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Pensioni: dopo Quota 100 due soluzioni sul tappeto

Il Governo non ha ancora definito la linea che terrà sulla previdenza, ma dal recente incontro con i sindacati si intravedono due ipotesi possibili per quando a fine anno terminerà Quota 100

Pensioni: dopo Quota 100 due soluzioni sul tappeto

Al saper leggere tra le righe (e a conoscere bene “i nostri polli”) non è stato un incontro inutile quello che si è svolto – in tema di pensioni – tra il ministro Andrea Orlando e i leader sindacali il 27 luglio scorso. Basta leggere le dichiarazioni rilasciate in uscita per capire come stanno per ora le cose.

«Abbiamo spiegato qual è la nostra piattaforma – ha dichiarato Maurizio Landini, segretario della Cgil – ma abbiamo anche chiesto esplicitamente che il governo ci dica se si può aprire o no una trattativa sulla nostra piattaforma. A settembre, dunque, è necessario entrare nel merito, perché il tipo di risposte che ci verranno date sono importanti e noi intendiamo su questo fare una vera e propria vertenza, avviare una mobilitazione» (A Mauri’! Facce Tarzan!).

Poi, qualcuno deve avergli chiesto: “Ma chi paga?”. In merito alle risorse – scrivono le agenzie – Landini ha osservato che «bisogna tornare a separare assistenza e previdenza, perché se separiamo queste due spese, la spesa previdenziale nel nostro Paese non è superiore alla media europea».

Un segretario confederale dovrebbe sapere che le statistiche a livello europeo vengono effettuate secondo criteri uniformi e che non è consentito ad un Paese di “sommergere” un’importante voce di spesa amalgamata con quella previdenziale. Ovviamente, se si dovessero rivedere i criteri delle statistiche, ciò non potrebbe avvenire in modo unilaterale, alla stregua del “socialismo in un solo Paese”. Tutti gli Stati membri sarebbero abilitati a stralciare i costi che il bilancio dello Stato sostiene per coprire i disavanzi dei sistemi pensionistici. Così l’Italia resterebbe ancora il Paese che spende di più. Ma lasciamo perdere, per carità di Patria.

Dalle parole di Landini (seguito a ruota dagli altri segretari generali) appare, tuttavia, evidente che il ministro ha ascoltato l’illustrazione della piattaforma sindacale in silenzio ed in silenzio è rimasto dopo che i sindacalisti avevano parlato. Orlando però non ha voluto essere un convitato di pietra, come risulta dal suo comunicato sull’incontro. “Si è aperto un confronto sul tema della previdenza. Il sindacato ha esposto la propria piattaforma, noi abbiamo proposto il lavoro che è emerso da una commissione che dovrà definire i lavori cosiddetti ‘gravosi’. Alla luce delle valutazioni e dei pareri degli altri ministeri coinvolti proseguirà la discussione mi auguro con un esito positivo”.

Non è necessario un particolare impegno per decrittare le parole di Orlando. In primo luogo è chiaro che non esiste ancora una posizione del governo, tanto che nell’incontro si è presentato l’elaborato di una commissione istituita dal ministro Catalfo e sono stati chiamati in causa gli altri ministri con voce in capitolo a partire dal titolare del Mef. È tuttavia intuibile la linea che il ministro intenderebbe seguire, che è poi la stessa che aveva fatto capolino nel Pnrr, prima che la Lega ne avesse preteso e ottenuto la soppressione. Poche righe, ma coerenti con l’avvio del confronto con i sindacati svoltosi il 27 luglio: “ln tema di pensioni, la fase transitoria di applicazione della cosiddetta Quota 100 terminerà a fine anno e sarà sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti”.

Come si possono interpretare, allora, le intenzioni del Ministro (e del governo?) quando ha presentato un documento in cui era affrontato il tema del lavoro disagiato? La risposta più logica – alla luce delle righe soppresse che oggi sembrano molto chiare alla luce dei fatti – sarebbe quella di rafforzare l’Ape sociale (e di conseguenza anche la normativa per i cosiddetti quarantunisti/precoci): un istituto introdotto nel 2017 per consentire l’anticipo del pensionamento nei casi di effettivo bisogno individuati in alcune situazioni di difficoltà personali o famigliari e in alcune categorie (dalle 11 iniziali si è passati a 15) riconducibili al lavoro disagiato (un concetto diverso da quello di usurante, che non era mai stato contemplato nella letteratura previdenziale e che rischia sempre l’allargamento se non lo sfondamento del perimetro, perché “lavorare stanca”).

Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di prevedere requisiti pensionistici più ridotti per le categorie ritenute disagiate. Ci sarebbe comunque il superamento del criterio alla base di Quota 100, ovvero una misura priva di condizionamenti se non quelli sanciti come requisiti. Pertanto, a fronte di questa impostazione, per coloro che non fossero in grado di far valere le condizioni oggettive di difficoltà o di disagio, tornerebbe ad applicarsi la riforma Fornero quale strada maestra del sistema pensionistico, nonostante le buche profonde che vi sono state scavate negli ultimi due anni.

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