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Renzi, gli errori da evitare dopo il voto: arretrare sulle riforme e lasciare il Pd così com’è

Dopo le Regionali molti consigliano al Premier di correggere la rotta, ma sarebbe disastroso arretrare sulle riforme perché a pagare il prezzo sarebbe per primo il Paese e poi lo stesso leader – Renzi però non deve compiere un altro errore: quello di lasciare il Pd così com’è senza puntare a rinnovarlo profondamente e a metterlo al passo col Paese che cambia

Renzi, gli errori da evitare dopo il voto: arretrare sulle riforme e lasciare il Pd così com’è

Il risultato raccolto da Matteo Renzi e dal Pd alle elezioni regionali di domenica, che era largamente prevedibile e che è stato tutt’altro che fallimentare ma certamente meno brillante del voto delle Europee, rischia di alimentare amnesie, malintesi, dubbi e paure che farebbero male non tanto al Premier quanto al Paese.

La prima amnesia da rimuovere è che le riforme siano un pasto gratis per chi le fa. Come molti casi stranieri dimostrano non è affatto vero che le riforme puniscano chi le promuove. Ma di solito c’è una sfasatura temporale: prima che la maggioranza del Paese percepisca i benefici del cambiamento ci vuole tempo mentre a breve gli interessi e le posizioni di rendita colpite dalle riforme si vendicano e voltano le spalle a chi vuole modernizzare. Certamente questo è stato l’effetto immediato del Jobs Act e dell’Italicum ma anche della responsabilità civile dei magistrati, della riforma della scuola e della Pubblica amministrazione e della riforma delle banche popolari.

Di fronte al mancato dividendo elettorale delle  riforme l’errore più clamoroso che si potrebbe compiere è quello di arretrare e di dimenticare che la missione a cui il governo Renzi è chiamato non è quella di lisciare il pelo a chi difende lo status quo ma quello di cambiare il Paese, costi quel che costi. Senza iattanza ma con determinazione: cambiare. Tra conservatori di tutte le specie e rinnovatori di varie scuole lo spartiacque è questo ed è inutile arrampicarsi sugli specchi fingendo di non capire. Per fortuna i primi commenti di Renzi dopo il voto lasciano ben sperare.

Guai dunque a dubitare delle riforme e ad inseguire il centrodestra o i grillini o la minoranza dem nei loro progetti di contrastare o ritardare nei fatti la modernizzazione dell’Italia. La politica delle riforme non è una passeggiata nel parco ma l’Italia come la comunità internazionale si aspettano una sola cosa: che la politica del cambiamento vada avanti e che, anziché temporeggiare, il Premier alzi il tiro, sapendo che l’alternativa sarebbe solo la palude, un lusso che il Paese non può permettersi.

Il risultato del voto ci presenta anche una grossa novità se il responso delle urne viene correttamente declinato alla luce della nuova legge elettorale e cioè che, salvo una per ora improbabile ricomposizione di tutto il centrodestra che vada da Berlusconi a Salvini come in Liguria ma a leadership invertita, al ballottaggio delle  future elezioni politiche andranno il Pd e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che è diventato il secondo partito nazionale scavalcando Forza Italia e la Lega.

Piaccia o no, si sta cioè riconfigurando il paradigma su cui si basa il sistema politico che appare sempre meno imperniato sull’alternativa classica tra destra e sinistra ma che sempre più ruota attorno allo scontro tra un partito che sa parlare e rappresentare gli interessi generali del Paese anche se ovviamente non lo ingloba interamente e le forze anti-sistema, di destra o sinistra che siano. Lo scontro tra Renzi e Grillo o tra Renzi e Salvini altro non è che questo: da una lato una strategia modernizzatrice ed europeista e dall’altro la protesta e il rancore verso l’euro e verso l’Europa.

Se così stanno le cose, Renzi non può pensare di battere Grillo e/o Salvini ammorbidendo la politica delle riforme e ha una sola vera freccia nel suo arco, ma decisiva: quella di opporre al populismo e alla demagogia, alle chiacchiere da bar sport e alle sterili proteste l’arma visibile e tangibile dei fatti e del cambiamento. Non ci sono alternative: se Renzi si ferma, è perduto.

Ma per vincere la battaglia del rilancio dell’Italia c’è un’altra trappola da cui Renzi deve attentamente guardarsi: quella di pensare che il Pd sia solo una variabile dipendente dall’azione di Governo e che alla fine l’intendenza seguirà. Come le Regionali hanno dimostrato non è così. O Renzi, insieme al Paese, riforma anche il Pd e ne assume la guida piena, facendo rispettare la democrazia interna e mettendo il partito al passo con i tempi, o non andrà da nessuna parte. Sia perché lo stato spesso disastroso in cui il Pd è stato ridotto in periferia lo rende impermeabile o addirittura ostile al cambiamento, sia  perché non si può vincere la battaglia per le riforme e per il rinnovamento del Paese avendo sempre contro la minoranza interna che fa da sponda alle opposizioni esterne e al gioco di interdizione del sindacato.

Il Premier non ascolti gli appelli strumentali di chi, dalle sponde dell’opposizione, gli consiglia di abbassare il tiro sulle riforme ma non dimentichi che in casa ha un problema gigantesco quanto irrisolto qual è quello di un Pd che spesso rema contro e che è del tutto inadatto a vincere le sfide del futuro.

Riforme e Pd: il voto delle Regionali è stato un campanello d’allarme ma ora tocca a Renzi prendere il toro per le corna. Ha il coraggio e la lucidità per farlo ed è questo che il Paese si aspetta da lui. 

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