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Pensioni: donne, giovani, Ape, Rita e quota 67. Poletti e sindacati al lavoro

Secondo round post-vacanze oggi pomeriggio fra il governo e i sindacati: al centro della discussione diverse ipotesi per alleggerire i rialzi dell’età pensionabile in arrivo, soprattutto per le donne – Ma si parlerà anche di pensione di garanzia per i giovani, di Ape volontaria e di Rita. Ecco tutte le novità del cantiere-previdenza

Pensioni: donne, giovani, Ape, Rita e quota 67. Poletti e sindacati al lavoro

Pensioni per le donne a 66 anni e sette mesi dal 2018 (stessa quota degli uomini, record in Europa). Adeguamento automatico alla speranza di vita nel 2019, con l’età pensionabile che salirà per tutti, uomini e donne, a 67 anni. Ma anche: pensioni di garanzia per i giovani, bonus contributivi per chi accudisce figli o genitori disabili, novità su Ape social e Rita. Sono davvero tanti i temi che oggi governo e sindacati affronteranno nel secondo incontro post-vacanze sulla previdenza.

PENSIONI DONNE A 66 ANNI E 7 MESI DAL 2018

Il problema più urgente è l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne, che dal 2018 salirà a 66 anni e 7 mesi anche per le lavoratrici del settore privato. Non è una novità: l’aumento era previsto dalla riforma Fornero del 2011 ed è già scattato due anni fa per i dipendenti della pubblica amministrazione.

I sindacati protestano, perché non c’è Paese europeo in cui le donne vadano in pensione a un’età così avanzata. Il governo cerca di trovare un punto d’incontro, ma al tempo stesso non vuole compromettere gli equilibri attuariali che garantiscono la tenuta del sistema previdenziale sul medio-lungo periodo. Un modo per conciliare le varie posizioni sarebbe il “bonus” per chi accudisce anziani e figli disabili, di cui parliamo più avanti.

SCONTRO SUI CONTRIBUTI PER L’APE SOCIAL

Come anticipato da Marco Leonardi, coordinatore del team economico di Palazzo Chigi, il governo proporrà ai rappresentanti dei lavoratori di facilitare l’accesso delle donne all’Ape social: “Una strada percorribile è quella di ridurre di almeno un paio d’anni il requisito contributivo, tenendo però anche conto del numero di figli”. Difficile che ai sindacati basti, ma è un primo passo.

RICONOSCIMENTO DEL LAVORO DI CURA

Il secondo potrebbe riguardare le donne che assistono genitori o figli con disabilità. L’idea è far valere il lavoro di cura ai fini della pensione, con lo Stato che versa i contributi al posto delle lavoratrici (anche se ancora non è chiaro in che misura). Per evitare abusi, si pensa a dei paletti rigidi: il bambino o l’anziano che riceve le cure dovrebbe avere un’invalidità permanente e le donne dovrebbero essere disoccupate in quel periodo. Si eviterebbero così pericolose sovrapposizioni con la legge 104, che riguarda i permessi ai lavoratori per l’assistenza ai familiari.

ETÀ PENSIONABILE A 67 ANNI DAL 2019

L’argomento più caldo sul tavolo del confronto governo-sindacati è però un altro: l’aumento automatico dell’età pensionabile a 67 anni dal 2019. Un salto che varrà per tutti, uomini e donne. A imporlo sarà l’aggiornamento periodico dell’età per la pensione alla speranza di vita calcolata dall’Istat.

Disinnescare questo meccanismo è la missione più complicata per il governo, perché gli adeguamenti sono uno dei pilastri su cui si tengono in equilibrio le finanze del sistema previdenziale. I margini d’intervento sono stretti. Al momento circolano due ipotesi su come ammorbidire questo passaggio: il governo potrebbe rendere l’aumento meno brusco per tutti oppure cancellarlo completamente, ma solo a beneficio dei lavoratori che svolgono attività usuranti (infermieri, maestre d’asilo, operai edili…).

PENSIONE DI GARANZIA PER I GIOVANI

Molto più definiti i contorni della cosiddetta pensione di garanzia per i giovani. Si tratta di una somma minima, intorno ai 600 euro al mese, con un’integrazione a carico dello Stato. A beneficiarne saranno i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, i quali – in base alla riforma Dini dello stesso anno – si ritroveranno con un assegno previdenziale calcolato interamente con il metodo contributivo (basato sui contributi effettivamente versati), assai meno generoso del vecchio retributivo (calcolato in base alle ultime buste paga della carriera).

APE VOLONTARIA E RITA

Infine, le simil-pensioni anticipate. Pochi giorni fa il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha firmato il decreto per il via libera all’Ape volontaria, che – al contrario della versione “social”, interamente a carico dello Stato – impone di contrarre un prestito bancario assicurato della durata di 20 anni per andare in pensione con un anticipo massimo di 3 anni e 7 mesi. Perché la misura diventi operativa mancano la registrazione della Corte dei Conti, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e soprattutto le convenzioni con Abi e Ania per stabilire i tassi d’interesse del prestito e il costo dei premi assicurativi.

L’Ape volontaria sblocca anche un’altra novità: la Rita, ossia la rendita integrativa temporanea anticipata. In sostanza, si tratta della possibilità di utilizzare i soldi accumulati con la previdenza integrativa per smettere di lavorare prima del previsto. Per richiederla è necessario presentare il la certificazione Ape rilasciata dall’Inps, che attesta il possesso di una serie di requisiti. Per questo finora è rimasta in sospeso.

Adesso anche sul fronte Rita si profilano novità. “L’idea è di potenziarla chiamando in aiuto la previdenza complementare – ha detto ancora Leonardi al Sole 24 Ore – A chi ha 63 anni di età ed è coinvolto in una ristrutturazione aziendale, se ha un incentivo esodo o il Tfr, diamo la possibilità di averli detassati sempre che arrivino, attraverso la previdenza integrativa, alla Rita. La stessa Rita beneficia di una tassazione del 15%, sensibilmente più bassa rispetto a quella del trattamento di fine di rapporto”.

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