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Piquadro ora punta sul made in Italy

Dopo essere stata per anni la bandiera della buona delocalizzazione, l’azienda bolognese (sede a Gaggio Montano), specializzata in borse da viaggio e per il business, propone un nuovo prodotto di alta gamma, interamente fatto a mano in Italia. Presentato nelle settimane scorse “Sartoria”, un progetto che punta soprattutto su Asia ed Europa dell’Est.

Piquadro ora punta sul made in Italy

“Ogni cliente – spiega il numero uno della società, Marco Palmieri – da settembre avrà la possibilità di disegnare il prodotto che desidera sul proprio ipad o su una consolle nei nostri negozi. Quel modello verrà realizzato in cuoio di prima qualità, dello spessore di 2,5 millimetri, da un artigiano toscano in rete con noi e verrà consegnato entro 40 giorni. Piquadro si afferma così come un marchio sempre più orientato al cliente, fino al punto di fargli progettare un oggetto unico ed esclusivo a costi relativamente contenuti, compresi fra 500 e 900 euro”.

Una strada utile a crescere ulteriormente anche all’estero, dove Piquadro già realizza il 25% del fatturato. “Aumentiamo le esportazioni del 5% l’anno circa e vogliamo mantenere questo ritmo. Anche a questo fine – dice Palmieri – vogliamo aprire, in parte direttamente e in parte in franchising, altri 20 negozi monomarca. In programma ci sono Milano, Madrid, Mosca e naturalmente la Cina. A Hong Kong per la prima volta apriremo uno store su due piani fuori da un centro commericale. Probabilmente Sartoria partirà proprio da lì o dal capoluogo lombardo”.

Con queste nuove aperture Piquadro supererà i 120 negozi in giro per il mondo, mentre il bilancio 1 aprile 2010-31 marzo 2011 si è chiuso con un fatturato di 61,8 milioni (+18%), Ebitda a 16,4 milioni (26,6% del fatturato consolidato, in crescita del 19,1%), utile netto consolidato di 9,1 milioni (+27,7%) e la proposta di un dividendo di 0,1 euro per azione.

Crescita in casa, crescita all’estero: tutto per linee interne, nessuna acquisizione in programma? “Ci siamo guardati attorno – risponde il Ceo del gruppo – ma non abbiamo trovato niente che rispondesse alle esigenze di Piquadro. Il nostro è un modello che funziona, sono dieci anni che cresciamo e anche quest’anno prevediamo di toccare un aumento a due cifre. Non ci sembra il caso di cambiare rotta, è meglio continuare a investire su noi stessi. Ricerca e innovazione sono uno dei nostri punti di forza, cerchiamo continuamente ciò che può servire, con la tecnologia più avanzata. Le nostre borse sono super accessoriate e questo varrà anche per Sartoria: l’involucro sarà in cuoio, offrirà la tradizione, ma l’interno avrà gli optional tipici di Piquadro”.

Tutto sembra filare liscio, dunque. Ma la strada è davvero tutta in discesa? ”In realtà niente è facile. Il mercato è sempre più complesso e i consumatori cambiano le loro esigenze. Quindici anni fa credevamo che l’economia cinese sarebbe esplosa in un futuro indefinito e quel futuro è adesso. Noi siamo in Cina, ma una cosa è la grande Cina, tutt’altra Hong Kong e Taiwan. Bisogna tenere conto di quello che cercano quei consumatori”.

Da qui, evidentemente, la decisione di tornare a produrre in parte in Italia, per affermare più fortemente il fulcro del made in Italy. “Noi siamo già un’azienda del made in Italy. Però volevamo un prodotto di fascia ancora più alta. Per ora abbiamo una piccola rete di tre-quattro artigiani, ma speriamo che cresca sulla spinta della domanda. Per il resto non cambia nulla, restiamo a produrre in Cina, realizzando un prodotto con tutte le qualità di un oggetto italiano. Ricordo che pellame, designer, sviluppo tecnico, engeneering vengono dal nostro paese. In Cina abbiamo 400 dipendenti, ma qui ne abbiamo 180 ed è in casa che facciamo un severo controllo del prodotto finito, per poi distribuirlo in giro per il mondo”.

Da Gaggio Montano a Piazza Affari: un bel salto, in effetti. “Io sono figlio d’arte. Mio padre era un piccolo imprenditore, aveva un’azienda di trasporti. Mentre studiavo ingegneria elettronica anch’io avviai un’aziendina di borse che lavorava in conto terzi. É un’attività che ho sempre mantenuto anche quando ho interrotto gli studi per dedicarmi a una delle prime piccole imprese di elettronica. Venduta quella, ho concentrato i miei sforzi su Piquadro. Abbiamo cominciato a immaginare un prodotto di fascia alta per uomo, moderno, tecnologico e lo abbiamo fatto con il nostro marchio”.

E una grande spinta è venuta probabilmente dalla delocalizzazione. “Produrre in Cina ci ha consentito di liberare risorse da investire in Italia e così abbiamo potuto ingrandirci e assumere anche a Gaggio. Oggi raccogliamo i frutti di quel lavoro. Ma non si può mai abbassare la guardia”. La quotazione ha insinuato qualche tentazione di vendita? “Assolutamente no. Io ho persino ricomprato qualcosa di Piquadro, circa il 3% e ora ho il 65%”.

Pubblicato in: News

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