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Referendum: per il NO Fabiani, Leonardi, Melani e Recanatesi

L’ex Rettore dell’Università Roma Tre, Guido Fabiani, l’economista Marco Leonardi, l’ambasciatore Maurizio Melani e il giornalista economico Alfredo Recanatesi spiegano, ognuno con le sue argomentazioni, perché al referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari voteranno NO

Referendum: per il NO Fabiani, Leonardi, Melani e Recanatesi

Dopo l’editoriale del direttore di FIRSTonline, Franco Locatelli, dal titolo “Referendum, votare NO contro populismo e oppurtunismo”, e dopo l’intervento del presidente di questo giornale, Ernesto Auci, nel servizio “Il referendum e la grande truffa dei Cinque Stelle”, si è aperto un dibattito sul voto referendario che si terrà il prossimo 20 e 21 settembre per decidere sul taglio del numero dei parlamentari

Di seguito pubblichiamo gli interventi dell’ex Rettore dell’Università degli Studi Roma Tre Guido Fabiani, dell’economista Marco Leonardi, dell’ambasciatore Maurizio Melani e del giornalista economico Alfredo Recanatesi, già vicedirettore del Sole 24 Ore prima e de La Stampa poi..

GUIDO FABIANI

Non riprendo le numerose ragioni che stanno emergendo a sostegno del NO. Per quanto mi riguarda, voglio solo sottolineare che il taglio del numero parlamentari, effettuato da solo, costituisce un pericoloso vulnus per la forma di democrazia rappresentativa che si è data il Paese con la Costituzione. 

Non c’è, infatti, alcuna garanzia che l’attuale Parlamento sia nei prossimi mesi in grado di procedere ad approvare una compiuta riforma elettorale, a definire le regole di funzionamento e le reciproche competenze di Camera, Senato e Regioni di cui c’è un forte bisogno. A costruire, cioè, un condiviso quadro istituzionale, rispettoso dei valori fondanti della Costituzione repubblicana al cui interno, definita la cornice, avrebbe anche senso prevedere (assieme alla definizione di una nuova legge elettorale) di anticipare una motivata diminuzione numerica di deputati e senatori. 

Così come stanno le cose, invece, di quel quadro, o di un suo primo disegno, non c’è traccia, la legge elettorale è nella più totale incertezza e si porta avanti solo il taglio drastico e frettoloso di un terzo del numero dei deputati e senatori (300 membri su 900). Un taglio che, oltre a non migliorare il livello di qualità e competenza di cui ci sarebbe grande bisogno per innalzare l’efficienza e la funzionalità del lavoro delle Camere, significherebbe: a) che una buona parte delle componenti sociali e territoriali del paese non avrebbe il diritto di mandare i propri rappresentanti in parlamento, e, b) che le scelte politiche sarebbero sempre più appannaggio di pochi, con una minore influenza del Parlamento sulle azioni del governo e un aumento del potere delle segreterie dei partiti e delle ridicole manifestazioni di “democrazia diretta”.

Voterò, quindi, convintamente per il NO e auspico che le forze politiche che hanno sempre tenuto fermo il riferimento costituzionale del Paese, continuino a farlo.

MARCO LEONARDI

Nel dibattito sul referendum non prenderei in considerazione argomenti tipo il risparmio dei costi della politica. Ben altri sono i costi, pensiamo solo al mondo delle autonomie, al sottobosco delle partecipate e simili. Mi convince poco anche il tema della maggiore speditezza delle decisioni. Per quello occorrerebbe e basterebbe una riforma più marcata dei regolamenti parlamentari. Inoltre, non dimentichiamo che oggi (non mi riferisco a questo periodo, ma da una trentina di anni a questa parte) il potere decisionale è già sbilanciato a favore del governo. Semmai servirebbe una riforma costituzionale per eliminare il bicameralismo perfetto e ridisegnare qualche livello di governo locale. Ma sarà difficile realizzarla.

Teoricamente con numeri più piccoli dovrebbe essere più difficile raggiungere maggioranze qualificate, ma molto dipenderà dal sistema elettorale: un maggioritario spinto consentirà poca “rappresentanza” per eleggere per esempio il Presidente della Repubblica. Con il SI, 134 senatori, pochi, potrebbero bastare per cambiare la costituzione senza ricorrere al referendum.

A questo punto votare SI o NO diventa un fatto più di istinto che di ragione: conservare l’equilibrio creato dai costituenti o smuovere comunque le acque? Questa potrebbe essere l’ultima occasione per tagliare parlamentari per un po’ di tempo. A me sembra una cambiale in bianco cui potrebbe seguire nessuna vera riforma. Io voto NO, ma se fossi un capo partito ovviamente voterei Sì e poi cercherei di avere il resto del patto sulle riforme. 

MAURIZIO MELANI

È benvenuta e opportuna ogni presa di posizione, da qualsiasi parte provenga e quali ne siano le motivazioni, diretta a bloccare questa assolutamente demagogica legge costituzionale che per le modalità con cui è stata presentata e la retorica che l’ha accompagnata è espressione di una cultura antiparlamentare e ostile alla democrazia rappresentativa. 

Essa ridurrebbe la rappresentanza senza effetti migliorativi sul funzionamento delle istituzioni. Aumenterebbe senza alcuna logica e in modo ineguale in varie parti del Paese il rapporto tre elettori ed eletti facendo crescere la distanza tra gli stessi. Altererebbe gli equilibri nell’elezione del Presidente della Rebubblica, aumentando il peso relativo dei rappresentanti delle Regioni. Introdurrebbe in modo surrettizio, considerata l’attuale legge elettorale, un sistema fortemente maggioritario senza i necessari correttivi. 

Il suo effetto sui costi complessivi della pubblica amministrazione sarebbe insignificante.

Sarebbe ora necessario che il PD, nel cui ambito crescono le voci in favore del NO, prenda rapidamente una posizione in questo senso, coerentemente con il voto ripetutamente espresso in Parlamento contro la legge in mancanza di una più ampia riforma istituzionale, in particolare per quanto riguarda il bicameralismo e il rapporto Stato-Regioni, e con la condizione minima dell’adozione di una nuova legge elettorale, che non è avvenuta, posta al momento del voto purtroppo favorevole in aula. 

Un pronunciamento in favore del NO non sarebbe contraddittorio, considerata la condizione posta e non realizzata e sarebbe difendibile con ogni interlocutore. Anche le forze politiche minori dentro e fuori la maggioranza dovrebbero schierarsi decisamente per il NO. Alcune lo hanno fatto, altre no. 

Sotto un profilo strettamente politico una vittoria del SI significherebbe il successo di un ricomposto fronte nazional-populista, centrato su Lega e Cinque Stelle, che le le decisioni per la costituzione del secondo Governo Conte e le vicende europee hanno spezzato.

Quando si parla con persone che nelle precedenti tornate elettorali hanno votato per quelle due forze politiche si registra una crescente disaffezione nei loro confronti come i sondaggi dimostrano. Questo sembra riverberarsi anche sulla disponibilità di molti a seguire le indicazioni di voto referendario di quelle forze con la prospettiva che una consistente quota soprattutto tra i giovani quanto meno si astenga (cosa più difficile dove il referendum ha luogo in coincidenza con elezioni regionali e municipali). Occorre incoraggiare tali tendenze usando gli argomenti giusti con i diversi interlocutori, tenendo peraltro presente che una parte, come indicano i sondaggi, è attratta dai presidenzialisti di Fratelli d’Italia che coerentemente con le loro radici antiparlamentari sono ugualmente schierati per il SI. Occorre ora mobilitarsi con tutti mezzi disponibili, al di là delle legittime diversità su altre questioni, affinché il loro fronte non prevalga o almeno, nella peggiore delle ipotesi, siano limitate al massimo le dimensioni di un suo eventuale successo.

ALFREDO RECANATESI

Forse mi inganna la partigianeria, ma a me pare che, mentre le ragioni del NO vengono variamente argomentate, le ragioni del SI, a parte un risparmio al quale solo i grillini più naif possono dare rilevanza, si riducano alla tesi che una riduzione dei parlamentari non produce danni. Pertanto, credo opportuno aggiungere qualche considerazione sulla portata più profonda della scelta. 

A mio avviso, infatti, una vittoria del SI costituirebbe un ulteriore allontanamento dal carattere parlamentare che alla nostra democrazia vollero dare i costituenti e che, seppure per ragioni un po’ diverse di allora, è ancor oggi da considerare come un pilastro fondamentale ed irrinunciabile del nostro ordinamento. Già l’abolizione delle preferenze ha compromesso il rapporto personale diretto dei deputati, o aspiranti tali, con il loro specifico elettorato, con la conseguenza che non ci sono più eletti ma nominati, i quali non rappresentano più gli orientamenti di ogni singolo collegio, ma sono diventati dei privilegiati – dunque casta – che devono i loro privilegi alla fedeltà dimostrata nei confronti dei leader. Ora a questo già grave vulnus sul quale ha potuto attecchire la malapianta del discredito dell’istituzione parlamentare, si lascia intendere che il grado di rappresentatività del Parlamento può benissimo essere ridotto per l’unica ragione di un risparmio di spesa da vantare nei confronti di un elettorato sprovveduto ed ampiamente settario. 

A parte ogni implicazione contingente sul quale l’informazione ha indirizzato la sua maggiore attenzione come se si trattasse di un confronto elettorale di ordinaria amministrazione, dietro la semplificazione del quesito referendario, il 20 settembre si giocherà un tempo della partita tra repubblica parlamentare e repubblica presidenziale. Se questo è almeno in parte è vero – e per me non ci possono essere dubbi – il resto, al confronto, sono minuzie.

IL COMMENTO DI ERNESTO AUCI

Andando al nocciolo della questione, si può dire che il SI è sorretto essenzialmente dalla considerazione che il Parlamento funziona male e quindi con meno deputati forse può migliorare, oppure nel peggiore dei casi continuerà a funzionare male. Mi meraviglio che Valerio Onida ed altri valenti costituzionalisti pronti a vedere pericoli in cambiamenti razionali e logici della nostra carta fondamentale, non vedano i rischi palesi di un attacco al Parlamento che non corregge alcuno degli attuali difetti ed anzi accelera la dipendenza dei parlamentari dalle segreterie dei partiti vanificando qualsiasi possibilità di un controllo effettivo delle Camere sull’esecutivo. 

 Mi sembra poi del tutto campata in aria la pretesa che questo primo passo apra davvero una stagione riformista con il cambiamento dei regolamenti parlamentari, la differenziazione dei compiti di Camera e Senato, e la revisione della legge elettorale. L’esperienza del passato dimostra che chi uscirà vincitore dalla consultazione popolare sarà poi indotto a proseguire sulla propria linea ideologica. I Cinque Stelle vogliono il superamento del Parlamento, l’inserimento del vincolo di mandato, referendum propositivi che superino le deliberazioni delle Camere. Non sono considerazioni sufficienti a votare NO?

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