rappresentano settori fondamentali del Made in Italy: congiuntamente assommano 2.600 imprese, quasi 21 miliardi di euro di fatturato, 10,5 miliardi di export e 30mila occupati.

Sul fronte dell’export, questi esprimono una rilevanza strategica, sia in merito all’incidenza sulle vendite oltre frontiera del food&beverage (21%) ma soprattutto in merito al contributo positivo per la bilancia commerciale agroalimentare: 8,6 miliardi di saldo commerciale aggregato netto, il valore più alto tra i prodotti italiani del F&B.

Vini spiriti e aceti: i numeri dell’export

Questo importante contributo discende dall’ottima reputazione e dal posizionamento di leadership conquistati nel tempo a livello globale: l’Italia rappresenta il primo esportatore mondiale (a valore) di aceti e vermut, il secondo di vini imbottigliati (fermi e spumanti) e liquori.

Secondo un’analisi di Federvini, i fattori che hanno contribuito alla crescita delle esportazioni sono:

• l’andamento del cambio euro-dollaro che ha permesso di compensare gli aumenti dei costi di produzione e recuperare competitività sui mercati legati al dollaro come Usa e Canada;

• la ripresa del turismo a livello globale, che ha dato impulso ai consumi nel canale Horeca (hotel/restaurant/catering) fortemente penalizzato durante la pandemia;

• la diversificazione dei mercati, come strategia adottata da molte imprese che guardano ai Paesi emergenti come Tailandia e Vietnam, dove nei primi 8 mesi del 2022 il valore dell’export del vino è cresciuto rispettivamente del 158% e 82%.

Tuttavia, guardando con maggiore attenzione emergono alcune discontinuità dettate in parte dagli stravolgimenti del panorama geopolitico. L’impatto della guerra in ucraina, in particolare la crisi energetica con i relativi rincari dei prezzi e le carenze delle materie prime come vetro e cartone da imballaggio, ha condizionato le performance in uno scenario di inflazione elevata nei prezzi al consumo.

Ciò spiega il calo nelle vendite di vini, spiriti e aceti in gdo (sia nel 2022 ma anche nel primo trimestre 2023), una riduzione in parte mitigata dalla ripresa dei consumi, trainati anche da un ritorno dei turisti stranieri in Italia.

Cambiano i mercati di destinazione

Per quanto riguarda le mete del Made in Italy, il primo trimestre 2023 evidenzia una situazione con alcuni mercati in sofferenza (come Germania, Uk e Cina), mentre sul fronte degli spiriti la variazione appare positiva. Negli ultimi tre anni, il comparto vini spiriti e aceti hanno dovuto rivedere le proprie strategie commerciali dopo la pandemia e i diversi equilibri geopolitici che sono diventati sempre più incerti ed imprevedibili.

L’analisi di settore evidenzia infatti rilevanti opportunità in paesi emergenti dove oggi la quota di mercato Made in Italy è ancora ridotta ma il potenziale di crescita elevato. Dieci anni fa, i mercati dell’Ue pesavano per circa il 57% sul valore dell’export. Dopo la Brexit nel 2021, si è arrivati al 39%. Questa variazione ha determinato un diverso approccio ai mercati di destinazione e sollecitato un allargamento degli spazi commerciali da presidiare.

Confrontando il tasso medio annuo di crescita nell’import dall’Italia tra il 2017 e il 2022 con le prospettive di aumento del Pil per i prossimi tre anni nei singoli mercati mondiali, emergono – per i vini imbottigliati – significative potenzialità di sviluppo nei paesi del sud-est asiatico e del centro-sud America (come la Colombia); nell’Est Europa e in America Latina per gli spiriti, in Corea del Sud, India ed Arabia Saudita per gli aceti.

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