La parola d’ordine è una sola, sempre la stessa ma giova ripeterla: export. O per meglio dire internazionalizzazione, accompagnata da qualità. Possibilmente ragionando in grande, brevettando marchi di successo e partecipando in grandi gruppi imprenditoriali che attraggano capitali stranieri. È questa, secondo la ricerca frutto della collaborazione fra Smi (Sistema Moda Italia – Federazione tessile e moda) e Banca Intesa Sanpaolo, la sfida delle imprese italiane del settore del tessile e della moda per il 2013: crescita sui mercati esteri e rafforzamento dimensionale.
È infatti noto, ed è emerso ancora dallo studio pubblicato stamattina nella sede di Intesa di piazza Belgioioso, che in questa fase di recessione l’unico ambito che si salva in Italia è quello della moda, o per meglio dire del lusso. Già, perché se il manifatturiero mostra piccoli segnali di ripresa in questo inizio di 2013, non è certamente grazie alle pmi che anzi continuano a soffrire ma grazie al poderoso traino delle eccellenze, dei brand più conosciuti e più portati all’assorbimento in grandi gruppi stranieri e ad orientare il proprio business sui mercati extra-Ue, ossia a quei mercati dei cosiddetti Paesi emergenti che ancora quest’anno continueranno a sostenere gli esportatori italiani.
L’export infatti cresce (a differenza di una domanda interna che perde ancora il 9,6% nel 2012) soprattutto nei Paesi fuori dall’area euro: persino nostri partner storici come Francia e Germania non comprano più da noi, si salva solo l’Olanda mentre uscendo dai confini del vecchio continente c’è un vero e proprio boom di Paesi come Cina, Russia, e anche Giappone e Stati Uniti.
La predisposizione di questi mercati (che ancora nel 2013 sosterranno la crescita mondiale) per il lusso è certificata da un dato: l’abbigliamento, ossia il prodotto finito, di qualità e identificabile come made in Italy, ha visto le esportazioni aumentare del 3,2%, mentre quasi speculare è risultato il calo (-3,6%) dei prodotti tessili. Secondo quanto convenuto da Intesa Sanpaolo e Smi, è proprio quella la sfida: continuare a puntare sull’export in attesa che l’economia riprenda vigore (le previsioni del Pil e soprattutto dei consumi interni sono ancora negative), e fare in modo che anche le pmi possano espandersi nelle dimensioni e negli sbocchi di mercato.
Non esportare solo le grandi griffe, insomma, anche perché pure il mercato dei “piccoli” chiede nuova linfa: nel 2012 i consumi in vestiario e calzature sono crollati addirittura del 10%, un trend negativo assolutamente inedito da 40 anni a questa parte e lontanissimo non solo dal boom degli anni ’70 ma anche rispetto allo stallo dell’ultimo periodo. Un altro campanello d’allarme per le note tendenze lillipuziane del sistema Italia.