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Piani pensione a prestazione definita: le ragioni di una crisi

Secondo uno studio di Create-Research e Amundi, questi strumenti si ritrovano in un circolo vizioso e la maggior parte dei gestori progetta di spostare gli iscritti in piani a contribuzione definita

Piani pensione a prestazione definita: le ragioni di una crisi

I piani pensione a prestazione definita attraversano una fase sfavorevole, malgrado i mercati azionari viaggino sui massimi storici. Il motivo? “Un mix tossico di invecchiamento demografico, rigida regolamentazione, aumento dell’inflazione e calo dei tassi d’interesse ha gravemente danneggiato la loro sostenibilità finanziaria”. Lo sostiene una ricerca di Create-Research e Amundi, spiegando che questi veicoli si ritrovano all’interno di un circolo vizioso: da una parte “non possono permettersi di assumere dei rischi in presenza di deficit persistenti in un piano che si approssima alla scadenza”; dall’altra, “non possono ridurre i deficit senza assumersi dei rischi” e “il drammatico calo dei tassi di interesse nell’ultimo decennio ha peggiorato le cose”.

Dall’indagine – realizzata su 152 piani pensione a prestazione definita in 17 mercati europei – emerge inoltre che la situazione è peggiorata con la pandemia. “Quasi la metà dei soggetti (48%) ne conferma l’impatto negativo sulla sostenibilità finanziaria a più lungo termine dei piani, mentre solo il 6% segnala un impatto positivo – si legge ancora nello studio – Anche l’impatto netto sui coefficienti di finanziamento e sui flussi di cassa regolari è stato negativo. Pertanto, il 60% prevede di migrare gli iscritti dei piani a prestazione definita verso piani a contribuzione definita”.

A differenza di quanto avviene nei normali fondi di previdenza complementare, in quelli a prestazione definita i versamenti dei lavoratori vengono periodicamente adeguati tenendo conto anche del rendimento del fondo, in modo da costituire una rendita di ammontare predeterminato. Proprio per questa loro natura, “più i tassi sono scesi, più velocemente sono aumentate le passività dei piani pensione – spiega il professor Amin Rajan di Create-Research, che ha guidato lo studio – L’aumento dei tassi di interesse non sarà sufficiente per invertire questa spirale. I piani pensione avranno bisogno di rendimenti molto più elevati sui loro asset o di nuove iniezioni di liquidità da parte dei loro sponsor”.

Che fare, dunque? Nella maggior parte dei casi, le passività dei piani oggetto della ricerca giungono a scadenza rapidamente, per cui l’intervento di un assicuratore esterno è da escludere. L’unica possibilità è trovare un equilibrio tra fattori divergenti: l’aumento del rischio per colmare il deficit di finanziamento, la conservazione della base patrimoniale e la generazione di flussi di cassa adeguati.

Secondo Pascal Blanqué, group chief investment officer di Amundi, “investire in attivi rischiosi non è forse la migliore opzione per alcuni fondi pensione, ma purtroppo è l’unica. Non è così che avrebbe dovuto essere la fase finale di gestione del rischio di solvibilità fino all’estinzione delle passività dei fondi pensione a prestazioni definite”.

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