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Rai Way, via libera alla cessione del controllo ma il polo delle torri è una strada ancora in salita

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPCM che autorizza la Rai a cedere la quota di controllo in Rai Way, ma per la creazione del polo delle torri restano ancora molti ostacoli

Rai Way, via libera alla cessione del controllo ma il polo delle torri è una strada ancora in salita

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che permette alla Rai di vendere la quota di controllo di Rai Way. Il provvedimento può aprire la strada alla creazione del polo delle torri, di cui si parla ormai da anni, ma gli ostacoli non mancano ed è lecito avere forti dubbi. Cerchiamo di capire il perché analizzando tre profili: giuridico, finanziario e industriale.

Rai Way e il polo delle torri: i problemi giuridici

Anzitutto, è necessario leggere attentamente il testo del provvedimento governativo e, in particolare, le premesse e il disposto dell’art. 2. I primi due commi del provvedimento fanno riferimento a quanto indicato all’art. 21, comma 3 del Decreto Legge 66 del 2014, emanato durante il Governo Renzi, ma viene dimenticato pressoché del tutto un articolo fondamentale della legge Gasparri con lo stesso numero (il 21, comma 3), cioè la 112 del 2004, con la quale si fissa un pilastro fondamentale di tutta l’architettura sulla quale si regge il DPCM.

Leggiamo, con ordine, prima la Gasparri:

“In considerazione dei rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale e di ordine pubblico connessi alla concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo affidata alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa, è inserita nello statuto della società la clausola di limitazione del possesso azionario prevista dall’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, prevedendosi il limite massimo del possesso dell’uno per cento delle azioni aventi diritto di voto per tutti i soggetti indicati dal medesimo comma 1. … Sono, inoltre, vietati i patti di sindacato di voto o di blocco, o comunque gli accordi relativi alla modalità di esercizio dei diritti inerenti alle azioni della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, che intercorrano tra soggetti titolari, anche mediante soggetti controllati, controllanti o collegati, di una partecipazione complessiva superiore al limite di possesso azionario del 2 per cento… Tali clausole sono di diritto inserite nello statuto della Società, non sono modificabili e restano efficaci senza limiti di tempo”.

Ora il tema che si pone è sul fondamento giuridico di quanto prima avvenuto con il DL del Governo Renzi nel 2014 al quale fa riferimento il DPCM attuale, laddove sono state presentate riserve di costituzionalità (da Pace, Ainis e Cheli) ancora non risolte. Il meccanismo è semplice: un DPCM ha rango inferiore ad una Legge che, notoriamente, può essere superata solo da una equivalente o di livello superiore e la legge Gasparri non solo non è stata superata, ma possiede anche le caratteristiche di legge cosiddetta “rafforzata” laddove indica che “tali clausole non sono modificabili e restano efficaci senza limiti di tempo”. Non solo: il recente Dlgs 208 dello scorso novembre (nuovo TUSMAR, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), che pure mette mano al riordino del sistema delle telecomunicazioni del nostro Paese in recepimento delle disposizioni comunitarie, conferma pienamente la validità dell’art. 21 della Legge 112 del 2004.

Infine, altra nota di particolare interesse emerge da quanto indicato all’art. 2 del DPCM. laddove si legge che “il perfezionamento delle operazioni di cui all’art.1 è condizionato all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni da parte delle Autorità di garanzia e di vigilanza”, che sarebbero poi ben quattro: AgCom, Consob, Antitrust e Commissione parlamentare di Vigilanza Rai. Come si può osservare, si tratta di un vincolo di difficilissima elusione dove, peraltro, non viene indicato alcun procedimento decisionale: quale tra questi soggetti potrebbe avere prevalenza qualora anche solo uno di essi sollevasse obiezioni? Tutto questo induce a ritenere che il DPCM contenga una debolezza strutturale che lo potrebbe portare su un binario di complessa percorribilità, almeno nei tempi ragionevolmente brevi che sarebbero necessari per diventare efficace.

Le questioni finanziarie

Veniamo dunque ai problemi finanziari. Ce ne sono almeno di due livelli: il primo si riferisce alle dinamiche azionarie del titolo di Rai Way (qualcuno titola “vola in Borsa”) e il secondo alle operazioni d M&A che il DPCM renderebbe possibile con la controparte direttamente interessata Ei Towers (posseduta da F2i al 60% e Mfe al 40%). È necessario inoltre ricordare che proprio pochi giorni prima della firma del DPCM i fondi azionari che gestiscono il 7% del capitale flottante di Rai Way scrivono a Draghi quanto segue: “Crediamo che il Governo ben comprenda la necessità di agire con tempismo e determinazione per risolvere situazioni rimaste bloccate, come il consolidamento delle torri broadcasting”.

Come già avvenuto in passato, non appena avuta notizia della firma del provvedimento, il titolo Rai Way si è impennato per avvicinarsi alla soglia dei 6 euro, ritenuta ottimale per le operazioni successive che si possono intraprendere con molteplici vantaggi per tutti soggetti interessati. Tra questi, a corto raggio, quello che ha maggiore sensibilità sarebbe proprio Mediaset, che da un’operazione del genere ha tutto da guadagnare proprio nel momento in cui è molto dinamica la sua attività internazionale (vedi possibile Opa su ProsiebenSat).

Rai Way e il polo delle torri: il fattore industriale

Infine, c’è un problema tutto interno alla Rai e al difficile momento che si trova ad attraversare sul piano economico. La domanda che si pone è semplice: quanto conviene a Rai un’operazione del genere in questo momento? Quanto potrebbe sostenere gli investimenti necessari per affrontare un mercato sempre più aggressivo e competitivo? La risposta è complessa: formalmente ci sarebbe molta convenienza, perché il consolidamento consentirebbe a Viale Mazzini di fare cassa e i proventi (stimati approssimativamente oltre i 300 milioni) sarebbero utilizzati per ripianare buchi di bilancio attuali e impegni futuri. Tuttavia, l’operazione andrebbe collocata nel prossimo Piano Industriale, che, insieme al nuovo Contratto di Servizio, è ancora una bozza tutta da verificare e confermare in un arco di tempo che non sarà tanto breve.

Da ricordare poi che l’orizzonte delle casse del Servizio Pubblico non si prospetta molto sereno: la pubblicità è in calo e il canone potrebbe uscire dalle bollette della luce,il che causerebbe un ritorno all’evasione nell’ordine di 100 milioni di euro l’anno. Nei giorni scorsi il Ministro Giorgetti è stato ascoltato in Vigilanza Rai e, a questo proposito, è stato chiaro: “Le risorse derivanti dall’operazione di mercato dovranno essere utilizzate integralmente alle attività specifiche del Servizio Pubblico radiotelevisivo”. Non sarà impresa semplice.

Ma il Ministro ha toccato anche il nervo maggiormente scoperto di questo DPCM: il controllo della futura società unica delle torri. Ai politici, sorpresi di tanta sollecitudine sulla comparsa del provvedimento (come se fosse inatteso, quando invece era da mesi che se ne parlava), Giorgetti ha affermato categorico che la Rai non potrà essere proprietaria delle torri e al tempo stesso usarle come editore. Il ministro ha quindi lascito intendere il suo progetto: rete e antenne sotto lo stesso tetto con la tutela di un soggetto a partecipazione pubblica.

Conclusione: il DPCM appare per buona parte ancora tutto da decifrare nella sua portata e negli effetti che sarà in grado di produrre. I tempi della politica e quelli del mercato, in genere, non sono uguali. La vera, grande partita delle TLC in Italia non sembra ancora iniziata: al massimo, quindi, l’ultimo provvedimento potrebbe essere una tappa di avvicinamento verso un traguardo ancora lontano.

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