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Pensioni, manovra: ok quota 100, ma con l’assegno più leggero

Il governo pensa di consentire l’uscita dal lavoro prima dei 67 anni, ma prevede delle penalizzazioni per ridurre i costi della riforma – Si parla di un taglio temporaneo dell’1-1,5% o di una riduzione permanente dello 0,5-1% – In alternativa, i contributi dal 1995 potrebbero essere calcolati tutti con metodo contributivo: e questa sarebbe una stangata

Pensioni, manovra: ok quota 100, ma con l’assegno più leggero

Dal 2019 si potrà andare in pensione prima di aver compiuto 67 anni – soglia imposta dalla legge Fornero, associata ad almeno un ventennio di contributi – ma con una penalizzazione sull’importo dell’assegno, così da non stravolgere i conti pubblici. Questa una delle misure allo studio del Governo in vista della nuova legge di Bilancio, che sarà varata entro metà ottobre.

In un vertice a Palazzo Chigi – poco prima del Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto su immigrazione e sicurezza – il governo ha discusso della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def), che dovrà essere pubblicata entro giovedì e conterrà i numeri su cui sarà impostata la manovra 2019: le previsioni (riviste al ribasso) sull’andamento del Pil e, soprattutto, gli obiettivi su deficit e debito.

Uno dei pilastri, su cui insiste la Lega, è il capitolo previdenza. Resta d’attualità l’obiettivo della quota 100, cioè la possibilità di andare in pensione quando la somma di età anagrafica e contributiva dà almeno 100. In origine si era parlato di porre la sogli minima d’età a 64 anni, ma poi Matteo Salvini ha chiesto di abbassare l’asticella a 62.

Se passerà la linea del vicepremier leghista, dunque, si potrà andare in pensione a 62 anni con 38 anni di contributi, a 63 anni con 37 anni di contributi e a 64 anni con 36 anni di contributi. Situazione diversa, invece, per i 65enni: come ha spiegato al Gr3 Alberto Brambilla, esperto di pensioni in quota Lega, per chi ha 65 anni la quota 100 dovrebbe trasformarsi in quota 101, perché sotto i 36 anni di contributi non si dovrebbe scendere. È questa una delle misure allo studio per ridurre i costi dell’intervento.

La quota 100, infatti, consentirebbe a circa 433mila lavoratori di andare in pensione nel 2019 e costerebbe 8,6 miliardi. Tanto, forse troppo, considerando che l’intera manovra dovrebbe valere 25-30 miliardi, ma più di 20 sono già impegnati: 2,5 per la mancata crescita (che determina un calo delle entrate fiscali e quindi, a meno di correttivi, un aumento del deficit), 4 per le spese aggiuntive sugli interessi del debito pubblico, 12,4 per disinnescare l’aumento dell’Iva e 3,5 per le spese indifferibili.

Per questo, il Governo sta valutando altre correzioni che riducano ulteriormente il costo della quota 100. Ad esempio, per la pensione anticipata, si pensa di calcolare con il metodo contributivo tutti i versamenti successivi al 1995: in questo modo l’importo della pensione si ridurrebbe anche del 10-15%. Inoltre, ai contribuenti dovrebbe essere permesso di conteggiare al massimo due anni di contributi figurativi.

La seconda ipotesi prevede un taglio della pensione pari all’1-1,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni. Questa penalizzazione, tuttavia, verrebbe tolta al raggiungimento dei 67 anni, quando scatterebbe la pensione piena.

In alternativa, si discute anche di un taglio permanente, ma in questo caso la penalizzazione sarebbe più bassa: 0,5-1% per ogni anno di anticipo.

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