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Residenze per anziani: se l’emergenza può diventare opportunità (e business)

In Italia l’invecchiamento della popolazione porterà nel 2034 gli over 85 a superare la soglia del 5% – Eppure, secondo Assoprevidenza, sono sempre di meno gli anziani che scelgono le residenze assistenziali: colpa della crisi (le rette superano i 16.000 euro annui), ma la domanda resta alta e chiede qualità – Ecco perché il privato può giocare la sua parte.

Residenze per anziani: se l’emergenza può diventare opportunità (e business)

“L’invecchiamento è un fatto fisiologico e il tema delle residenze per anziani va affrontato in maniera innovativa e sistemica e deve essere visto come un’opportunità e non un’emergenza”: con queste parole il presidente di Assoprevidenza, Sergio Corbello, ha aperto a Roma il convegno sul tema della “Residenzialità per anziani: possibile coniugare sociale e business?”. In un Paese che più di altri in Europa vede la sua popolazione invecchiare e che meno di altri è provvisto di infrastrutture e servizi di qualità, l’argomento è più che mai attuale e va incrociato con quello delle crisi economica e con la riduzione delle prestazioni pensionistiche che saranno percepite dai futuri pensionati.

Secondo il Censis, in Italia ci sono 4,7 milioni di anziani “favorevoli” alle residenze, cioè a passare gli ultimi anni della loro vita, che si allunga sempre di più (a discapito di quella lavorativa e dunque, in molti casi, di una solidità economica), in quelle che comunemente chiamiamo case di riposo, case famiglia per anziani, residenze sanitarie assistenziali o comunità alloggio. Non solo: “Secondo i dati Istat – spiega Edoardo Zaccardi del Centro studi di Itinerari Previdenziali – nel 2034 la percentuale di italiani over 85 supererà la soglia del 5% del totale della popolazione, mentre la fascia 15-64 anni scenderà per la prima volta nel dopoguerra sotto il 60%”. Tra meno di 20 anni, insomma, più di un italiano su venti avrà almeno 85 anni di età. La percentuale più alta di queste persone sarà al Sud, che attualmente è più giovane del Centro Nord ma arriverà ad avere il 5,8% della popolazione anzianissima nel 2034.

Eppure, a fronte di un costante invecchiamento della popolazione, tra il 2009 e il 2013 (ultimi dati disponibili) la quota di anziani ospiti delle strutture residenziali sul totale di quelli con limitazioni funzionali si è contratta dal 12,5 al 10,8%. “Colpa della crisi economica”, assicura Zaccardi. “Merito anche della cultura italiana che prevede che ci si aiuti in famiglia – sottolinea Sebastiaan Schrikker, Ad di Link Institutional Advisory, società di consulenza finanziaria specializzata in Fondi pensione – ma questa dinamica non può durare per sempre, anche perché le nuove generazioni sono economicamente meno ricche delle precedenti e dunque meno predisposte ad sostenerle, come accaduto finora”.

Il lato umano dovrà però restare centrale anche perché, come rileva sempre il Censis, i 4,7 milioni di anziani favorevoli alle residenze lo sono a patto che si elevi la qualità e che non venga perso il contatto con la società e con i parenti. “Chiedono insomma un ambiente accogliente ma anche aperto verso l’esterno”, spiegano gli autori della ricerca. Un nuovo business è dunque possibile, sulla base non solo dell’invecchiamento della popolazione, ma anche di una crisi economica che ha creato ulteriore domanda di assistenza. “E’ brutto chiamarlo business – dice Schrikker – ma un maggiore coinvolgimento del settore privato, anche attraverso i Fondi pensione, rappresenta una grande opportunità”.

Attualmente infatti nelle RSA accreditate con il Servizio Sanitario Nazionale, che sono le più frequenti soprattutto al Nord (dove gli anziani più spesso presentano problemi di salute, mentre al Sud la scelta della residenza avviene anche per semplici fini di socialità), il 50% del costo ricade sul SSN e l’altro 50, nel caso di strutture private, sull’utente. Risultato: il Censis stima che nel 2015 gli italiani hanno speso in tutto 4,9 miliardi in rette presso le strutture residenziali per anziani, ovvero poco più di 16.600 euro all’anno per ogni anziano. Nel caso di strutture pubbliche invece l’altro 50%, quello legato ai servizi alberghieri e non a quelli sanitari, spetta al Comune: ma secondo i dati Istat negli anni dal 2008 al 2012 la partecipazione del pubblico è notevolmente calata, da 445 a 424 milioni di euro complessivamente spesi sul territorio nazionale (questo anche per effetto di una restrizione dei requisiti per accedere alla compartecipazione pubblica).

“In molti casi la rinuncia, dovuta al costo eccessivamente oneroso, porta poi alla scelta di un livello qualitativo delle residenze più basso – conclude la ricerca – purchè sostenibile per le famiglie. Un maggior ricorso a soggetti specializzati che intermediano tra domanda e offerta potrebbe agevolare una più efficiente allocazione delle risorse, con strumenti come i Fondi pensione, e di conseguenza una maggiore sostenibilità per le famiglie, anche rispetto a servizi di qualità migliore”. In che modo? Alcune proposte sono emerse durante il convegno. “Innanzitutto – ha detto Sebastiaan Schrikker di Link Institutional Advisory – penso a investimenti in strutture polivalenti, che servano non solo agli anziani ma anche alla popolazione della zona, che possono così usufruire delle cure e contribuire ai costi. Credo anche che il rapporto tra nonno e nipote non debba andare perduto, attraverso l’organizzazione di asili nido all’interno dei centri per anziani. Infine non dimentichiamo il potenziale del turismo della terza età e di chi, anche dall’estero, potrebbe scegliere un paese mite e piacevole come l’Italia per passare gli ultimi anni della sua vita”.

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